Lettere al direttore
Il paradosso del ramadan a Pioltello
Caro direttore, quanto avvenuto a Pioltello mi sembra paradossale, e i paradossi mi piacciono assai. Hanno sfilato in buon ordine i presunti buoni o cattivi, sobillati ad arte dai mass media in crisi di oggettività. Spero di non essere semplicistico se dico che tutto questo polverone nasce dal fatto che il 40 per cento circa degli alunni di educazione (la fede arriva un po’ dopo) musulmana di una scuola ha ventilato l’intenzione di assentarsi per un giorno da scuola, in ragione di una bella e sana pratica religiosa. Evviva l’Altissimo.
Sembra non abbiano chiesto alcunché, tantomeno di chiudere la scuola, ma la direzione scolastica ha voluto mostrare il suo “splendore” con un digiuno scolastico generale. Dico io: quando durante l’inverno, nel pieno di un’ondata influenzale, si assentano per più giorni il 60/70 per cento degli alunni, si chiude la scuola? Vediamo di stare tranquilli: i bimbi islamici se ne stanno a casina e gli altri rallentano un pochino il programma per non sfavorire i loro compagni.
Sono un tifoso dell’autonomia a tutti i livelli e vedere i bigotti statalisti difendere questo eccesso mi fa proprio ridere. Peccato che Mattarella abbia, ancora una volta, delegittimato l’autorità preposta, parteggiando per una parte. Ma ormai siamo abituati.
Enrico Ventura
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Caro Direttore, e p.c. Raffaele Cattaneo, concordo con i principi generali espressi da Raffaele Cattaneo il 30 marzo su Tempi, ma insisto sul fatto che tutti fanno finta di non vedere e cioè che certe cose riguardano tutti i musulmani presenti in Italia e di conseguenza vanno decise a Roma e non a Pioltello. Forse nessuno lo dice per la paura di essere giudicato “anti Islam”, e allora ripete i soliti discorsi triti e ritriti su accoglienza ecc. Il ministro Valditara ha ricordato che le decisioni sulle vacanze per motivi religiosi devono essere prese a livello statale nazionale e non locale, e dire questo non nega nessun diritto a nessuno. Del resto, Valditara ha ricordato semplicemente ciò che è stato da sempre deciso per le festività cristiane attraverso Concordati… e legislazioni varie, riconosciute a livello nazionale fin dal 1861, e non locale! Le festività cristiane vengano riconosciute da tutti a livello nazionale e non solo a Pioltello o Soresina: questo è un aspetto a mio avviso fondamentale che, se applicato anche alle festività islamiche, può essere considerato “pro islam”.
Eppure questo aspetto nessuno lo vuole vedere, accontentandosi dei soliti discorsi buonisti su accoglienza e apertura. Perché? L’esempio della badante che resta libera per il Natale ortodosso non c’entra niente perché quella è una questione privata, gestita tra il singolo datore di lavoro e la badante, e non tocca altre persone né tantomeno la legislazione italiana, mentre il caso di una scuola chiusa coinvolge altre persone che non sono interessate (es. gli alunni non islamici che subiscono una decisione personale presa da un preside di sua iniziativa) e lo stesso rispetto della legislazione italiana, quindi di una seria integrazione.
Ora, se vogliamo parlare di integrazione occorre essere chiari: integrare non significa che tutti devono diventare uguali agli abitanti del paese ospitante, ma che tutti agiscano per integrarsi ufficialmente, nell’ambito delle legislazioni del paese ospitante, cosa che non mi pare sia avvenuta a Pioltello tanto che Valditara ha dovuto ribadire che le festività religiose sono di competenza dello Stato e non della scuola o di altre realtà locali, altrimenti il rischio è l’anarchia gestionale.
È ridicolo dire che i cristiani festeggiano Natale e Pasqua, quindi anche i musulmani devono poter festeggiare ecc. Non è ridicolo in linea di principio, ma è ridicolo il paragone perché i cristiani non stanno a casa per decisioni prese da un preside singolarmente in una scuola, ma perché certe festività cristiane sono state riconosciute tali dallo stato fin dal 1861, mentre altre sono state abolite nel 1977 e nessun cattolico pretenderebbe oggi di stare a casa il giovedì del Corpus Domini o a san Pietro e Paolo (come era ad esempio fino al 1977) perché i cattolici hanno accettato di integrarsi nello stato in cui vivono.
Quello che chiediamo ai membri dì altre religioni, anche nel loro interesse, è semplicemente di chiedere al nostro stato, cioè a Roma e non a Pioltello, comunque non a un preside, che le loro esigenze vengano riconosciute ufficialmente a livello nazionale come sono le festività cristiane. Anche perché così nessuno avrà più niente da ridire. L’esempio di Pioltello è stato utile per evidenziare il problema sottostante che cioè, piaccia o no, siamo in una società multi religiosa, realtà oggettiva che, come dice giustamente l’articolo non si può non vedere. Ma la soluzione adottata a Pioltello a mio avviso e stata nefasta anche per i musulmani! Infatti adesso i musulmani che non frequentano la scuola di Pioltello non possono certo beneficiare della decisione del preside di quella scuola. Mentre, se il tutto fosse regolamentato a livello nazionale…
A questo nessuno ci pensa, forse perché si agisce solo in base alla paura di essere giudicati male o stigmatizzati come antidemocratici e/o “indietristi”. Sembra che prevalga solo la paura di un tale giudizio negativo e non si ragioni più. Questo “non ragionare”, devo essere sincero, mi fa paura.
Fabio Sansonna Monza
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Gent.mo direttore, ho letto la lettera di Raffaele Cattaneo in ordine alla questione della scuola di Pioltello: «Solo riconoscendo l’altro e rispettando la sia identità, noi sapremo custodire e affermare la nostra storia, i nostri principi, il nostro impianto valoriale». Se in linea di massima posso essere d’accordo con tale introduzione, credo necessarie tuttavia alcune sottolineature.
La vicenda Pioltello, se presa di per sé, può essere comprensibile e forse accettabile; non va dimenticato, però, che è il volano per altre iniziative simili, a livello di scuola, di università e di Chiesa.
A livello di scuola si vanno moltiplicando situazioni analoghe, spesso discriminanti gli studenti italiani, e ciò, per far piacere ai musulmani, vengono cancellate feste come quella del papà, viene attivata la richiesta di togliere i crocifissi – in nome della laicità dello Stato – e negati interventi di sacerdoti in scuole per la benedizione annuale, così come lezioni e interventi di personalità cristiane (v. università), viene attivata la festa del “ramadan” in chiesa, ecc. Gli esempi sono molteplici nei riguardi di musulmani e dei cristiani.
“Riconoscere l’altro”: giusto, ma l’altro riconosce noi? – “rispettare la sua identità”, una identità spesso disumana, basta guardare ciò che avviene da loro: vogliamo trasportare il tutto da noi? – “Affermazione di princìpi nostri e del nostro impianto valoriale”, negati più volte dagli imam, princìpi, i nostri, che sono totalmente diversi e contrati rispetto a quelli musulmani. Basterebbe leggere attentamente il Corano per rendersene conto!
Si tratta di una diversità e di una contrapposizione culturale ed esistenziale, colla quale, anche con molta buona volontà, sarebbe – ed è – difficile convivere. La nostra cultura e la nostra democrazia sono totalmente contrastanti.
Fortemente reale quanto oggi scritto su Il Giornale da Feltri: puoi tranquillamente leggerlo. La situazione attuale di disprezzo degli imam nei nostri confronti, e nei confronti dell’occidente, della nostra impostazione culturale oltre che religiosa e esistenziale, è estremamente palese. Un disprezzo che non collima affatto con il rispetto richiesto nei loro riguardi. Come già detto è un fatto di democrazia e di identità: basta leggere attentamente il Corano per rendersene conto.
“Chi riconosce la propri identità non ha timore di incontrarsi con alcuno”: ma ci può essere un incontro se la risposta è un rifiuto e uno scontro? Il seguire questa linea significa manifestare debolezza e precarietà dei nostri princìpi religiosi e democratici. Significa un adeguarsi e un sottomettersi alla loro religione e presunta democrazia.
“Se la libertà religiosa nasce e si fonda sul reciproco”, va detto che questa condizione manca già in partenza. È tanto vero ciò che la nostra Chiesa, così come quella ebraica, hanno accettato e sottoscritto un “concordato” che riguarda rapporti responsabili con lo Stato, avendo in cambio il riconoscimento di libertà di azione. Perché gli imam e i musulmani presenti sul territorio hanno più volte rifiutato questa modalità di reciproco comportamento Stato/Religione?
Concludo permettendomi una domanda: “dove sta andando la Chiesa cattolica?” L’atteggiamento bonario dei vescovi – tra cui l’arcivescovo di Milano e il presidente della Cei – nei confronti della presenza musulmana, nonché di parroci e comunità cristiana, in nome di una (falsa) idea inclusiva che di fatto la pretende ma ne rifiuta l’eventuale processo inclusivo secondo regole che non possono essere eluse.
Non possiamo accettare una resa incondizionata all’islam. Credo – e penso di non essere il solo – sia necessario, non un atteggiamento remissivo, non una rinuncia alle nostre tradizioni, ma il rispetto di quella civiltà occidentale, della nostra cultura e del nostro modo di vivere, che va affermato nella sua validità e con la massima chiarezza.
Giancarlo Tettamanti
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