Siria. «Aleppo è la nuova Berlino: divisa tra est e ovest da un muro di violenza»

Di Leone Grotti
23 Luglio 2013
Frere Georges, frate marista blu, testimonia a tempi.it la drammatica situazione di Aleppo ovest, che i ribelli hanno circondato e stanno facendo morire di fame

Da tre settimane i ribelli jihadisti di al-Nusra che hanno preso il controllo e instaurato un califfato nella parte est di Aleppo, la seconda città più importante della Siria, hanno bloccato tutte le vie di accesso alla parte ovest, controllata dal governo, riducendo alla fame i suoi abitanti, a cui «manca tutto». Frere Georges, frate marista blu, testimonia da Aleppo ovest a tempi.it «la situazione critica e drammatica, in mezzo a continui combattimenti a fuoco» in cui si trovano i residenti. Rischiando anche di «non sopravvivere».

Qual è la situazione in città oggi?
Noi abbiamo vissuto nelle ultime due settimane un blocco totale nella regione che ci ha impedito di avere il pane, ogni sorta di legume e farina, il carburante: ci è mancato tutto. Fortunatamente da due giorni la situazione è un po’ migliorata ma le merci sono tutte molto care al mercato e mi chiedo come la gente possa sopravvivere in una tale situazione. La situazione è critica dal punto di vista umano e umanitario, inoltre non si può dimenticare che ci sono sempre combattimenti tra le due parti della città di Aleppo, tutto il giorno, tutta la notte ci sono combattimenti. Questa è la situazione della città che è sempre stata storicamente la capitale economica e culturale della Siria fino a un anno fa, ora è totalmente in preda alla sofferenza: una popolazione di più due milioni di abitanti è accerchiata da ogni lato. La stessa cosa vale per i viaggi: non si può più uscire dalla città, venerdì scorso c’è stata qualche possibilità grazie all’esercito che ha aperto una strada per chi voleva andarsene.

Perché i ribelli hanno instaurato il blocco?
Noi non sappiamo perché hanno imposto il blocco, di sicuro c’entra la situazione di altre città e forse vogliono imporre una soluzione che hanno in mente. Ma è triste nel terzo millennio sapere che una città possa essere divisa in una parte orientale e occidentale, come se ci fosse un muro, come quello di Berlino, ma stavolta un muro di persone, di violenza, un muro imposto manu militari, dove esiste solo qualche passaggio attraverso il quale le donne e gli uomini che possono passare sono continuamente minacciati da cecchini che in qualunque momento possono sparare contro di loro dall’alto. È molto grave, io credo che nessuna religione, nessun discorso politico, nessun ragionamento umano possa giustificare che ci sia una popolazione civile interamente circondata. Tra la popolazione ci sono tante persone sfollate, gente che per una, due, tre volte ha dovuto cambiare casa da un quartiere a un altro per cercare un posto sicuro dove vivere. È davvero difficile dire perché avviene tutto questo.

Come fanno a sopravvivere i siriani di Aleppo?
La popolazione è sempre più povera a causa del fatto che i prezzi sono sempre più alti. Fortunatamente in città ci sono molte organizzazioni umanitarie, ci sono molte Ong che sono nate durante la guerra e si sono sviluppate e che sostengono la popolazione. Potrei fare l’esempio di una Ong che ogni giorno distribuisce circa 35 mila pasti. Cucinano per 35 mila persone con bombole di gas ma si sono dovuti fermare per qualche giorno perché non riuscivano più ad approvvigionarsi di gas. C’è anche la società dei rifugiati dei gesuiti che ha messo a disposizione le sue cucine per 15 mila persone. Siamo sostenuti da queste organizzazioni, dalle Ong, dalle società filantropiche che appoggiano tutta la popolazione ma in realtà noi abbiamo un grosso problema a sopravvivere perché c’è gente che non ha lavoro e gente che lavora ma non ha la certezza di essere pagata. Tanti hanno perso tutto, le aziende chiudono. Per me è una vergogna che tutto questo succeda nel terzo millennio e non è accettabile che a livello mondiale queste cose vengano taciute o addirittura incoraggiate dai politici dei paesi occidentali.

Ci sono scontri tra cristiani e musulmani in città a causa della guerra?
Il popolo siriano ha sempre vissuto insieme, a scuola, nelle strade, al lavoro, non abbiamo mai avuto problemi confessionali come invece è presentata la nostra guerra in Siria. Abbiamo vissuto nel rispetto mutuo, abbiamo dialogato e diviso il pane e le feste; quando ero studente in classe avevo compagni cristiani e musulmani, da professore, in una scuola cristiana ho studenti musulmani e cristiani. Noi con il nostro ordine dei Frati maristi blu collaboriamo con molte organizzazioni non cristiane, musulmane; è così che abbiamo vissuto e che vogliamo vivere, e vogliamo decidere da soli il nostro destino, vogliamo che ci lascino scegliere la nostra vita, il nostro sistema. Ci si sta ora focalizzando su di una possibile guerra tra sciiti e sunniti con i cristiani nel mezzo: questa non è la realtà del nostro paese né della popolazione, né della nostra gente. Fino ad oggi abbiamo vissuto relazioni che fanno onore a tutte le religioni; la Siria è un mosaico di religioni e gente diversa che dura dal passato fino ad oggi.

Cosa chiedete alle nazioni occidentali?
Ci è stata imposta una guerra abominevole. Vogliamo decidere da soli la nostra sorte: non abbiamo bisogno di arbitri né di persone che vengano con idee che non sono le nostre e che non rappresentano veramente il mondo musulmano. Ci sono persone che vengono dall’esterno e vogliono imporre un sistema musulmano fanatico.

Ad Aleppo è ancora viva la speranza per una soluzione della guerra?
Tu parli di speranza per la Siria: la speranza è veramente ridotta. Ma se devo rispondere, dico che la visione della fede dà speranza, una visione che crede malgrado il dolore, malgrado la sofferenza e malgrado la perdita di tante persone che sono morte, malgrado tutto il sangue sparso, che la pace possa tornare. Noi oggi viviamo malgrado tutto molto sostenendoci a vicenda. Nella nostra comunità abbiamo accolto giovani studenti all’università che hanno terminato da pochi giorni i loro esami e devono tornare a casa. Bisognava vedere con quali parole hanno espresso la loro gratitudine davanti al paese, davanti alla situazione del paese. Loro sono la nostra speranza.

@LeoneGrotti

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