Foreign fighter. Linea dura di Parigi: «I terroristi francesi non torneranno»
Anche Monsef Hamid Mkhayar vuole tornare in Italia. Il 23enne di origine marocchina si è unito all’Isis a inizio 2015. Ha combattuto con i tagliagole islamici per quattro anni e ora dice di «essere stato ingannato». Detenuto in una prigione curda, è stato raggiunto da Lorenzo Cremonesi, inviato del Corriere della Sera in Siria. E come tanti altri ha raccontato una storia alla quale è impossibile credere.
«VOLEVO COMBATTERE MA ERO CONFUSO»
Mkhayar dice allo stesso tempo di essersi «radicalizzato» guardando i video dell’Isis su internet e di «non sapere nulla» delle decapitazioni e delle stragi. «Volevo combattere per il Califfato», dice. «Ero confuso, cercavo alternative». A che cosa? A una situazione familiare difficile, un padre che l’ha abbandonato a quattro anni, una mamma con cui ebbe rapporti difficili dopo l’arrivo in Italia e poi il periodo in comunità con don Claudio Burgio, un lavoretto in nero a Milano, zona Lambrate, e infine la partenza per unirsi allo Stato islamico.
Il terrorista islamico risponde vagamente alle domande di Cremonesi, che ammette quanto sia «complesso intervistare un detenuto in carcere» e che ovviamente non si trova a suo agio nei panni del pubblico ministero. Mkhayar dice comunque di aver combattuto «solo un anno» ad Aleppo, Hassaké, Raqqa. Tutti luoghi dove sono state compiute stragi orribili, delle quali il nostro non parla.
«NON SIAMO CRIMINALI: CI HANNO INGANNATO»
Dice però che «Isis non rappresenta più un pericolo per l’Europa». I combattenti che ora vogliono tornare, per risvegliarsi «da un incubo», desiderano solo «vivere in pace come prima». Ma è davvero possibile? «Noi non siamo criminali», si discolpa, «ci hanno ingannato. Non conoscevamo la vera verità dell’Isis, pensavamo di aver ragione e di combattere il male».
Al pari di altri foreign fighter italiani e non, il giovane di origine marocchina non può fare altro che minimizzare. Il suo obiettivo è rientrare in Italia, ma Roma non è affatto obbligata a riprendersi i terroristi con doppio passaporto.
COME SI COMPORTANO PARIGI, LONDRA E BERLINO
Il Regno Unito ha deciso di usare il pugno duro e di non rimpatriare, salvo casi eccezionali, i jihadisti. La Germania valuterà caso per caso e alternerà una linea rigida a una morbida, in base ai nuovi regolamenti approvati. Per la Francia, che dal 2015 ha subito attacchi terroristici con centinaia di vittime, si è espresso il ministro degli Esteri, Jean-Yves Le Drian: «Non ci sarà ritorno. La posizione della Francia è chiara fin dal principio. I francesi che hanno combattuto nei ranghi dell’Isis, hanno combattuto contro la Francia. Sono dunque dei nemici».
Lo stesso vale anche per le «mogli dell’Isis», trattate dai media con quella compassione che non viene rivolta neanche alle loro vittime cristiane e yazide. «Sono andate in Iraq e Siria per combattere. Sono militanti jihadiste e devono essere trattate come tali». Le Drian aggiunge che uomini e donne «devono essere processati là dove hanno commesso i crimini e scontare la pena comminata dai tribunali iracheni». Per quanto riguarda la Siria, «è diverso perché la guerra non è ancora finita» e bisognerà valutare se ci saranno dei tribunali pronti a giudicarli.
Il ministro si dimostra più aperto per quanto riguarda i circa 300 figli dei jihadisti ancora in Siria o Iraq: «Valuteremo caso per caso insieme alla Croce Rossa con molta attenzione. Non bisogna essere ingenui. Non rientreranno tutti in Francia. Vederemo se alcune donne rinunceranno alla potestà».
«ALLESTIAMO UNA NORIMBERGA EUROPEA»
Tutta Europa si sta interrogando se rimpatriare i foreign fighters o meno. Secondo l’esperto internazionale di terrorismo, Lorenzo Vidino, anche se gli italiani che potrebbero tornare sono molto pochi, «non ne hanno alcun diritto: l’hanno perso dal punto di vista morale, vista la turpità delle azioni compiute. Se ci si unisce a una setta fanatica che ha sterminato intere popolazioni, schiavizzato migliaia di donne e compiuto attentati in tutto il mondo non si può certo dire di essere “stanco” e di “voler uscire da questo film” al primo giornalista, una volta arrestati, e pensare di farla franca».
Secondo l’inviato di guerra Gian Micalessin, in tutto circa 800 combattenti europei si trovano attualmente in Siria e sarebbero pronti a tornare. «L’unica soluzione è allestire una sorta di nuovo Tribunale di Norimberga su base europea», sostiene. «Prima ancora di giudicare e condannare i colpevoli degli orrori dell’Isis è necessario interrogarli a fondo per far luce sulle cellule con cui collaboravano e individuare i complici che possono esser nel frattempo rientrati in Europa. Solo così potremo dire di aver vinto la guerra all’Isis, ripulito le città europee e aver reso giustizia a chi è caduto sotto i colpi di quei fanatici».
[Foto Ansa]
[liga]
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