Ma quale hate crime, qualcuno ricordi ai progressisti la distinzione tra peccato e reato

Di Gavin Ashenden
14 Aprile 2024
Perché i cattolici non possono non ribellarsi alla pretesa dello Stato di controllare le menti e i cuori e raddrizzarli a colpi di rieducazione e coercizione. Il caso della legge sui “crimini d’odio” scozzese
Una delle immagini utilizzate dal governo della Scozia per la campagna pubblicitaria sulla nuova legge contro i crimini d’odio (Hate Crime and Public Order Act)
“L’odio fa male”, recita una delle immagini utilizzate dal governo della Scozia per la campagna pubblicitaria sulla nuova legge contro i crimini d’odio (Hate Crime and Public Order Act)

Per gentile concessione del Catholic Herald, proponiamo di seguito in una nostra traduzione un commento di Gavin Ashenden all’entrata in vigore in Scozia del Hate Crime and Public Order Act, la controversa legge contro i crimini d’odio di cui ci siamo occupati qui. Ashenden è stato cappellano onorario della Regina e vescovo anglicano prima di convertirsi al cattolicesimo nel 2019. La versione originale inglese del suo articolo è disponibile in questa pagina.

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C’è stato un tempo non così remoto in cui la disputa su J.K. Rowling in ambito cattolico era limitata in genere a una diatriba tra gli esorcisti diocesani e i fan dei libri di Harry Potter.

All’epoca gli esorcisti diocesani sconsigliavano ai genitori cattolici di permettere ai loro figli di leggere Harry Potter (o di leggere essi stessi quei libri) poiché ritenevano che la romanticizzazione della magia rappresentasse un pericolo per le anime e per la nostra società.

I fan dei libri non erano d’accordo. Ribattevano che la magia era una metafora e che nessuno l’avrebbe presa sul serio, e che anzi il contenuto morale ed etico dei libri della Rowling era inequivocabilmente cristiano e costituiva un nuovo “genere Narnia” per le generazioni più giovani.

Non siamo nella posizione adeguata per valutare quali danni (e di che tipo) possano essere stati causati a una generazione di ragazzini attraverso la glamorizzazione della magia; siamo però nella posizione per giudicare l’integrità di J.K. Rowling in persona. La Rowling è diventata una pubblica eroina che si batte per la tutela e la difesa delle donne vulnerabili costrette a subire attenzioni sgradite e intimidatorie da parte di uomini che hanno effettuato una presunta transizione da un sesso all’altro.

E in queste settimane è tornata al suo ruolo di attivista per via dell’entrata in vigore in Scozia della legge sui crimini d’odio. Come hanno osservato la Rowling e altri, la nuova legge scozzese rappresenta in generale una grave minaccia alla libertà di parola. E rappresenta anche una minaccia di altro tipo: il trionfo di un’immaginazione disordinata sui dati di fatto della biologia, del soggettivo su qualunque possibile tentativo di oggettività.

In questo scenario penale da Alice attraverso lo specchio realizzato dalla nuova legislazione scozzese, la dimostrazione dell’esistenza di un reato compete alla persona che denuncia. Se questa sospetta, o sente, o immagina, o semplicemente decide che è stato commesso un reato con matrice d’odio, può rivolgersi alla polizia.

Siamo di fronte a un incubo sotto molti aspetti; si stenta a credere che l’ideologia progressista sia riuscita e sia stata autorizzata a mettere a segno un golpe culturale, psicologico e politico di questa portata.

Ed è difficile comprendere perché non si veda una sollevazione collettiva da parte delle Chiese britanniche. Vescovi e sacerdoti sono rimasti in larga parte in silenzio.

La legge istituisce il reato penale di “fomentazione dell’odio”, ampliando analoghi criteri basati sul razzismo che sono in vigore già da decenni. Estende inoltre il reato ad altre motivazioni: l’età, la disabilità, la razza, la religione, l’orientamento sessuale e – naturalmente, ed è l’aspetto più controverso – l’identità transgender.

La sanzione per chi “fomenta l’odio” va da una multa alla detenzione in carcere fino a sette anni.

La questione della libertà di parola e il problema della preminenza del soggettivo sull’oggettivo sono già state affrontate nel dibattito laico. Non è stata affrontata affatto, invece, la questione ben più grave del concetto stesso di crimine d’odio come fattispecie di reato di opinione.

Questo dovrebbe essere un errore di categoria – ossia un abbaglio logico per cui qualcosa che appartiene a una certa categoria si presenta come appartenente a un’altra categoria – che la Chiesa ha l’interesse e il dovere di correggere. Quando ero uno studente di giurisprudenza, decenni fa, a me e ai miei compagni è stato insegnato come un assioma comunemente accettato il fatto che non si possa legiferare sulla virtù. Che fosse impossibile migliorare la natura umana varando leggi intese a renderla più virtuosa. Il compito della legge era reprimere i comportamenti antisociali o criminali. Non poteva certo produrre virtù o rendere più virtuose le persone.

La visione più antica, su cui era stata costruita la nostra società, si basava su un’antropologia diversa: il cristianesimo riconosceva e insegnava che il difetto della natura umana era il peccato, quel “peccato originale” che troviamo nel racconto della Genesi.

Ma c’è stata in Occidente una battaglia ideologica per promuovere una lettura diversa della condizione umana: un’alternativa secolare e tracotante. E questa si è sostituita alla visione cristiana del mondo. Lo sradicamento della comprensione cristiana dell’umana condizione ha portato come risultato alla sostituzione della coscienza del peccato con l’illusione della perfettibilità umana, realizzabile attraverso il doppio flagello dell’educazione e della coercizione.

Tale illusorio wishful thinking ispirato a Rousseau è diventato la nuova antropologia della sinistra. E come ha osservato con estrema precisione Jordan Peterson, segue sempre la medesima traiettoria: educazione, coercizione e poi, quando questa fallisce, incarcerazione e – si pensi all’Arcipelago Gulag dello scrittore russo Aleksandr Solzenicyn – campi di sterminio.

La conta delle vittime dovute alle campagne progressiste di coercizione sociale ammonta a qualcosa come oltre 60 milioni di morti sotto Stalin e 80 milioni di morti sotto Mao Zedong.

L’introduzione del reato di opinione costituisce quella che è diventata quasi una risposta riflessa da parte della sinistra nel tentativo di estendere il proprio potere e il proprio controllo fin dentro il santuario dei cuori e delle menti degli uomini.

L’intero edificio del reato di opinione non solo si basa su una lettura fuorviante della natura umana e della realtà della condizione umana, ma è anche rivelatore di un’aspirazione al controllo statale che dovrebbe far scattare il più acuto dei campanelli d’allarme.

La cultura laica progressista persegue le sue ambizioni con il suo etichettare e “alterizzare” il prossimo come colpevole di razzismo (benché non sappia definire la razza), misoginia (mai androginia, si badi bene) o di una qualsiasi delle fobie false e pretestuose (dall’omofobia all’islamofobia, ma mai la cristianofobia) inventate per alimentare la fantasia di un reato di opinione da correggere e per estendere la portata del suo controllo.

Accettando senza riserve la validità di questa gamma di reati di opinione, la Chiesa perde la battaglia per la mente, l’immaginario e la cultura.

Gli esseri umani non sono perfettibili per mezzo di educazione e coercizione. La nostra diagnosi, invece, consiste in ciò che chiamiamo “peccato” e che ben descrive quel complesso miscuglio di imperfette aspirazioni che occupa i cuori e le menti degli uomini.

E per quanto riteniamo importante, curiamo e abbiamo ampliato l’educazione, la prognosi dei cattolici è una rinnovata relazione con il nostro santo Creatore per mezzo del sacrificio di Cristo.

Ma la viltà e l’insicurezza che ci portano a fare nostre le stesse etichette di cattiva condotta del mondo, e il nostro sgomitare per essere idealmente “antirazzisti”, “antibullismo” e “antifobici” al pari del più utopico tra i secolaristi, è un errore di categoria pericoloso. Al “reato di opinione” non si può rimediare né con l’ostracizzazione sociale né con la legge.

E scoprire che lo Stato ha raggiunto un tale livello di autostima e di stupidità da varare una legge per criminalizzare quello che chiama il crimine d’odio del misgendering, dovrebbe, ripeto, far scattare il più acuto dei campanelli d’allarme tra i cristiani.

L’“odio” non può essere sanato dalla legge o dalla riprovazione. E il rifiuto di sfidare l’antropologia erronea su cui questa idea si basa non potrà che condurre a una capitolazione dei nostri diritti umani davanti alle aspirazioni totalitarie dell’utopismo progressista.

L’evangelizzazione è ormai non solo la faccenda di dovere e desiderio che è sempre stata, ma ora è diventata, con più urgenza, l’unico mezzo per salvare la nostra società dal cadere nella morsa di uno Stato di polizia che si è arrogato il diritto di sapere cosa c’è nella tua mente, e di sbatterti dentro finché non sarà soddisfatto del tuo modo di pensare.

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