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Liam Neeson e il peccato imperdonabile di razzismo

Il linciaggio mediatico (con censura) del celebre attore dimostra che su certi temi non c'è più misericordia, nemmeno se il peccatore si pente. Il commento di Rod Dreher

Redazione
07/02/2019 - 4:00
Spettacolo
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Liam Neeson nel film "Un uomo tranquillo" (Cold Pursuit)

Il caso Liam Neeson non dimostra solo che non è più possibile per un bianco parlare di razza e di razzismo, nemmeno se lo fa per confessare di aver capito che il razzismo è sbagliato; la censura subita dal noto attore rivela anche che ormai la società occidentale ha completamente perso il senso del pentimento e della misericordia, e perciò si sta autodistruggendo. È questa in sintesi la riflessione dello scrittore americano Rod Dreher, autore de L’Opzione Benedetto, sulla incredibile vicenda che rischia di travolgere una delle più celebri star del cinema contemporaneo.

Prima i fatti. Come ricorda lo stesso Dreher nel suo blog ospitato nel sito di The American Conservative, tutto è cominciato con un’intervista concessa da Neeson all’Independent per lanciare il nuovo film di cui è protagonista, Cold Pursuit (Un uomo tranquillo nella versione in italiano). Nella conversazione, l’attore parla con sofferenza di un breve periodo della sua vita in cui si è lasciato sopraffare da una rabbia «primordiale» degenerata in razzismo, in seguito a un episodio di violenza subìto da una sua familiare di cui non rivela l’identità.

Ecco il passaggio saliente nel resoconto dell’intervistatrice:

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«Accadde qualche tempo fa. Neeson era appena tornato dall’estero e aveva scoperto dello stupro. “Lei affrontava la violenza subita nel modo più straordinario possibile”, racconta. “Ma la mia reazione immediata fu…”. Fa una pausa. “Le chiesi se sapeva chi fosse stato. Disse di no. ‘Di che colore era?’. Disse che era un uomo di colore”.

“Cominciai ad andare in giro con un manganello, sperando di essere avvicinato da qualcuno. Mi vergogno a dirlo. L’ho fatto forse per una settimana: speravo che qualche ‘bastardo nero’ [Neeson virgoletta l’espressione nell’aria con le dita] se ne uscisse da un pub e attaccasse briga con me, capisce? Di modo che io potessi”, un’altra pausa, “ucciderlo”.

Neeson sa chiaramente quel che sta raccontando, e quanto sia scioccante, sconvolgente. “Mi ci è voluta una settimana, forse una settimana e mezza, per superarlo. Lei diceva: ‘Dove stai andando?’. E io: ‘Esco solo a fare una passeggiata’. ‘C’è qualcosa che non va?’. ‘ No no, non c’è niente che non va’”.

Volutamente omette dei dettagli per proteggere l’identità della vittima. “È stato orribile, quando ci ripenso, orribile che io lo abbia fatto”, dice. “E non l’ho mai rivelato, e ora lo sto raccontando a una giornalista. Dio non voglia”.

“Porca putt…”, commenta Tom Bateman, altro attore del film, che siede al suo fianco.

“È terribile”, continua Neeson con respiro tremante. “Ma da tutto questo ho imparato una lezione, quando alla fine mi sono detto: ‘Che ca… stai facendo?'”».

L’esito di questa drammatica confessione è stato un linciaggio mediatico. Opinionisti e troll vari hanno subito iniziato a darsi il cambio per celebrare la fine della carriera di Liam Neeson. Stando alla rivista specializzata Variety, la casa di produzione di Cold Pursuit, Lionsgate, ha addirittura cancellato la prima newyorkese del film, già programmata con tanto di red carpet per l’attore protagonista.

Commenta Dreher:

«È incredibile. Nell’intervista, Neeson ha raccontato una storia molto personale di come la rabbia lo ha consumato al punto da fargli desiderare di commettere un omicidio razzista. Si è condannato in questa rievocazione, offerta come un monito per mettere in guardia dalla rabbia che può fare impazzire l’uomo. Neeson non ha in alcun modo giustificato la sua rabbia – ha fatto l’esatto opposto».

Questo però non è servito a risparmiargli le critiche più pesanti dalla stampa britannica e internazionale. Dreher cita per esempio il commento scritto per il Daily Mail dal noto giornalista Piers Morgan, che definisce le parole di Neeson degne di un membro del Ku Klux Klan. Viste le reazioni scomposte seguite all’intervista, l’attore ha provato a giustificarsi in tv, a sottolineare di non essere razzista, di aver cercato l’aiuto di un prete cattolico dopo quello sciagurato episodio, e di essere cambiato grazie a lui. Ma niente da fare, la bufera non si è placata.

Ancora Dreher:

«È sconvolgente, quello che la folla sta facendo a Neeson. Ripeto: Neeson ha ammesso che quarant’anni fa lo stupro di un’amica da parte di un uomo di colore lo ha spinto ad abbandonarsi a una rabbia omicida contro i neri. Si è reso conto di essere in errore e ha cercato l’aiuto di un prete. Adesso, quarant’anni dopo, racconta questa storia per dire fino a che punto la rabbia può accecare moralmente un uomo.

Per questo, ora la gente dice che si è rovinato da solo la carriera.

Qual è la morale? Se sei bianco, non mostrarti mai vulnerabile quando parli di razza. Mai.

È davvero deprimente. Questa completa mancanza di misericordia, di grazia, ci sta lacerando. La reputazione di Liam Neeson finisce triturata perché da ventenne, furioso per lo stupro di un’amica, lasciò che la sua rabbia lo portasse nel posto sbagliato. Si è pentito. Si è pentito quarant’anni fa e oggi rivela quella storia come un monito. Che cosa vuole la gente da quell’uomo?

Secondo Rod Dreher, c’è qualcosa di perverso in una cultura che non permette a un bianco (tanto meno se maschio) di parlare di razzismo se non concependosi eternamente come un carnefice, e che non permette a un bianco (tanto meno se maschio, e per giunta famoso) di ammettere la propria fragilità. Nemmeno a fin di bene.

«Abbiamo creato una cultura che disprezza il pentimento e condanna la grazia».

L’autore de L’Opzione Benedetto cita Solzenicyn, che a più riprese nei suoi interventi e nei suoi scritti mise a fuoco qualcosa di simile parlando della tendenza dei sovietici a incolpare sempre qualcun altro («loro») per qualunque difficoltà della Russia e per qualsiasi traccia di male nel mondo. Del resto è nella nostra natura individuare dei capri espiatori per esorcizzare il male che invece è prima di tutto in ciascuno di noi, prosegue Dreher passando a citare le celebri tesi di René Girard. E la rivoluzione del cristianesimo consiste proprio nell’insegnare agli uomini come superare questo impulso primordiale. Lo stesso Neeson di fatto lo ha confermato, confessando di essersi comportato verso i neri come si comportò la folla verso Gesù.

Conclude Dreher:

«Un prete di Gesù Cristo ha fermato Neeson, lo ha rimesso sulla giusta strada e lo ha spinto al pentimento. In quell’intervista Neeson ha provato nel suo modo maldestro a testimoniare il potere maligno della passione e la via d’uscita dalla sua presa. E guardate che cosa gli è successo.

Solzenicyn diceva che il comunismo rendeva gli altri capri espiatori al punto di condannarli alla prigione, alla baionetta, alla fucilazione, alla fame […] che l’intera catastrofe comunista rovinò sulla Russia perché i russi avevano dimenticato Dio. Quando si perde il Dio cristiano, si perde di vista il fatto che tutti hanno peccato. Si perde di vista il fatto che siamo peccatori bisognosi di perdono e che dipendiamo dalla misericordia di Dio – e perciò dobbiamo perdonare gli altri. Si dimentica che il viaggio attraverso la vita è un pellegrinaggio di pentimento.

Prosegue Solzenicyn nel suo saggio del 1974: “Se non riscopriremo il dono del pentimento, il nostro paese perirà e trascinerà il mondo intero con sé”.

Così è l’America nel 2019. La nostra è una nazione post-cristiana. Abbiamo dimenticato Dio. Abbiamo dimenticato il senso della grazia, del pentimento e della misericordia. Di certo, rendendo il pentimento e la misericordia un vizio, la sinistra è determinata a distruggere il nostro paese».

Foto Ansa

Tags: aleksandr solzenicynrené girardrod dreher
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