
L’Iran è stato abbandonato da tutti (per ora)

Dove sono finiti tutti gli alleati dell’Iran? Il regime siriano di Bashar al-Assad non c’è più da tempo, rovesciato dai jihadisti di Muhammad al-Jolani, le milizie sciite irachene temporeggiano, Hezbollah non è mai stato così debole, Hamas è in lotta per la sopravvivenza, gli Houthi in Yemen hanno possibilità limitate, la Russia si copre un po’ di ridicolo emettendo alti lai sul rischio di disastri nucleari (e quelli che potrebbero provocare loro in Ucraina?), la Cina lancia improbabili appelli alla moderazione senza muovere un dito (mentre simula l’invasione di Taiwan), l’India si sfila e non firma la condanna dell’Organizzazione di Shanghai per la cooperazione (Sco). Nel momento del bisogno, insomma, tutti hanno abbandonato la Repubblica islamica.
L’Asse della resistenza si sgretola
Che nessuno voglia morire per Teheran, impelagandosi in una guerra contro Israele e Stati Uniti, è comprensibile. Ma che l’Asse della resistenza, generosamente finanziato negli anni dal regime degli ayatollah, fino a un anno fa temuta potenza regionale, stia assistendo senza fare nulla per fermare il tentativo dello Stato ebraico di eliminare una volta per tutte il suo dominus è sorprendente.
In Medio Oriente, però, tutto può cambiare in breve tempo e se Donald Trump dovesse decidere di intervenire militarmente a fianco di Israele, paure e reticenze potrebbero essere vinte.
Le milizie sciite temporeggiano in Iraq
Il governo iracheno guidato dal premier sciita Muhammad Shayya al-Sudani sta facendo quel che può per condannare la «spudorata aggressione sionista», guardandosi bene però dal coinvolgersi nel conflitto. Dopo aver ribadito il proprio sostegno all’Iran, Al-Sudani si è ripetutamente appellato agli Stati Uniti per impedire ai caccia israeliani di sorvolare l’Iraq per bombardare l’Iran, finora senza successo.
Le milizie sciite irachene fedeli a Teheran, come Kataeb Hezbollah, mantengono una posizione attendista. Probabilmente responsabili di alcuni timidi tentativi falliti di attentati contro le basi militari americane in Iraq, dove si trovano circa 2.500 soldati Usa, finora si sono limitati alle minacce: «Stiamo monitorando attentamente i movimenti dell’esercito del nemico americano nella regione», ha dichiarato pochi giorni fa il segretario generale dell’organizzazione, Abu Hussein al-Hamidawi. «Se l’America interverrà in guerra, agiremo contro i suoi interessi e le sue basi sparsi nella regione senza esitazione».

Hezbollah non è mai stato così debole
Anche Hezbollah, l’alleato più potente dell’Iran, al momento è rimasto a guardare in Libano. Il “Partito di Dio” è ancora impegnato a leccarsi le ferite dopo la disastrosa guerra condotta contro Israele a partire dall’8 ottobre 2023, su istigazione dell’Iran e a sostegno di Hamas, e tragicamente persa.
L’organizzazione terroristica, che ha dominato per decenni la vita politica ed economica libanese, ha ovviamente condannato «l’aggressione sionista», ma al momento è troppo impegnata a ricostruire le basi e la logistica che lo Stato ebraico ha distrutto dopo mesi di bombardamenti e l’invasione del sud del Libano.
Karim Safieddine, accademico libanese, ha dichiarato ad Al Jazeera che «Hezbollah evidentemente non ha più i mezzi per intervenire». Un sostenitore del gruppo come Qassem Kassir ritiene invece che «al momento Hezbollah non ha bisogno di intervenire, perché i missili iraniani sono sufficienti a rispondere all’occupazione israeliana. Ma se si entrasse in una situazione di guerra totale, allora le cose potrebbero cambiare».
Hezbollah, però, non è soltanto indebolito. È anche arrabbiato con Teheran, secondo l’esperto dell’Atlantic Council, Nicholas Blanford: «Hezbollah è scontento dell’Iran, è rimasto deluso dal comportamento della Repubblica islamica nel recente conflitto» contro Israele, durante il quale non ha ricevuto l’appoggio che si aspettava. «Tutto può succedere», conclude, «per ora però Hezbollah resta a guardare».
Gli Houthi si schierano con l’Iran
Il gruppo più attivo in difesa dell’alleato è quello degli Houthi. Mohammed al-Bukhaiti, membro dell’ufficio politico dei terroristi, ha subito dichiarato l’intervento del movimento yemenita in difesa dell’Iran.
Il 13 giugno gli Houthi hanno lanciato un missile balistico contro Israele, caduto vicino a Hebron. Un secondo missile è stato lanciato il 16 giugno.
Tra la fine del cessate il fuoco a Gaza nel marzo 2025 e l’inizio dell’operazione “Leone nascente”, gli Houthi hanno lanciato oltre 50 missili e droni contro Tel Aviv. Ma per quanto l’organizzazione terroristica rappresenti un pericolo per lo Stato ebraico, le sue capacità sono limitate.
La Cina non rischierà nulla per Teheran
Limitata è anche la risposta all’attacco israeliano di due colossi come Cina e Russia. Xi Jinping ha aspettato cinque giorni prima di esprimere «profonda preoccupazione» per la situazione in Medio Oriente e invocare un ritorno al tavolo delle trattative.
Pechino ha i suoi interessi: attraverso “flotte ombra” è il principale acquirente dei 3,3 milioni di barili di greggio che ogni giorno l’Iran immette nel mercato mondiale in violazione delle sanzioni internazionali. Inoltre, negli ultimi anni ha cercato di affermare il proprio ruolo in Medio Oriente, soprattutto mediando nel 2023 la riapertura dei canali di comunicazione tra Teheran e Riyad.
Nonostante questo, il suo peso è rimasto limitato. L’unica azione concreta della Cina è stata il rimpatrio dei suoi cittadini residenti in Iran: 791 persone sono state trasferite e altre 1.000 sono in attesa di uscire dal paese.
Se Pechino è sicuramente dalla parte dell’Iran, che è entrata nei Brics e nella Sco a guida cinese, non sembra avere intenzione di sbilanciarsi e di rischiare un conflitto con Israele o con gli Usa per proteggere il regime degli ayatollah.

La Russia perde un altro alleato
Lo stesso vale per la Russia. Mosca è visibilmente agitata, rischia di perdere nel giro di pochi mesi il secondo partner regionale, dopo la Siria di Assad, e per questo ha condannato «gli attacchi illegali» di Tel Aviv, oltre a mettere in guardia il mondo dal «disastro nucleare» (da che pulpito).
Il Cremlino ha anche paura di perdere un fornitore di droni a basso costo, utilizzati per terrorizzare la popolazione ucraina e far sprecare munizioni preziose ai sistemi di difesa aerea di Kiev.
Putin vuole usare l’Iran
Se da una parte la caduta del regime degli ayatollah sarebbe un duro colpo per la Russia, dall’altra la guerra tra Iran e Israele non è del tutto negativa per il Cremlino.
Come notato dalla Cnn, l’aumento globale del prezzo del petrolio causato dal conflitto è una benedizione per le casse di Mosca. La guerra, inoltre, potrebbe favorire il ritorno di Vladimir Putin come mediatore nel mondo diplomatico che conta e farlo sedere attorno a un tavolo con Trump e Xi. In cambio del suo aiuto, Putin potrebbe ottenere dagli Stati Uniti concessioni sull’Ucraina.
In ogni caso non sarà di aiuto all’Iran, che (per ora) è stato abbandonato da tutti i suoi alleati.
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