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Come osate ammirare i quadri di quel pedofilo colonialista di Gauguin?

Anche la National Gallery di Londra aderisce all'operazione damnatio memoriae e va a caccia di mostri morali. Il pittore francese è un orco perfetto

Caterina Giojelli
06/12/2019 - 4:00
Cultura
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«È ora di smettere una volta per tutte di ammirare Gauguin?». È la domanda singolare che l’audioguida rivolge ai visitatori della mostra Gauguin Portraits, in programma fino al 26 gennaio alla National Gallery di Londra. Dove la tela Merahi metua no Teha’amana (Gli antenati di Tehamana) del 1893, che ritrae la prima moglie di Paul Gauguin, è spiegata così: l’artista «ha sicuramente sfruttato la sua posizione privilegiata di uomo occidentale per ottenere la massima libertà sessuale. All’epoca di Gauguin, erano molto diffuse le fantasie misogine dell’Europa coloniale sulle donne polinesiane. L’artista intrattenne ripetutamente relazioni sessuali con ragazze molto giovani, “sposandone” due e facendo con loro dei figli. Non è stato invece registrato il punto di vista di Teha’amana sulla loro relazione».

IL DOVERE DI PROCESSARE GAUGUIN

Insomma, il pittore francese, celebratissimo per i suoi ritratti di donne native di Tahiti, dove si recò nel 1891 per poi morire nelle lontane isole Marchesi, si sposa due ragazzette, ebbe anche dei figli da loro e noi dovremmo fare finta di nulla? Neanche per sogno: «In un’epoca di accresciuta sensibilità pubblica nei confronti di questioni di genere, razza e colonialismo – ha spiegato il New York Times -, i musei hanno il dovere di rivalutare la sua eredità». Cosa che, a leggere i pannelli della mostra, sembrerebbe un eufemismo: la didascalia di Autoritratto, 1890/94, recita: «La volontà di Gauguin di adottare un’identità non bianca per enfatizzare la sua “alterità” e la presunta “ferocia” dei suoi impulsi creativi è emblematica della sua visione del mondo, in definitiva, eurocentrica, coloniale».

«UN PEDOFILO PATERNALISTICO E ARROGANTE»

Christopher Riopelle, co-curatore della mostra prodotta insieme alla National Gallery di Ottawa, ha detto al Nyt di essere «deluso» dal fatto che l’impellente bisogno di fare arte avesse portato Gauguin a «fare del male e abusare di tante persone». Proprio a Ottawa poco prima dell’apertura, il nuovo direttore del museo Sasha Suda aveva deciso di intervenire sui testi della mostra per evitare «un linguaggio culturalmente insensibile»: spiegando per esempio che termini come “selvaggio” o “barbaro” «oggi considerati offensivi, erano di uso comune all’epoca di Gauguin»; o specificando, là dove si parlava di «relazioni con giovani donne tahitiane» che Gauguin ebbe «relazioni con ragazze tahitiane di 13 o 14 anni». «Era un pedofilo arrogante, paternalistico e sopravvalutato», ha tuonato Ashley Remer, fondatrice di girlmuseum.org che non tifa per la censura delle opere ma per «dire la verità sulle persone»: e la verità è che le azioni di Gauguin sono state così vergognose da far passare in secondo piano le sue opere, «se i suoi dipinti fossero fotografie, sarebbero considerate scandalose e non le avremmo accettate nei musei».

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SESSISTA, COLONIALISTA E POCO INCLUSIVO

Altre colpe di Gauguin: aver reso oggetti le donne senza chiamarle per nome nel titolo dell’opera. Cosa che dieci anni fa aveva già mandato ai matti l’artista samoana Tyla Vaeau che in riparazione aveva prodotto un ciclo fotografico “Dee e Dallas Do Gauguin” ritagliando i volti senza nome del pittore francese e inserendo al loro posto quelli della sorella e dei suoi amici. Ancora: la sua arte è un problema, sostiene Caroline Vercoe, docente di Storia dell’arte all’università di Auckland, finché continuerà ad essere usata per rappresentare la cultura indigena sospesa in un luogo senza tempo e prigioniera del suo passato. Insomma Gauguin era un sessista, colonialista e pure poco inclusivo: trovando nei suoi dipinti dei corpi scuri del Pacifico troppo «filtrati dal suo desiderio», l’artista afroamericano Keinde Wiley ha deciso quindi di dipingere una nuova serie di tele su Tahiti che raffigurano i Mahu, una comunità “non binaria” che rappresenta il “terzo genere” in Polinesia.

GLI OBBLIGHI DELL’ARTISTA E I MUSEI #METOO

Quindi bisogna cambiare narrazione: «Con questa mostra è stato sollevato un altro strato di protezione di cui ha goduto l’artista – sostiene Line Clausen Pedersen, curatrice danese –. Forse i tempi sono maturi per toglierne un altro. Ciò che resta da dire su Gauguin deve essere usato per portare allo scoperto tutti i suoi aspetti più abietti». La National Gallery in questo senso «ha fatto un importante passo avanti nel riconoscere che non è più eticamente sostenibile interpretare le opere nell’ambito di un vuoto estetismo», ha commentato al Telegraph la museologa Janet Marstine: «La posizione di un artista nei canoni occidentali non lo rende immune dai suoi obblighi morali». Del resto è la stessa National Gallery ad avere affermato che oggi, sulla scia del movimento #MeToo, è giusto chiedersi se «amiamo ancora il lavoro di artisti di cui detestiamo il comportamento».

DAMNATIO MEMORIAE SENZA QUARTIERE

Neanche l’arte si salva dalla nuova inquisizione dei progressisti per cui esiste un solo metro accettabile per vivere nella storia – cioè imporle retroattivamente l’agendina valoriale del XXI secolo. E riscriverla, proprio come nei regimi illiberali. C’è da chiedersi chi sarà la prossima vittima della damnatio memoriae senza quartiere che dal cinema alla letteratura ha dato il via all’operazione “igiene delle eredità” (da John Wayne a Dumbo, da Cristoforo Colombo al National Geographic). Non vi sentite in colpa oggi quando guardate un film di quello stupratore di Roman Polanski o di quel molestatore di Woody Allen, di quell’ubriacone antisemita di Mel Gibson o di quel razzista di Liam Neeson, quando cioè ammirate le opere del mostro morale di turno?

INTANTO UN GAUGUIN VALE 9,5 MILIONI

Dopo aver assistito a Londra alla censura dei nudi di Egon Schiele, artista viennese incarcerato per oltraggio alla morale, e all’introduzione della “parità di genere” (esposizione di tanti nudi femminili quanti nudi maschili), c’è da chiedersi chi sarà la prossima vittima dell’isteria moralista: il turbolento Caravaggio che frequentò prostitute, cercò risse, si macchiò di omicidio, Rembrant che maltrattava l’amante, Picasso che spingeva le donne al suicidio o alla pazzia? Nel frattempo apprendiamo che il capolavoro tahitiano Te Bourao II, realizzato nel 1897 da Gauguin è stato venduto martedì sera all’asta a Parigi per 9,5 milioni di euro, quasi il doppio del suo valore stimato. Come ha osato il “collezionista internazionale residente in Francia” aggiudicarselo?

Foto Ansa

Tags: cartello ristorante razzista pechinocensuraCristoforo ColomboJohn Waynenational galleryPaul GauguinPoliticamente Correttorazzismosessismowoody allen
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