«Immaginate una scuola autogestita da comitati di genitori, docenti o enti no profit, che contrattano con l’autorità scolastica gli obiettivi del progetto educativo. Bisognerebbe accettare anche in Italia che il ruolo dello Stato sia limitato a finanziare e regolare l’istruzione scolastica (pubblica o privata che sia), lasciando ad altri il compito di gestirla e di fornire il servizio alle famiglie». Parola della Conferenza episcopale italiana? Di un presidente di opere educative no profit? Di un dirigente di “diplomificio”? No. Progetto di riforma proposto da due laicissimi professori all’università di Bologna e alla Bocconi di Milano. Andrea Ichino e Guido Tabellini.
Qual è il tarlo che i due prof hanno individuato nella scuola italiana? Non i professori, non gli studenti, non i genitori. Tutte componenti che, nel bene e nel male, si arrabattano per tenere in piedi il carrozzone. Il tarlo è lo Stato. O meglio il fatto, quasi unico al mondo (eccetto nei paesi totalitari), che in continuità col fascismo lo Stato repubblicano ha mantenuto nelle proprie mani (bucate) il monopolio dell’istruzione. Perciò fa sorridere quando si sente dire (lo dice anche la ministra del governo Renzi) che la scuola è al centro dell’agenda politica in quanto il governo finanzia l’assunzione dei precari e i cantieri di messa in sicurezza degli edifici scolastici. Iniziative lodevoli. Ma che equivalgono a soldi dei contribuenti buttati al vento se non si sterza decisamente verso l’autonomia proposta dalle intelligenze migliori.
Pensate, ogni studente scolarizzato nella scuola statale costa allo Stato (al contribuente) 7.319 euro. Contro i 500 euro che lo Stato spende per ognuno degli oltre 1 milione di studenti delle scuole pubbliche paritarie (risparmio totale: oltre 6 miliardi di euro all’anno). Ma se tutte queste risorse venissero consegnate al mondo della scuola, lasciandolo libero di scegliere se rimanere dentro il corpaccione dello Stato o gestirsi in autonomia, forse che insegnanti e genitori non saprebbero (come dimostra il caso paritarie) spendere bene e meglio dello Stato centralista?
D’altronde la fotografia Istat del sistema dell’istruzione monopolistica è abbastanza agghiacciante. In fatto di dispersione scolastica l’Italia è tra i paesi peggiori d’Europa: lascia i banchi troppo presto il 17,6 per cento degli alunni, con punte del 25 nel Mezzogiorno. Siamo maglia nera in Europa (appaiati alla Bulgaria e insidiando l’ultimo posto della Grecia) in fatto di giovani non più inseriti in un percorso scolastico/formativo ma neppure impegnati in attività lavorative. E la cosa incredibile è che le regioni italiane che spendono di più in istruzione e formazione sono quelle del Sud, le stesse in cui i test registrano i peggiori rendimenti in termini di competenze.
Insomma, sarebbe bello, il 10 maggio, quando si troveranno a Roma insieme al Papa per la “festa della scuola”, che i cattolici portassero con sé la volontà di riprendere insieme ai laici una sacrosanta battaglia per la costruzione di una finalmente popolare e moderna scuola, liberata dal fallimentare (e di matrice fascista) monopolio statale dell’istruzione.