Il Deserto dei Tartari

Lettera aperta a Mario Mauro, ministro della Difesa (dovrà darsi da fare in Siria e nel Mediterraneo)

Presa visione della lista dei ministri del governo Letta, ho sentito l’esigenza di scrivere una lettera aperta al nuovo ministro della Difesa. Come tutti quelli che l’hanno conosciuto in questi anni, avrei preferito che a Mario Mauro, ex capogruppo della delegazione italiana del Ppe al parlamento europeo ed esponente di Scelta civica da settimane in predicato di ricoprire un posto ministeriale, toccasse il portafoglio dell’Istruzione oppure – ma capisco che si trattava di un desiderio sproporzionato – quello degli Esteri. Istruzione ed Esteri sono le due materie di cui Mauro è maggiormente competente, una competenza non fatta di master universitari o di appartenenza a lobby internazionali ristrette. Ma di lavoro sul campo, stando sul pezzo sempre un’ora più degli altri e tornando alla sudata opera ogni nuovo giorno dall’alba al tramonto.

Prima di essere eletto al Parlamento europeo nel 1999 con 100 mila voti di preferenza, per oltre un decennio Mauro ha partecipato a quella che sembrava una guerra che non si poteva vincere: quella per ottenere il riconoscimento del ruolo pubblico delle scuole private e una qualche forma di sostegno da parte dello Stato. Diesse, Crisp, Consiglio nazionale della scuola cattolica sono state le trincee nelle quali ha combattuto la battaglia contro il radicato pregiudizio che voleva le scuole libere come ridotto di privilegiati e di fautori di una claustrofobica formazione partigiana e la scuola statale come unica esperienza educativa ecumenica meritevole dell’impegno di tutta la società italiana. Mauro è passato alla politica paneuropea proprio nel momento in cui maturavano i frutti del lavoro controcorrente condotto con diuturna applicazione da lui e da altri: nel 1999 i decreti di Luigi Berlinguer ministro dell’Istruzione di un governo di centrosinistra introduceva per la prima volta nella storia della Repubblica una forma di finanziamento statale alle scuole paritarie anche medie inferiori e superiori, nel 2000 le scuole libere paritarie entravano per legge a far parte del sistema pubblico dell’istruzione: la loro funzione pubblica, sociale, veniva finalmente riconosciuta.

Quando Mauro entrò sotto le bandiere di Forza Italia nel Parlamento europeo, qualcuno lo sottovalutò, etichettandolo sbrigativamente come mero prodotto della macchina da voti ciellina (Cl è l’esperienza di vita cristiana alla quale l’attuale ministro della Difesa si è formato e alla quale tuttora partecipa). I fatti hanno fornito la migliore smentita: con la stessa determinazione con cui aveva partecipato alle battaglie per la “libertà di educazione”, il neo-parlamentare ha fatto sentire la sua presenza collezionando non titoli di encomio o da curriculum, ma le postazioni dove si lavorava veramente, almeno entro i limiti permessi da una struttura un po’ teatrale e ridondante com’è l’Europarlamento. Così in un decennio Mauro è stato prima vicepresidente della commissione per la cultura, poi dell’assemblea Ue-Acp (le ex colonie europee), poi del Parlamento europeo; delegato del presidente per le relazioni con le Chiese e le comunità religiose, rappresentante personale della Presidenza dell’Osce (l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) contro razzismo, xenofobia e discriminazione, con particolare riferimento alla discriminazione dei cristiani. Nei tredici anni di Europarlamento e dintorni Mauro ha svolto missioni nelle stesse regioni del mondo che hanno attirato l’attenzione di noi Inviati internazionali: il Sudan, la Somalia, l’Afghanistan, Israele e i Territori palestinesi, la Bosnia, il Kosovo, ecc. Altre avrebbe voluto organizzarne, portando con sé quanti più europarlamentari possibili, in posti come il Pakistan e la Nigeria, ma le circostanze ostili glielo hanno impedito.

Tutta questa lunga introduzione era necessaria per almeno due motivi. Il primo è che stiamo vivendo un’epoca di cancellazione della memoria, dove sembra contare solo ciò che è nuovo e anche molte realtà della società civile rimuovono rapidamente decenni di storia, patrimoni di rapporti umani e di amicizie, quasi anelando a un anno zero da cui ripartire e a una purificazione che sa di abiura di ciò che si è stati e che quindi si continua, nel profondo, ad essere. Ma la separazione dalle radici, l’oblìo o addirittura l’odio di sé non portano a nulla di buono, men che meno a una purificazione. L’astrazione porta solo altra astrazione, e alla fine violenza, del tipo di quella dell’attentatore solitario di Palazzo Chigi, ma forse non solo di quel tipo.
La seconda ragione è che volevo segnalare a chi non conosce molto la persona a cui questa lettera aperta è indirizzata che le competenze di politica estera di Mario Mauro sono reali e ancora di più le sue capacità politico-diplomatiche. Nel 2007 riuscì a far votare al Parlamento europeo, fino a quel momento famoso per aver votato più mozioni di condanna contro la Santa Sede che contro Cuba e Cina sommate insieme, una risoluzione “Su gravi episodi che mettono a repentaglio l’esistenza delle comunità cristiane e di altre comunità religiose”. Su quel testo riuscì a far convergere voti che andavano dal leghista Mario Borghezio al rifondarolo indipendente Vittorio Agnoletto. Ecco, queste capacità ecumeniche di Mario Mauro mi sono venute in mente quando ho finito di leggere la lista dei ministri del nuovo governo.

La seconda metà dell’anno che ci aspetta non sarà segnata soltanto dalle difficoltà legate al debito sovrano dei paesi dell’Europa meridionale, non ci sarà solo il problema del rinnovo delle sottoscrizioni dei titoli di Stato e dello spread rispetto ai titoli tedeschi. Rischiamo di trovarci, da qui a non molto, coinvolti in un’altra guerra sulla sponda sud del Mediterraneo, più sanguinosa di quella in cui fummo coinvolti due anni fa in Libia e dai prevedibili esiti più infausti e destabilizzanti di quelli che l’intervento Nato contro Gheddafi ha determinato.
Alla fine di maggio scade l’embargo della Ue sulle vendite di armi alla Siria e sugli acquisti di idrocarburi dal medesimo paese, ed è certo che non verranno rinnovati perché alcuni paesi – primo fra tutti il Regno Unito – hanno già fatto sapere che intendono schierarsi decisamente dalla parte della ribellione al governo di Bashir el Assad anche con forniture di armi. I report sull’utilizzo di armi chimiche da parte dei governativi si moltiplicano, e anche se le evidenze non sono conclusive, ovvero si tratta di utilizzi sporadici e alcuni dei quali riferibili ai ribelli che si sono impadroniti di depositi delle forze armate, il fatto vero o presunto potrebbe diventare il casus belli per un intervento almeno pari a quello in Libia: cioè la creazione di una no-fly zone e attacchi aerei alle infrastrutture militari dell’esercito siriano.
Dove condurrebbe un’opzione del genere, abbiamo negli ultimi due mesi cercato a più riprese di illustrarlo: è impossibile risolvere la crisi siriana per via militare, perché chiunque riuscisse a prevalere sul campo di battaglia si troverebbe poi ad avere a che fare con un paese distrutto e diviso, che non potrebbe veramente controllare o che controllerebbe solo dopo avere sterminato o messo in fuga interi gruppi di popolazione. All’eventuale caduta di Assad e del regime instaurato quarant’anni fa da suo padre in Siria non seguirebbe l’avvento della democrazia, ma una via di mezzo fra l’anarchia degli “Stati falliti” e la teocrazia dei talebani. Nelle file dell’opposizione i democratici sono una minoranza, e nelle file dei combattenti i jihadisti e gli islamici radicali sono la maggioranza assoluta, come si poteva leggere anche sul New York Times del 27 aprile.
Del resto, gli sponsor regionali della ribellione siriana si chiamano Arabia Saudita, Qatar e Turchia: le prime due sono rette da regimi dinastici lontanissimi da qualunque sistema democratico, mentre la Turchia è una democrazia che rispetta molto scarsamente i diritti delle minoranze etniche e religiose. Chiedere informazioni a curdi, aleviti e cristiani sparsi fra Istanbul, Antiochia e Diyarbakir per ulteriori dettagli. Che i protetti siriani di questi paesi siano in grado di garantire democrazia e rispetto delle minoranze in un paese mosaico come la Siria una volta andati al potere, non è meno incredibile di quello che raccontavano i neo-conservatori Usa a proposito della democratizzazione del Medio Oriente perseguita manu militari. In paesi privi di tradizione politica democratica (per le ragioni strutturali che un Tocqueville o un Marx o un Weber saprebbero spiegare agilmente) e compositi dal punto di vista etnico e religioso, la democrazia politica diventa un puro esercizio aritmetico, come si vede nell’insanguinato Iraq: un anno e mezzo dopo il ritiro delle ultime truppe americane, il paese è tormentato dalle lotte fra sunniti, sciiti e curdi, che riversano i loro voti su partiti settari. Nella migliore delle ipotesi possibili, la Siria liberata del regime degli Assad si trasformerebbe in una sorella gemella dell’Iraq, con la principale differenza di avere come primo ministro un sunnita anziché uno sciita, come accade a Baghdad con Nuri al- Maliki.

Di fronte al rischio di coinvolgimento del nostro paese in un’avventura più fatale di quella libica, non mi sento rassicurato dal nuovo allineamento ministeriale. Temo che Roma torni ad ospitare conferenze degli “amici della Siria” tanto equivoche nella composizione quanto ipocrite nella valutazione della situazione dei diritti umani e delle violazioni degli stessi compiute dalla parti in lotta.
Non voglio pronunciare giudizi a priori su nessuno, ma non vedo nel governo attuale la volontà di differenziare sensibilmente la linea politica dell’Italia di fronte alle convulsioni del mondo arabo rispetto all’appiattimento del governo Monti sulle posizioni di Regno Unito e Francia (appena un po’ ammorbidite recentemente nel caso di Parigi). Mentre gli americani esitano di fronte alla prospettiva di intervenire militarmente a fianco dei ribelli di Damasco, consapevoli dei rischi di un’escalation, Londra, Parigi e Roma continuano a credere che si debba puntare sulla Coalizione nazionale siriana benché si tratti di un paravento che occulta l’ascesa di jihadisti e islamici radicali.

A Mario Mauro ministro della Difesa ed ex vicepresidente del Parlamento europeo che ben conosce l’altra sponda del Mediterraneo, i problemi delle sue minoranze etniche e religiose per averle toccate con mano rischiando anche di persona, la realtà complessa di situazioni che non possono essere lette con lenti eurocentriche, chiedo di far valere le ragioni del realismo e del buonsenso quando il governo si troverà a dover rispondere alle richieste degli altri partner europei in relazione al dossier siriano e alle altre delicate situazioni che si sono create all’indomani delle cosiddette “primavere arabe”.
I cristiani stanno in politica esattamente per questo: per servire il bene comune sulla base della retta ragione e del senso di realtà. E per convincere, attraverso la loro decisa testimonianza, anche chi cristiano non è a seguirli.

@RodolfoCasadei

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2 commenti

  1. Christian Ice

    Quello che è chiaro dall’ articolo è che Mauro va bene, perché è tanto tanto credente.
    Poi vabbe’, c’è anche chi reputa la superstizione un punto a sfavore.

  2. francesco taddei

    Signor Casadei, la politica estera che lei desidera è solo un buon rapporto diplomatico, di cui l’On. Mauro ha macinato esperienza. La politica estera è affermare la presenza del proprio paese (non quello dell’europa o dei cittadini del mondo, ma del proprio). Inghilterra, Francia e Usa lo fanno bene, avendo costruito un’alleanza (nato) sia politica, che militare. Cioè cercano di avere le migliori condizioni per i loro scopi, ricorrendo se necessario alle armi, vedi appoggio dei ribelli prima in Libia poi in Siria. L’italia lascia fare tutto questo agli altri, limitandosi ad azioni diplomatiche. Nessun ministro degli esteri italiano presente o futuro si spenderà per un ruolo da protagonista dell’italia nella Nato, vista la nostra vocazione al nostro ombelico, che rifiuta sovranità, impegno e autodeterminazione.

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