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Sul fine vita la Chiesa guarda avanti. Un giorno lo capiranno anche i laici

Come altre volte in passato, con la lettera Samaritanus bonus contro eutanasia e suicidio assistito il Magistero cattolico anticipa i tempi della bioetica medica. Promemoria per chi straparla di "chiusura"

Roberto Colombo
23/09/2020 - 3:15
Chiesa
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Letto di hospice vuoto

La lettera della Congregazione per la Dottrina della fede dal titolo Samaritanus bonus: Sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita, presentata ieri presso la Sala stampa vaticana, ha immediatamente suscitato tra i “benpensanti” della bioetica e del biodiritto (politicamente sempre “corretti” sui temi culturalmente e socialmente sensibili) una reazione di sdegno che da tempo non si percepiva nei confronti del supremo Magistero della Chiesa cattolica, con una irritazione che eravamo abituati a vedere solo fino a qualche anno fa. L’eco attraverso i mass media è per ora spento a motivo delle prevalenti notizie sull’esito referendario ed elettorale e sull’andamento della epidemia di Covid-19, ma è solo questione di tempo.

Lo “scandalo” è perché la Chiesa ha parlato chiaro e forte di ciò di cui non ha mai taciuto (solo chi non la ascolta non se ne è accorto): l’inammissibilità di ogni forma di eutanasia (da quella del neonato e del bambino affetto da malattie congenite inguaribili a quella del paziente adulto con patologie croniche o progressive oppure nello stadio terminale del male che lo ha colpito), del suicidio medicalmente assistito, della sospensione di idratazione e nutrizione nei soggetti in “stato vegetativo” o di “coscienza minima” che beneficiano ancora dall’assunzione di acqua, elettroliti e sostanze alimentari, e dell’uso della “sedazione profonda” non per un appropriato trattamento del dolore incoercibile, ma per poter attuare protocolli clinici volti a far cessare anzitempo la vita di alcuni ammalati, ritenuta “indegna” di essere vissuta e curata.

L’URGENZA DI UN GIUDIZIO CHIARO

Esempi di tutto questo sono stati sotto i nostri occhi negli anni passati (i nomi dei piccoli Charlie Gard ed Alfie Evans, di Eluana Englaro, di Fabiano Antoniani e di Vincent Lambert; ma molti di più sono i casi rimasti coperti dal silenzio connivente o dal disinteresse popolare) e i protocolli clinici, le leggi, i decreti e le sentenze giudiziarie che li hanno accompagnati e seguiti si sono moltiplicati in diversi paesi, non escluso il nostro. La Chiesa non è distratta rispetto a quanto accaduto e sta accadendo e ha raccolto le richieste di vescovi, sacerdoti e fedeli laici (in particolare operatori sanitari, giuristi, docenti ed educatori) di riproporre autorevolmente e aggiornare nelle sue applicazioni l’insegnamento di sempre sul valore inviolabile della vita umana, anche quando è in condizioni cliniche critiche o nella fase terminale dell’esistenza terrena.

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Così è nata Samaritanus bonus. Quando è in gioco il valore fondamentale, il bene inalienabile della vita umana, fare chiarezza attraverso la ragione e la fede è indispensabile per chi porta il peso del munus petrinus ed i suoi collaboratori della Congregazione che si occupa del depositum fidei et morum. Una urgenza dottrinale e pastorale che è tanto maggiore quanto più elevata è l’incertezza, la confusione anche tra coloro che sono chiamati a servire il popolo di Dio e il bene di tutti.

IDEE VECCHIE E IDEE NUOVE

Un lavoro lungo e paziente che ha prodotto un testo robusto e corposo, denso di argomentazioni solide degne della migliore tradizione delle risposte, dichiarazioni e istruzioni della Congregazione che hanno preceduto, accompagnato e seguito i grandi discorsi dei pontefici e l’enciclica Evangelium vitae di san Giovanni Paolo II sul valore e l’inviolabilità della vita umana. Un documento da leggere e rileggere con calma: se ne trarrà senz’altro l’impressione di un invito pacato alla riflessione antropologica, etica, pastorale, giuridica e sociale su un tema-chiave per comprendere le sfide alla vita umana che attendono tutti, credenti e non credenti, nel terzo decennio degli anni Duemila che sta per aprirsi ancora in pieno dramma da pandemia Covid-19.

L’impressione è che i primi e astiosi critici di Samaritanus bonus non l’abbiano letta con la dovuta attenzione o siano partiti da un invincibile pregiudizio sulla “chiusura” della Chiesa ad ogni “novità” in campo bioetico che proviene dall’esterno e anche dal suo interno. È sempre di attualità quanto scriveva Gilbert Keith Chesterton tra il 1929 e il 1935:

«Alcuni giorni fa uno scrittore famoso, solitamente ben informato, ha parlato della Chiesa cattolica come della avversaria delle nuove idee. È probabile che non si sia accorto che la sua affermazione non era esattamente ciò che si considera un’idea nuova. È una di quelle nozioni che i cattolici si trovano a dover costantemente contrastare, in quanto si tratta di un’idea molto vecchia. Certo è che coloro che ritengono che il cattolicesimo non porta nulla di nuovo, difficilmente dicono qualcosa di nuovo sul cattolicesimo stesso. Come dato di fatto è curioso notare che uno studio approfondito della storia dimostrerebbe il contrario. Se consideriamo le idee come tali, e se le consideriamo in quanto nuove, va ricordato che i cattolici hanno spesso pagato un caro prezzo per sostenerle quando erano veramente delle novità, quando erano talmente nuove che nessun altro era disposto a difenderle. Il cattolico non solo era in prima linea, ma era l’unico in quell’avamposto, incompreso dagli altri che non riuscivano a capire che cosa aveva scoperto.

Così, per esempio, quasi due secoli prima della Dichiarazione d’indipendenza e della Rivoluzione francese, in un periodo dominato dall’orgoglio e dal servilismo nei confronti dei prìncipi, il cardinale Bellarmino e lo spagnolo Suarez gettavano le fondamenta per una teoria della vera democrazia. Ma, nell’età del diritto divino, hanno dato l’impressione di essere dei gesuiti sanguinari e sofistici, che strisciano con dei pugnali per commettere il regicidio. E, di nuovo, i casuisti delle scuole cattoliche avevano già detto tutto ciò che c’era da dire sui drammi e sui romanzi a tesi, due secoli prima che venissero scritti. Evidenziarono i problemi inerenti alla condotta morale, con l’unico difetto di esserci arrivati duecento anni in anticipo. In un periodo di predicatori fanatici da strapazzo e di improperi a buon prezzo, essi ebbero la nomea di bugiardi e cavillatori, solo perché erano psicologi prima che la psicologia divenisse una moda» (Perché sono cattolico, cap. 1).

LA LUNGIMIRANZA DI PIO XII

Quando ancora non era nata la cosiddetta “bioetica laica”, la Chiesa – attraverso il magistero di papa Pio XII e dei suoi successori – aveva anticipato diverse questioni che stavano per emergere nella pratica della medicina e della assistenza sanitaria di allora, incluse quelle relative al trattamento dei pazienti gravi, inguaribili o negli stadi terminali della loro malattia.

Sono famosi i discorsi ai medici tenuti da Pio XII nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico, alcuni dei quali dedicati ai problemi morali del “fine vita”, come quello al IX Congresso della Società italiana di Anestesiologia del 1957 e quello con la risposta a tre quesiti proposti dal dottor Bruno Haid, anestesista dell’Università di Innsbruck, dello stesso anno. Parlando di mezzi terapeutici “ordinari” e “straordinari” e della liceità, a determinate condizioni, di non ricorrere ai secondi anticipò il concetto di “proporzionalità” degli interventi medici e chirurgici, suscitando in alcuni teologi e medici il sospetto che egli concedesse troppo alla autodeterminazione del paziente a scapito del principio paternalistico della beneficialità, allora culturalmente dominante nell’etica medica.

IL BENE PIÙ CHE IL CONSENSO

Una “novità”, quella della ponderazione tra efficacia delle terapie e loro onerosità per il malato, che la Chiesa propose anzitempo rispetto ai molti problemi clinici ed etici sorti successivamente che essa aiutò a risolvere. Oggi, questo stesso approccio viene considerato “conservatore” e lesivo della piena autonomia decisionale del paziente, ed additato ad esempio di “chiusura della Chiesa” ad ogni cambiamento nell’etica clinica.

Nel denunciare i rischi antropologici, etici e sociali di una deriva eutanasica e suicidaria che sta espandendosi in Europa, in Nord America e in altre parti del mondo, la Chiesa guarda avanti, non indietro. Essa sa che ogniqualvolta viene meno il rispetto e l’amore per la vita umana nelle fasi più fragili e indifese dell’esistenza – quando l’uomo non è autosufficiente e dipende in tutto o quasi dall’assistenza sanitaria, familiare e sociale – si fa più concreto il pericolo che egli diventi oggetto di un calcolo spietato dell’utilità e dell’inutilità della sua vita, della presenza o assenza di determinate “qualità umane” che la renderebbero “degna” o “desiderabile”, e della “convenienza” e del “costo” per la comunità del suo restare in vita. Viene allora il tempo di (ri)dire dei “sì” e dei “no” senza reticenze o falso rispetto umano, come quelli che la Samaritanus bonus ha messo nelle sue righe, non cercando un facile consenso né il plauso della cultura dominante, ma amando e servendo la verità e il bene della persona più dell’idea che di essa si sono appropriati i costruttori della “nuova cattedra(le)” di umanità.

«SÌ, SÌ; NO, NO»

“Sì” alla doverosa rinuncia al cosiddetto “accanimento terapeutico” (nel significato vero del termine: “ostinarsi nel praticare terapie inappropriate” rispetto alle condizioni cliniche del malato e deleterie o troppo pesanti per lui); “sì” alle “cure palliative” volte a migliorare e accompagnare la vita del paziente inguaribile e del disabile cronico grave, senza però porre in essere azioni od omissioni tese ad abbreviarla intenzionalmente; e “sì” alla “sedazione” farmacologica, ma solo quando questa è necessaria per alleviare il dolore incoercibile, non per sopprimere la coscienza neuropsicologica al fine di attuare un protocollo clinico eutanasico.

“No” all’eutanasia, come ogni azione od omissione che di sua natura e nelle intenzioni di chi la decide, la attua o la consente provoca la morte anzitempo del paziente in qualunque fase della sua vita extrauterina o stadio della sua malattia; “no” al “suicidio medicalmente assistito”, richiesto da parte del paziente stesso, sia in una circostanza contestuale che in una pregressa (la cosiddetta “disposizione anticipata”); e “no” alla sospensione di idratazione e nutrizione nei pazienti in “stato vegetativo” o “di minima coscienza” e in altre condizioni simili per cronicità e inguaribilità, quando la somministrazione di acqua, elettroliti e sostanze alimentari risulta ancora efficace nel mantenere le funzioni fisiologiche vitali e l’omeostasi del corpo.

LA CULTURA DELLA VITA

La lettera Samaritanus bonus ci ha fatto rigustare il sapore antico e sempre nuovo della schiettezza evangelica – «Il vostro parlare sia “sì, sì; no, no”. Il di più viene dal maligno» (Mt 5,37) – così lontana dai sofismi e da certi equilibrismi bioetici e del biodiritto che, procedendo a tentoni su un crinale impervio, cedono sul pendio scosceso del male anziché tenere i piedi ben saldi sul sentiero del bene di ogni uomo e di tutti gli uomini. Un sentiero faticoso e oggi tutto in salita, ma sicuro per giungere alla meta: la (ri)costruzione della cultura della vita e dell’amore.

Foto unsplash.com

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