L'associazione ha festeggiato i suoi primi dieci anni di attività. Incontri, premi, iniziative: segno di una giovinezza gagliarda e aperta a incontrare chiunque. Sono i "giessini della prima ora" che tali sono rimasti
Giovanni Paolo II ci ha insegnato che «la vita è la realizzazione del sogno della giovinezza» e c’è un gruppo a Milano che è splendido esempio di quanto questo sia vero. Si tratta dei Nonni 2.0 che sabato al Rosetum hanno festeggiato il loro decennale e qui si vuole rendere loro tributo perché conosciamo ben poche associazioni che siano così vitali, intelligenti e “sul pezzo” come questi simpatici vecchietti. Ho scritto “simpatici vecchietti” e subito mi pento. Non perché affabili non lo siano per davvero, ma perché con l’espressione di solito si intende gente con le mani in mano o dietro la schiena a rimirare e commentare qualche cantiere cittadino, pensionati con l’hobby per le farfalle in ambra, terza età da bocciofila. Niente di più lontano da quel che abbiamo visto sabato.
Nati nell’alveo di Comunione e liberazione, ne sono oggi una delle espressioni più vivaci, in perenne movimento (un “movimento” dentro il Movimento, direbbero loro), continuamente sulla barricata con giudizi, iniziative, incontri, premi, scritti. Insomma, una vita che continuamente si mette in gioco, azzarda giudizi pubblici, si pone “dentro” l’ambaradan della città terrena, dà battaglia quando è il caso di sfoderare la spada della dialettica.
È gente fantastica, fanciullesca quasi, dotata di un’energia bambina di cui si riconosce con evidenza la fonte. Non amo i discorsi “generazionali”, ma non posso fare a meno di constatare che dei Nonni 2.0 fanno parte tanti di quelli che, da ragazzini, erano sui banchi del liceo Berchet quando in classe tuonava il vocione di don Giussani. C’è gente fra loro che è amica da sessant’anni (sessant’anni!) e da più di mezzo secolo continua a vivere così, con buonumore e in allegria, oggi circondata da figli e nipoti, carnali e spirituali che siano. Sono i giessini della prima ora e le loro rughe piegate al sorriso ci dicono che tali, tanti anni dopo, sono rimasti. Hanno imparato da giovani che le dimensioni della vita cristiana sono tre (cultura, carità, missione) e non l’hanno più dimenticato.
Una forza nella radice che affonda
Sono due lustri che i nostri nonni non stanno fermi un secondo. Quest’anno per il decennale hanno promosso un ciclo di incontri intitolato “Un patto tra generazioni per una società più umana” cui hanno portato il loro significativo contributo, tra i tanti, anche il cardinale Angelo Scola e padre Mauro Lepori, abate generale dell’Ordine Cistercense. Perché il nonno 2.0 è un tipo umano che non si sente un estraneo o un intruso nel mondo. Vuole capire e portare il suo contributo, esserci senza presunzione ma con premura, imparare – anche a ottant’anni – “perché” il buon Dio ci ha fatto capitare sul terzo pianeta del sistema solare.
All’incontro di sabato, il loro presidente Peppino Zola ha iniziato il suo intervento con queste parole: «I nonni non avevano e non hanno bisogno di una associazione per fare bene i nonni. Sanno fare benissimo ciò che devono senza che qualcuno glielo debba insegnare. È la natura stessa, grazie alla sapienza misteriosa del Creatore, che detta ai nonni la giusta e saggia direzione dei propri comportamenti e dei propri giudizi. Non c’era bisogno di una associazione per fare bene i nonni. Ma, stiamo constatando, che c’era e c’è bisogno di un’associazione che aiuti a prendere piena coscienza, personale e sociale, della grande ed essenziale funzione che essi hanno, sia nei confronti dei propri figli e nipoti sia nei confronti dell’intera comunità sociale e istituzionale».
E poi ha offerto a chi lo ascoltava una meravigliosa citazione di Chesterton: «Ora tra noi, per grazia di Dio possiamo dire questa verità: c’è una forza nella radice che affonda, c’è del buono nell’invecchiare; abbiamo trovato finalmente le cose comuni, e le nozze e un credo».
Lieti fino alla fine
Di tutto questo se ne è avuto di nuovo sentore al Rosetum, dove sono giunti anche i messaggi di saluto di papa Francesco («il tempo va abitato nella sua pienezza, in cammino, in dialogo, in relazione»), dell’arcivescovo di Milano Mario Delpini, del responsabile di Cl Davide Prosperi, della ministra Eugenia Roccella, dell’assessore regionale Simona Tironi, del filosofo Fabrice Hadjadj, che hanno preceduto le relazioni della professoressa Donatella Bramanti e del segretario della Cisl pensionati Emilio Didonè.
Impossibile riassumere la ricchezza degli interventi – ma non sarebbe 2.0 se il nonno non avesse il sito dove tutto è o sarà riportato -, ma quel che conta qui è far intuire lo spirito di un gruppo di indomiti che avrà pure qualche acciacco, ma, come ha detto Zola, crede fermamente che «la vita di ciascuno ha un compito ed un destino positivo e che l’accettare con amore la condizione di anziano e di nonno rende lieti fino alla fine, anche perché la fine, in realtà, è un nuovo inizio».
Tanta cultura, dunque, ma anche tanta carità e missione, come s’è visto nella seconda parte della mattinata, in cui grazie a una serie di premi (assegnati a Plinio Agostoni, Paolo De Carli, Alda Vanoni, coniugi Carena, Antonio Mandelli, Pina Randazzo, Licia Scolari, Patrizia Vergani, Mankam Sicombe e Enrico Poisetti) s’è testimoniato come, anche in un tempo presente così sfibrato e umanamente malconcio, sia possibile cogliere i segni di personalità coraggiose e amorevoli.
È la loro una “radice che affonda” in un terreno buono, fertile, accogliente.
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