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Hong Kong, la Cina cambia la legge elettorale e azzera la democrazia

Sarà Pechino a decidere chi può candidarsi a Hong Kong e chi no. Su 90 seggi, solo 20 eletti dal popolo. E intanto gli attivisti vanno in carcere

Leone Grotti
31/03/2021 - 3:30
Esteri
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Una donna festeggia a Hong Kong con la bandiera cinese l'anniversario dell'handover

Il Comitato permanente del Congresso nazionale del popolo di Pechino (Npcsc), l’organismo cinese che ha il potere di interpretare e in parte modificare la Costituzione di Hong Kong, ha approvato stamattina la revisione della legge elettorale dell’isola. Con 167 voti a favore su 167, il sistema è stato rivoluzionato in modo tale da azzerare la rappresentazione democratica e indipendente nell’ormai ex città autonoma.

La nuova legge elettorale

In base alle modifiche, il Consiglio legislativo di Hong Kong passa da 70 a 90 membri, 40 dei quali saranno selezionati dalla Commissione elettorale composta a maggioranza da fedelissimi del Partito comunista cinese. Dei restanti 50 seggi, 30 andranno ai rappresentanti delle professioni (industria, commercio, contabilità, educazione) storicamente vicini alla Cina e soltanto 20 saranno eletti democraticamente dalla popolazione.

Il voto di oggi segue quello durante la riunione annuale del “Parlamento” cinese di tre settimane fa, durante la quale era stata approvata una risoluzione affinché il sistema elettorale di Hong Kong venisse modificato per permettere ai soli «patrioti» di contribuire al governo della città. Anche per questo, i consiglieri distrettuali della città, quasi interamente appartenenti al fronte democratico, sono stati esclusi dalla Commissione elettorale, che pure passerà da 1.200 a 1.500 membri. In questo modo, spiega l’unico deputato di Hong Kong nella Npcsc, il fedelissimo Tam Yiu-chung, la «Commissione verrà depoliticizzata e non diventerà un coagulo di forza anti-Cina».

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I «patrioti» comunisti di Hong Kong

Della Commissione elettorale, insiste Tam, faranno parte solo membri dal “pedigree rivoluzionario” impeccabile. I candidati infatti saranno vagliati da un’altra commissione incaricata di verificare che si tratti di autentici «patrioti», cioè personaggi fedeli al Partito comunista cinese e non appartenenti al movimento democratico. La polizia che assicura il rispetto della legge sulla sicurezza nazionale aiuterà a verificare che i candidati non si siano macchiati di crimini contro il nuovo regolamento draconiano di Hong Kong.

La nuova legge elettorale, che entrerà in vigore domani, proprio come la legge sulla sicurezza nazionale, è passata sopra la testa del governo di Hong Kong e del Parlamento. Il sistema revisionato, che di fatto annulla alla radice qualsiasi possibilità di rappresentanza democratica a Hong Kong, è stato anche esaltato dalla governatrice Carrie Lam: «Dobbiamo spiegare alla gente perché questi miglioramenti sono necessari». A far dubitare di questo approccio c’è però la notizia secondo cui Lam, ancora prima di sapere come sarebbe stata modificata la legge, ha già speso 2,5 milioni di dollari di Hong Kong per promuoverla.

È finita l’autonomia di Hong Kong

Per permettere al governo di implementare la legge in modo adeguato, inoltre, le elezioni, già posticipate di un anno formalmente a causa del coronavirus, nonostante l’insignificante numero di contagi e decessi, saranno ulteriormente rimandate a dicembre.

Si chiude così l’esperienza democratica di Hong Kong, che avrebbe dovuto godere di “ampia autonomia” secondo il modello “Un paese, due sistemi” fino al 2047 e che invece è di fatto diventata una qualunque città cinese del continente dopo l’imposizione a luglio della legge sulla sicurezza nazionale. ed è simbolico che l’ultimo tassello, la revisione della legge elettorale, sia stato implementato a pochi giorni dal verdetto che quasi certamente porterà alla condanna dei primi parlamentari e leader democratici della città.

L’1 aprile, infatti, Jimmy Lai, Martin Lee, Leung Kwok Hung e Lee Cheuk-yan, tra gli altri, ascolteranno il verdetto per aver partecipato nel 2019 a “un’assemblea non autorizzata”: ovvero la grande manifestazione contro la legge sull’estradizione partecipata da 1,8 milioni di persone. Sembra un pesce d’aprile, invece è il pugno duro feroce e farsesco del regime comunista. «Sono pronto ad andare in carcere», ha scritto su Facebook Lee Cheuk-yan. «Mi dispiace perché non potrò partecipare l’1 maggio alla giornata dei lavoratori. Tenete duro!».

@LeoneGrotti

Foto Ansa

Tags: Cinadiritti umaniLee Cheuk-yanpartito comunista cinese
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