
Ma che hanno tutti contro chi prova a scongiurare l’aborto al Sant’Anna di Torino?

Il meglio – si fa per dire – lo ha dato La Stampa pubblicando l’altroieri, nell’edizione di giovedì 3 luglio, tutto un paginone intitolato allo “Sfratto ai Pro-vita”, scritto bello grande. Mai tanto grande, tuttavia, quanto la goduria che il giornale torinese lasciava trasparire per il fatto che «il Tar del Piemonte dispone la chiusura della “stanza dell’ascolto” in ospedale». E insieme alla Stampa «esultano Cgil e Se non ora quando: “Progetto antiabortista contro le donne”», riportava il quotidiano del gruppo Gedi per completare una titolazione priva del minimo controcanto.
Non male anche Repubblica, che mercoledì nell’edizione online appena appresa la notizia si era affrettata titolare “Il Tar boccia gli antiabortisti: «La stanza dell’ascolto dei Pro Vita deve chiudere»”. Sommario: «Secondo i giudici manca personale qualificato e gli statuti delle associazioni sono contrari alla legge 194. L’assessore meloniano Marrone: “Riscriveremo la convenzione”».

Guerra alla “stanza dell’ascolto”
Si potrebbe andare avanti a citare testate su testate, ma può bastare questo paio di esempi per capire l’operazione furbetta che va in scena da un paio di giorni contro la “stanza dell’ascolto” dell’ospedale Sant’Anna di Torino e le temibili politiche pro vita della Regione Piemonte. Che cosa sia questa stanza dell’ascolto che in così tanti non vedono l’ora di chiudere, Tempi lo ha raccontato più volte, a partire da quando è iniziata la contestazione al grido di “giù le mandi dall’aborto” (e cioè da subito, appena l’iniziativa è stata annunciata): la sacrilega stanza è semplicemente uno spazio a cui possono accedere liberamente donne e coppie per confrontarsi con personale medico e volontari formati da chi ha un’esperienza decennale nei Centri di aiuto alla vita e valutare alternative all’aborto. È stata aperta «in una palazzina sul retro dell’ospedale, il 9 settembre 2024», in virtù di una convenzione voluta dall’assessore regionale alle Politiche sociali Maurizio Marrone, di Fratelli d’Italia, e siglata con i Centri di aiuto alla vita dall’Aou Città della Salute e della scienza di Torino, che comprende il celebre nosocomio detentore del record locale di Ivg praticate.
All’allarme democratico scattato per la tracotanza di tale iniziativa, sono seguiti i prevedibili presidi, capannelli, proteste, ma soprattutto un ricorso al Tar del Piemonte contro la convenzione presentato dalla sezione torinese di “Se non ora quando?”, Cgil nazionale, Cgil regionale, Cgil provinciale e Cgil comunale, più tale Giulia Marialuisa Cantini Cortellezzi, quest’ultima ricorrente «in via preventiva in quanto donna e potenziale gestante, il cui diritto alla salute potrebbe essere compromesso dalla convenzione impugnata».

La sentenza del Tar e l’ideologia pro aborto
Bene. La notizia è che adesso il Tar «sfratta i Pro-vita» o «boccia gli antiabortisti»? No. Cioè sì, il Tar ha disposto l’annullamento della convenzione, ma no, non lo ha fatto perché la stanza dell’ascolto fosse un covo di antiabortisti e questo violasse la 194, come si sono precipitati a strillare i vari esponenti di Pd, M5s e Avs con quasi tutti i giornali a fare copiaincolla. Anzi. Lo stesso tribunale ha riconosciuto che l’iniziativa è di per sé legittima proprio perché «la legge n. 194/1978 […], all’art. 2, comma 2, prevede che i consultori “sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita”». Il tribunale amministrativo contesta semmai ai firmatari della convenzione di non aver previsto per l’«Aou convenzionante» una efficace verifica dei requisiti di professionalità, esperienza e formazione dei volontari impiegati dal Cav nella stanza dell’ascolto.
Qualche ragione ce l’hanno perciò l’assessore Marrone e Claudio Larocca, presidente del Cav coinvolto nel caso, quando si dicono speranzosi di poter sistemare il problema senza nemmeno fare ricorso a loro volta contro la sentenza, ma che potrebbe bastare riscrivere la convenzione («già in scadenza») tenendo conto delle indicazioni del tribunale.
Peccato che questi dettagli nelle cronache dei giornali siano stati un po’ sommersi dal tripudio di grida di vittoria di Cgil e partiti di sinistra. Dev’essere per questo che sono “sfuggiti” ai titolisti. Fortuna che «la legge è più forte dell’ideologia», come ha commentato sulla Stampa la filosofa Fabrizia Giuliani, già deputata Pd.
Che cosa hanno deciso i giudici
Solo Avvenire e pochi altri (Francesco Borgonovo su La Verità e forse basta) si sono preoccupati di verificare come stessero effettivamente le cose. Va detto che sarebbe bastato poco, magari anche solo dare una letta alla sentenza del Tar Piemonte «pubblicata il 02/07/2025».
E quindi, leggendo la sentenza del Tar che cosa si scopre?
1) Che il Tar per prima cosa «estromette dal giudizio la Sig.ra. Cantini Cortellezzi e la Cgil, assieme alle sue articolazioni, per difetto di legittimazione attiva». Lo statuto della Cgil infatti «non contempla finalità riferibili alla legge n. 194/1978 e alla sua applicazione». Invece di fare crociate pro aborto e combattere contro chi offre alle donne una possibilità di scegliere liberamente la vita, perciò, il sindacato farebbe meglio a occuparsi dei diritti dei lavoratori. Grazie lo stesso all’Espresso che scrive generosamente: «Accolto il ricorso di Cgil e associazioni».

2) Che è respinta la tesi del ricorso secondo la quale «sarebbe illegittimo aggravare [la procedura di interruzione di gravidanza] con adempimenti non previsti dalla legge n. 194/1978», proprio perché invece la stessa legge 194 consente «di affiancare alla figura del medico e dei professionisti sanitari formazioni sociali ed associazioni di volontariato» ai fini della legge, che di per sé comprenderebbe anche – questo lo ricordiamo noi, ma sta scritto nel titolo della norma – «la tutela sociale della maternità».
3) Che il tribunale «ritiene invece sussistere la violazione dell’art. 56 del d.lgs. n. 117/2017, laddove prevede al comma terzo che le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale – con cui stipulare la convenzione – siano “in possesso dei requisiti di moralità professionale, e dimostrino adeguata attitudine”, da valutarsi in concreto, “con riferimento alla struttura, all’attività concretamente svolta, alle finalità perseguite, al numero degli aderenti, alle risorse a disposizione e alla capacità tecnica e professionale, intesa come concreta capacità di operare e realizzare l’attività oggetto di convenzione, da valutarsi anche con riferimento all’esperienza maturata, all’organizzazione, alla formazione e all’aggiornamento dei volontari”». Valutazione dei requisiti che invece «risulta essere stata pretermessa», ossia omessa, «nell’istruttoria propedeutica alla contestata convenzione». Non basta insomma che l’associazione garantisca di impiegare le sue migliori risorse, ci vuole un «controllo sul punto da parte dell’amministrazione pubblica».

Obiettivo: abbattere Vita nascente
Fine. Il Tar non ravvede dunque nessuna violazione della legge 194 ma La Stampa imperterrita – e meno male che «la legge è più forte dell’ideologia» – ancora ieri tornava sul caso per dare man forte alle “opposizioni all’assalto di Marrone: «Stop anche al Fondo Vita nascente»”. E cos’è il Fondo Vita nascente? Lo spiega sempre La Stampa: è «l’altra creatura dell’assessore di Fratelli d’Italia [Marrone] finalizzata a finanziare con un milione di euro l’anno progetti mirati al superamento delle cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza».
Non sia mai che si diano soldi, manco gli spiccioli («un milione di euro»!), a gentaglia che prova addirittura ad aiutare le donne che chiedono volontariamente una mano per non abortire. Stiamo scherzando? Forza aborto, l’aborto è un diritto, l’aborto è bello, più aborti per tutti. Del resto abbiamo già raccontato l’accanimento con cui le misure per la vita vengono cannoneggiate in Piemonte. Dice Sarah Disabato, capogruppo dei 5 stelle in Consiglio regionale: «Raggiunto il primo obiettivo grazie al ricorso al Tar, una sconfitta per la propaganda vergognosa di Fratelli d’Italia, ora va smantellata Vita nascente, la misura più oscurantista messa in piedi dalla destra antiabortista, dall’ala più conservatrice della giunta Cirio».
«Non si difende la vita contro la libertà», esulta la filosofa democrat Giuliani. L’aborto invece sì, evidentemente. Anche se «la legge n. 194/1978 non afferma il diritto incondizionato all’interruzione della gravidanza», come ricorda il Tar in questa stessa sentenza «più forte dell’ideologia».
A proposito di pregiudizi
La vera zeppa che i giudici amministrativi inseriscono nella sentenza, se mai, è il passaggio in cui precisano che il «percorso informativo e assistenziale» previsto dalla legge per accedere all’interruzione di gravidanza non deve essere per forza “pro life”, al contrario «può tradursi anche nel fornire alla donna in gravidanza le informazioni riguardanti l’esercizio del diritto all’interruzione della gravidanza». E in questo senso l’opposizione alla legalizzazione dell’aborto prevista dallo statuto del Cav «non è del tutto in linea né con la legge n. 194/1978 né con la finalità di attuazione piena della legge stessa dichiarata» nella convenzione.
Messaggio un po’ obliquo raddrizzato così ieri sulla Stampa da Gian Carlo Caselli, in un commento scritto a quattro mani con l’avvocato Vittorio Barosio:
«La decisione del Tar non comporta la chiusura della “stanza dell’ascolto”, ma soltanto la sospensione provvisoria della sua attività. La “stanza dell’ascolto” rimane legittima e la sua attività potrà essere ripresa non appena la Regione avrà individuato, per affidare il servizio, un nuovo soggetto con i requisiti voluti dalla legge e che non sia, già a priori, in una posizione di pregiudiziale ostilità all’aborto».
In effetti l’ostilità all’aborto è un bel problema, in un posto come il Sant’Anna che – lo dice Silvio Viale, mica Tempi – «nel 2024 ha effettuato l’83,9 per cento degli aborti degli ospedali torinesi», quando «negli ospedali torinesi, le interruzioni sono salite da 2.372 a 2.430 (+2,4 per cento)».
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