Vendere frottole per affittare l’utero
Stando al sondaggio Ipsos per il Corriere, «la maternità surrogata, vietata in Italia e nella stragrande maggioranza dei Paesi, suscita reazioni diverse a seconda che avvenga a fronte di un corrispettivo in denaro o meno – scrive Nando Pagnocelli -. Nel primo caso, infatti, prevale nettamente la contrarietà (due italiani su tre, il 65,4%), i favorevoli sono il 19,7%, gli altri non rispondono. Nel secondo i contrari, pur prevalendo, diminuiscono al 40,3%, i favorevoli salgono al 34,6, mentre il 25,1% non si pronuncia».
Il dato – nei giorni infiammati dal dibattito sulla presentazione della legge Fdi per rendere l’utero in affitto reato universale e della bocciatura dell’Italia (e Francia) del certificato europeo sulla filiazione, delle marce contro la Costituzione di Elly Schlein a Milano e degli scontri Annunziata-Roccella – la dice lunga sulla confusione alimentata dai media secondo i quali il fine giustifica i mezzi (di proprietà) e finalità solidaristiche e commerciali andrebbero distinte. Noi pensiamo che i figli non siano cose, nemmeno se ce li scambiamo gratis, ma soprattutto che le cose vadano chiamate col loro nome. Non con le balle che seguono.
Utero in affitto o Gpa?
Michele Masneri sul Foglio trova che “utero in affitto” sia una «orrida truculenta definizione per indicare la gestazione per altri: le parole sono importanti».
Vero, le parole sono importanti. Quando si compra o si cede un essere umano dietro compenso o rimborso spese si parla di mercato. Quando si fissa un prezzo per la gravidanza e il parto, anche se tale prezzo è mascherato come “risarcimento ragionevole” (anche se Masneri e altri parlano a torto per onorare la “metafora immobiliare, di «comodato gratuito»), si parla di mercato. Quando la maternità diviene un compito, oggetto di un contratto finalizzato alla produzione di un figlio da consegnare ad altri che ne diventeranno genitori legali, si parla di mercato. Quando la maternità assume lo status di servizio o lavoro, si attribuisce alla vita della gestatrice un valore di mercato, un valore d’uso. E alla sua vita un valore di scambio, un “prezzo locativo” (Sylviane Agacinski) al suo corpo. Si parla cioè di utero in affitto. Ovunque e sempre, la “gestazione per altri” fissa un prezzo per la gravidanza e il parto e riduce la donna e il bambino a beni, utilizzabili e scambiabili. Si parla di mercato. “Gestazione per altri” non è che linguaggio da marketing utilizzato dalle agenzie di surrogata per mascherarlo. Le parole sono importanti.
«E perché non si potrebbe affittare, codesto utero? Non appartiene alla donna?»
Ancora Masneri sul Foglio: «Ma alla fine mica ho capito perché non si potrebbe affittare, codesto utero (…) il mercato è il mercato, ha le sue regole. Posto che la proprietaria e i conduttori siano d’accordo, che tasse e bolli siano pagati e il prezzo sia equo, con fattura e tutto, nessuno di voi di questa mozione Gabetti-Tecnocasa riesce a spiegarmi davvero a quel punto perché non deve essere la donna a decidere. Non appartiene forse a lei l’immobile?».
Vero, l’utero appartiene alla donna, ma come va ripetendo Monica Ricci Sargentini, «in base ai contratti stipulati negli Stati Uniti, la madre surrogata – che viene chiamata, con un termine a mio avviso insultante, “portatrice” – non è più padrona del proprio corpo. Su richiesta dei genitori committenti e del loro cosiddetto “progetto genitoriale” è costretta ad abortire, se qualcosa va male o ci sono malattie non previste e non gradite».
Il consenso della persona, in quanto proprietaria, inoltre, non giustifica qualsiasi contratto, né qualsiasi mercato, nemmeno quello degli organi tra viventi. E il fatto che «l’utensile per ottenere il figlio sia una donna in carne e ossa, coinvolta ventiquattro ore su ventiquattro per nove mesi (anche di più, considerando la preparazione ormonale alla quale la donna non incinta deve sottoporsi per poter accogliere l’embrione dentro di sé) e in un evento comunque critico come il parto» – risponde Nicoletta Tiliacos a Masneri ancora sul Foglio – non è una circostanza riducibile a pezzo della catena di montaggio: «La gravidanza è un unicum, non esiste nessun “lavoro del corpo” che possa esserle assimilato». Senza contare che gratuito o a pagamento, un bambino non dovrebbe essere oggetto di scambio. Si possono regalare le cose, non gli esseri umani. A meno di volere ritenerli degli schiavi, e dunque mercanzia a nostra totale disposizione.
Non ci sono figli di serie B
«Non è accettabile avere figli di serie A e figli di serie B: tutti i bambini dovrebbero avere gli stessi diritti» (Alessandro Zan, deputato del Pd).
Vero, infatti non ci sono bambini di serie B. Ogni bambino nato all’estero viene registrato all’anagrafe e viene riconosciuto il suo genitore biologico: viene riconosciuta “madre” la donna che lo ha partorito (nel caso di due donne che abbiano fatto ricorso alla fecondazione assistita), e viene riconosciuto “padre” l’uomo il cui cognome compare nel certificato di nascita del bambino (nel caso di due uomini che ricorrono all’utero in affitto). I figli registrati unicamente con la madre o il padre biologici non sono privati di alcun diritto, al pari di quelli delle donne sole che godono di tutti i diritti di cittadinanza. Se le coppie di donne o di uomini vogliono essere riconosciuti entrambi madri o padri, possono ricorrere all’adozione in casi particolari. “Casi particolari”, come ha ben ribadito Marina Terragni sul Foglio a Lucia Annunziata e compagnia di amministratori e politici che vogliono sia trascritto un atto che in Italia non può esistere, «non significa riservata ai gay figli di un Dio minore, ma è la strada per l’adozione di bambini che non si trovino in stato di abbandono: la stessa strada che egualitariamente la Cassazione indica per gli “omogenitori”».
I diritti dei bambini non c’entrano niente. Quanto a quelli degli adulti, se oggi una “ragazza madre” vuole che il suo compagno che non è il padre biologico sia riconosciuto nella sua funzione paterna, può consentirgli di adottare. Non vi è alcuna ragione perché a “due padri”, che hanno fatto ricorso a una pratica considerata reato in Italia sia riservata una corsia preferenziale: si tratterebbe di una discriminazione positiva in base all’orientamento sessuale, in violazione dell’articolo 3 della Costituzione. Neanche in Francia o in Spagna, dove pure è riconosciuto il matrimonio omosessuale, i due padri sono registrati. Con motivazioni se possibile ancora più esplicite di quelle espresse dal Parlamento italiano, il senato francese ha bocciato inoltre il certificato europeo di filiazione: «Anche per i francesi – ha ricordato la ministra Eugenia Roccella – con un regolamento simile si rischia di legittimare di fatto il ricorso all’utero in affitto».
L’assurdità dei bambini senza pediatra
«Non sempre è una questione di sfruttamento, il punto dei bambini resta. Un bambino non iscritto all’anagrafe nel 2023 non si può sentire. Non può avere il pediatra, non può curarsi, non può andare a scuola» (Concita De Gregorio)
Vero, infatti i bambini che vivono con coppie dello stesso sesso, anche se nati all’estero, anche se figli di un solo genitore, possono essere iscritti all’anagrafe e hanno pieno diritto a pediatra, cure e scuola (nessuno può impedire il riconoscimento del bambino da parte del genitore biologico, e nessuno può violare i suoi diritti se non il genitore che si rifiuta di farlo). Soprattutto, una volta registrati all’anagrafe avranno pieno diritto «alla verità sulle loro origini – sempre Terragni – diritto ribadito da tutte le convenzioni internazionali che verrebbe loro negato nel caso nei loro atti di nascita venisse dichiarato il falso, ovvero che sono figli di un “secondo padre” o di una madre che non ha con loro alcun legame biologico» come vorrebbe chi rivendica la trascrizione integrale di quegli atti di nascita. Quello che non si può sentire nel 2023 sono adulti che parlando di “diritti dei bambini” rivendicano quello alla commercializzazione della loro filiazione. Alla separazione del bambino dalla mamma che lo ha partorito e (riportiamo ancora Terragni dal Foglio)
«che per lui – ma anche per la legge: semper certa – è sua madre. Quasi mai nelle Gpa la gestante è anche madre genetica, l’ovocita è di un’altra donna ma il problema si porrà solo in seguito. La belly-mommy, come la chiamano pucciosamente i committenti, per il neonato è mommy e basta. La creatura ne riconosce odore, temperatura, ritmo del cuore, voce. Se la appoggi sulla belly di mommy si arrampicherà come un freeclimber fino alle mammelle: partorire per credere. Cellule del bambino sopravviveranno nel corpo della gestante per molti anni (microchimerismo materno-fetale). La rottura per soldi di quella relazione che fonda civiltà è una catastrofe per il piccolo umano e anche per la civiltà. Il sincero democratico, ovviamente antispecista, non lo farebbe mai a cani, gatti e lucertole ma per la sua specie – avendo pagato – fa eccezione e si porta a casa il bioprodotto appena sfornato».
L’adozione sana una ferita, l’utero in affitto la procura
«Secondo me, più della genetica, vale l’esempio. Penso che ogni figlio ti renda eterno perché porta nel mondo e trasmette ai suoi figli quello che tu genitore gli hai mostrato. Non serve un utero, per avere tuo figlio» (Antonella Boralevi, HuffingtonPost)
Vero, un utero non fa un figlio. Ma alla base di una genitorialità non biologica (è il caso dell’adozione) c’è sempre una ferita. Che l’adozione sana e l’utero in affitto, al contrario, procura: la separazione dalla madre. Se più della genetica vale l’esempio, quello degli adulti che ricorrono all’utero in affitto consiste nell’infliggere alla nascita una ferita con la quale anche il più amato dei bambini dovrà fare i conti per tutta la vita. Significa renderlo orfano del corpo che gli ha dato vita e sviluppo prenatale. Significa portare nel mondo l’idea che il corpo umano sia un bene di proprietà e che il consenso del proprietario autorizzi qualunque forma di compravendita su un mercato falsato dalle disuguaglianze economiche. È a questa idea, sottolinea sempre Agacinski che «si deve contrapporre il ruolo civilizzatore del diritto. Il gioco della domanda e dell’offerta, ossia la legge del mercato, non può sostituire la scelta di norme comuni. Se il diritto non dovesse proteggere la persona umana, perché ci sarebbe allora un diritto del lavoro, che impone limiti alla libertà dei contratti? Gli interessi privati (economici o altri) non possono porsi al di sopra della giustizia sociale o abolire i legami umani non economici. In un mondo civilizzato, la libertà consiste nel poter fare ciò che le leggi consentono, e queste leggi non sono autorizzate da contratti che riducono l’esistenza corporale degli esseri umani a beni».
Nelle scorse settimane cento giuristi, medici e filosofi di 75 Paesi hanno firmato la “Carta di Casablanca” per una convenzione internazionale che metta al bando la maternità surrogata. In questo senso c’è grande attesa da parte delle associazioni internazionali come Claims o Stop Surrogacy Now per una legge italiana che renda l’utero in affitto un reato universale.
La balla della surrogata altruistica
«La gestazione per altri è legale in tutto il mondo civile» (Piero Sansonetti), «la fanno soprattutto gli etero», «Rachel è una madre surrogata in un paese, il Canada, dove la gestazione per altri è regolamentata e altruistica. Nelle sue parole si ascolta il tentativo di inserire nel dibattito quello che manca: uno sforzo di attenzione, informazione, comprensione che possa permettere al mondo politico e non solo di distinguere prima di giudicare» (L’Espresso)
L’utero in affitto è legale solo in 20 paesi. In tutto il resto del mondo è vietato e punito. Dalla Spagna, alla Germania, alla Svezia, tutte le sinistre parlano di ignobile sfruttamento e di mercato. Vale per i gay come per gli etero. Con l’unica differenza che a farne una rivendicazione politica, una bandiera dei diritti, sono, per ovvie ragioni, i gay. Quanto a distinguere prima di giudicare, rimandiamo ai reportage di Monica Ricci Sargentini, agli abusi e contenziosi registrati dalla California alla Thailandia, alla tragedia delle surrogate in Ucraina, alla farsa della surrogata altruistica in Canada, ai documentari di Jennifer Lahl, alle storie di Gammy, Brigdet e Seraphina e di cosa succede quando dall’utero in affitto esce il bambino sbagliato, alle storie grottesche delle nonne-mamme Patty o Cecile, o dei cryokids come Eli. Figli di tanto amore e un pizzico di scienza – direbbe l’Espresso – e oggi alla disperata ricerca del genitore biologico per non sentirsi «figli di un assegno» o «prodotti da supermercato».
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