«L’eutanasia è un omicidio che non tollera complicità»
«La Chiesa ritiene di dover ribadire come insegnamento definitivo che l’eutanasia è un crimine contro la vita umana perché, con tale atto, l’uomo sceglie di causare direttamente la morte di un altro essere umano innocente». Non li si chiamino più bandiere in mano a una sola squadra di integralisti e bigotti, non ci si dica più, quando fioccano leggi o casi promossi per introdurre il “diritto a morire”, che riguardo ai “valori” o princìpi non negoziabili la Chiesa non segna con estrema chiarezza la strada da seguire ai cattolici, chiese locali, gente comune o impegnata in politica o ad eleggere i propri rappresentanti nelle istituzioni.
Chissà se i giornali, abituati a frastornarci di interviste e opinioni di credenti o prelati molto progressivamente aggiornati e impegnati a disegnare una società di individui autodeterminati e avulsi dalle relazioni – una società in cui lo Stato legittima l’idea che esistono vite non più degne di essere vissute -, daranno lo spazio che si merita alla Samaritanus Bonus elaborata dalla Congregazione per la dottrina della fede e presentata oggi in sala stampa vaticana. «Un documento necessario» a fronte di nuove norme e leggi sempre più permissive su eutanasia, suicidio assistito e disposizioni sul fine vita, ha spiegato il prefetto della Congregazione, cardinale Luis Ladaria.
COOPERARE ALL’EUTANASIA È «PECCATO GRAVE»
Un documento che grida un perentorio “no” ad eutanasia, aborto, diagnosi prenatale, uso distorto di termini quali “dignità” o “compassione” richiesto dai padri stessi a conclusione della Sessione plenaria 2018 della Congregazione per la dottrina della fede: era l’anno di Alfie Evans, l’anno in cui a un bambino inguaribile veniva data la morte. Ma «inguaribile non è mai sinonimo di incurabile» e «qualsiasi cooperazione formale o materiale immediata ad un tale atto (dare l’eutanasia, ndr) è un peccato grave» che nessuna autorità «può legittimamente» imporre o permettere. Mentre si moltiplicano le legislazioni e le campagne sulla pelle dei malati per il diritto alla “buona morte”, «frequenti sono gli abusi denunciati dagli stessi medici per la soppressione della vita di persone che mai avrebbero desiderato per sé l’applicazione dell’eutanasia».
Sono tutti virgolettati della lettera che non danno adito ad alcuna libera interpretazione: per la Santa Sede «così come non si può accettare che un altro uomo sia nostro schiavo, qualora anche ce lo chiedesse, parimenti non si può scegliere direttamente di attentare contro la vita di un essere umano, anche se questi lo richiede». E ancora, sopprimere un malato che chiede l’eutanasia non significa «riconoscere la sua autonomia e valorizzarla», bensì «disconoscere il valore della sua libertà, fortemente condizionata dalla malattia e dal dolore, e il valore della sua vita».
IDRATAZIONE E NUTRIZIONE, ATTI SEMPRE DOVUTI
E ancora «l’aborto, l’eutanasia e lo stesso suicidio volontario guastano la civiltà umana, disonorano coloro che così si comportano più ancora che quelli che le subiscono e ledono grandemente l’onore del Creatore». La lettera denuncia la prospettiva utilitaristica sottostante il concetto di “morte degna” relazionato a quello di “qualità della vita” e di “compassione” che non consiste mai «nel provocare la morte ma nell’accogliere il malato, nel sostenerlo». Addita l’individualismo come la radice del male «più latente del nostro tempo: la solitudine» e definisce «infondati» i dilemmi sulla moralità di «atti dovuti di semplice accudimento della persona, come idratare e alimentare un malato in stato di incoscienza senza prospettiva di guarigione».
I CAPPELLANI NON PARTECIPINO ALL’EUTANASIA
I padri ribadiscono poi come «insegnamento definitivo» che «l’eutanasia è un atto omicida che nessun fine può legittimare e che non tollera alcuna forma di complicità o collaborazione, attiva o passiva. Coloro che approvano leggi sull’eutanasia e il suicidio assistito si rendono, pertanto, complici del grave peccato che altri eseguiranno. Costoro sono altresì colpevoli di scandalo perché tali leggi contribuiscono a deformare la coscienza, anche dei fedeli». Aiutare il suicida è pertanto «un’indebita collaborazione a un atto illecito»: valga per il personale sanitario che non può prestarsi a «nessuna pratica eutanasica neppure su richiesta dell’interessato, tanto meno dei suoi congiunti», valga per i pastori, autorizzati a dare i sacramenti solo in presenza di «atti concreti» che dimostrino che il penitente ha modificato la sua decisione («ciò comporta anche che una persona che si sia registrata in un’associazione per ricevere l’eutanasia o il suicidio assistito debba mostrare il proposito di annullare tale iscrizione»).
In caso contrario, al prete e in particolar modo ai cappellani delle strutture sanitarie, è espressamente vietato di presenziare alla morte assistita: «Non è ammissibile da parte di coloro che assistono spiritualmente questi infermi alcun gesto esteriore che possa essere interpretato come un’approvazione dell’azione eutanasica, come ad esempio il rimanere presenti nell’istante della sua realizzazione. Tale presenza non può che interpretarsi come complicità».
MAI ABBANDONARE GLI ALFIE E I LAMBERT
Il documento chiarisce anche cosa sia l’accanimento terapeutico, difende la rinuncia a mezzi straordinari e trattamenti sproporzionati che nell’imminenza di una morte inevitabile procurerebbero solo un «prolungamento precario e penoso della vita», ma tra questi non figurano alimentazione e idratazione che «vanno doverosamente assicurate»: «Una cura di base dovuta a ogni uomo è quella di somministrare gli alimenti e i liquidi necessari». E dedica passaggi fondamentali alla sedazione profonda (inaccettabile se somministrata per causare «direttamente e intenzionalmente la morte»), alle cure palliative e alla necessità da parte degli Stati di riconoscere «la primaria e fondamentale funzione sociale della famiglia e il suo ruolo insostituibile, anche in questo ambito, predisponendo risorse e strutture necessarie a sostenerla».
Nel documento c’è anche una durissima condanna dell’«uso ossessivo della diagnosi prenatale» e dell’abbandono dei disabili e dei bambini che soffrono di patologie incompatibili con la vita: l’aborto «consiste nell’uccisione deliberata di una vita umana innocente e come tale non è mai lecito», e «in nessun modo» i bambini inguaribili «vanno abbandonati sul piano assistenziale, ma vanno accompagnati fino al sopraggiungere della morte naturale» senza sospendere nutrizione e idratazione. Così come i cosiddetti stati vegetativi o di minima coscienza, i Vincent Lambert per capirci.
I MEDICI ESERCITINO L’OBIEZIONE DI COSCIENZA
Da ultimo la Santa Sede esorta le istituzioni sanitarie cattoliche ad astenersi da comportamenti di «evidente illiceità morale» e ad opporsi alle leggi per l’eutanasia mediante obiezione di coscienza: il medico, che «non è mai un mero esecutore della volontà del paziente», ha «il diritto e il dovere di sottrarsi a volontà discordi al bene morale visto dalla propria coscienza», mentre non ha il diritto e dovere di «farsi tutore esecutivo di un diritto inesistente». Non si tratta semplicemente di ribadire, come hanno scritto in molti, posizioni già espresse dagli ultimi pontificati. Ma di riprendere per i capelli un popolo smarrito su ciò che è vita e di valore davanti a casi eccezionali e dibattiti alimentati in nome di dignità, compassione, qualità su cui si sta giocando la possibilità stessa dell’esistenza della comunità umana.
Foto Ansa
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