Violentate e umiliate tutti i giorni della loro vita
Qualcuno ha pubblicato le foto dei piedi martoriati della sposa bambina. La ragazzina fissa un punto imprecisato della stanza mentre le sbendano le caviglie per riprendere cicatrici e macchie di sangue raggrumato, segni di pesanti catene. Per cinque mesi se le era trascinate tra i liquami del cortile, pulendo lo sterco delle bestie di Khizar Hayat, l’uomo che la mattina del 25 giugno 2020 l’aveva rapita, portata a Faisalabad, convertita all’islam, stuprata, sposata a forza e incatenata, lo stesso uomo che la ragazzina, davanti ai magistrati, avrebbe chiamato «mio marito». Lei, la piccola cattolica Farah, aveva solo 12 anni il giorno delle presunte nozze, lui 45. Dopo averlo ignorato per mesi, la polizia si era decisa a raccogliere la denuncia del suo papà disperato solo a dicembre, e così l’aveva trovata nella casa dell’aguzzino musulmano: incatenata come un animale. «Sono la sua schiava», aveva detto alla polizia quel giorno, «l’ho sposato e ho abiurato liberamente, riportatemi da lui», avrebbe poi supplicato davanti ai magistrati il 23 gennaio. Che cosa era accaduto nelle settimane successive alla liberazione? Farah non era stata restituita al padre ma condotta in un centro di accoglienza del governo: qui le avevano messo in mano un rosario islamico, insegnato le preghiere del profeta. Era spuntata anche una perizia medica: denti e genitali, c’era scritto, corrispondevano a quelli di una ragazza tra i 16 e i 17 anni. A nulla erano valsi il certificato di nascita, le proteste del padre, l’evidente corporatura da bambina: quel giorno, facendo cadere tutte le accuse verso il rapitore, il giudice non chiese nemmeno a Farah perché suo marito la tenesse in catene.
«Dalla morte di Shahbaz Bhatti i casi delle bambine rapite, convertite e sposate a forza si sono moltiplicati», spiega a Tempi Shahid Mobeen, fondatore dell’associazione Pakistani cristiani in Italia, amico e consulente del ministro cattolico che sacrificò la sua vita per difendere le minoranze religiose in Pakistan assassinato il 2 marzo 2011 a Islamabad. «All’epoca di Bhatti, che interveniva dovunque e per chiunque avesse bisogno del suo aiuto, si contavano tra i 500 e i 600 casi l’anno. Nel 2019 erano mille, nel 2020 sono raddoppiati: duemila i sequestri registrati tra ragazzine cristiane e indù, numeri confermati dalla Human Rights Commission of Pakistan, commissione indipendente le cui alte cariche sono ricoperte da uomini e donne di fede islamica. Il copione è sempre lo stesso, i predatori scelgono ragazzine tra 12 e 15 anni, giustificando con la conversione all’islam e la salvezza delle anime la violenza sessuale nei confronti di minorenni. Un crimine che arriva a godere di sostegno istituzionale e legittimità in un paese dove i musulmani rappresentano il 95 per cento della popolazione. Non scelgono donne anziane o adulte da riconoscere come madri o sorelle nella fede, ma ragazzine vulnerabili provenienti da comunità emarginate in patria, da rivendere dopo qualche anno sul mercato della prostituzione in Cina o negli Emirati Arabi».
Ad alimentare il business dei matrimoni forzati è una vera e propria mafia composta da imam, magistrati, poliziotti corrotti. I cosiddetti centri di accoglienza per le donne accreditati dal ministero dell’Interno, dove i giudici spediscono le ragazzine in attesa delle sentenze, sono colmi di funzionarie preposte a rafforzare la conversione islamica. Ma la maggior parte delle vittime non arriva nemmeno davanti a un giudice, né viene denunciata la loro scomparsa. «Nelle zone più povere del Punjab famiglie poverissime sono diventate l’obiettivo degli “intermediari” di un traffico di esseri umani internazionale», dice Mobeen. Tra gennaio 2018 e aprile 2019 i cinesi si sono comprati per due soldi 629 “mogli” pakistane.
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Si trascinò fino alla stazione di polizia: «Mi hanno costretta a bere alcol diluito nel succo. Ero semincosciente mentre mi stupravano e mi filmavano nuda. Quando sono tornata in me hanno minacciato di uccidere tutta la mia famiglia. Mi hanno anche mostrato il video e le foto che avevano scattato con i loro cellulari mentre mi stupravano». Mohamad Nakash Tariq aveva iniziato subito a dare Maira in pasto a uomini musulmani. Quattordici anni e cattolica: il barbiere di Madina Town, già sposato e con due figli, le aveva teso un agguato con due complici il 28 aprile 2020, costringendola lo stesso giorno ad abiurare, sposarlo, farsi violentare. Per mesi Maira aveva assistito impotente alla battaglia della sua mamma per riportarla a casa: il tribunale di Islamabad in primo grado aveva dato credito alla versione del “marito” (e ai suoi sostenitori, 150 musulmani inferociti) che asseriva che la ragazzina avesse 19 anni, nonostante certificato di nascita e documenti ecclesiastici e scolastici attestassero ne avesse solo 14. Riconosciuta in secondo grado la minore età, l’Alta Corte di Lahore l’aveva comunque rispedita dal “marito”: secondo il giudice la conversione all’islam, che ammette le nozze a partire dal menarca, validava il suo matrimonio. E Maira era scappata, denunciando le violenze e negando l’abiura della propria fede cattolica, sottolineando di essere stata ingannata tramite la firma di documenti in bianco. Da parte sua Nakash aveva sobillato le folle: rinunciando a lui Maira aveva commesso apostasia, un atto di tradimento meritevole di morte, legittimato come delitto d’onore.
«Non esiste una legge che protegge le minorenni dagli stupri, quelle esistenti sono piene di lacune e non impediscono matrimoni e conversioni forzate», spiega Mobeen. «In questi anni sono state avanzate diverse proposte da singoli parlamentari e nessuna si è tradotta in legge. Ciò che vale a livello federale non è detto trovi adempimento nelle regioni, cui è affidato il potere esecutivo. Ogni regione ha le proprie norme: basti pensare che nel Sindh la maggiore età è riconosciuta a 18 anni, nel Punjab a 16. Il governo annuncia misure bandiera appena si accendono i riflettori internazionali su casi come quello di Maira, ma appena scema l’attenzione mediatica ogni iniziativa viene affossata».
La nuova Commissione nazionale per le minoranze religiose, istituita pochi mesi fa in pompa magna dal governo, non ha il mandato del parlamento, quindi nessuna autorità e indipendenza. Grande risalto ha avuto anche l’annuncio da parte di Hafiz Tahir Mehmood Ashrafi, capo del Pakistan Ulema Council e consigliere del premier Imran Khan, dell’istituzione di una divisione interna all’ufficio del governo per l’Armonia interreligiosa, con il compito di affrontare la piaga dei matrimoni e delle conversioni forzate, «ma non c’è nessuna lettera di incarico da parte del governo che autorizzi ufficialmente Ashrafi a intervenire in materia», puntualizza Mobeen. Soprattutto, nell’attuale governo Khan, non esiste nessun rappresentante delle minoranze. A differenza di quanto proclamato dalle autorità, a Maira, minacciata di morte, non è stata accordata nessuna protezione: «Oggi lei e i suoi cari vivono protetti solo da Naveed Amir Jeeva, parlamentare cristiano del Partito popolare pakistano, che ha fornito loro un alloggio sicuro. La loro causa è seguita in particolar modo da Lord David Alton, pari del Regno Unito: il battagliero parlamentare cattolico sta incalzando il governo a deliberare sulla richiesta della famiglia di ottenere l’asilo in Inghilterra, ma soprattutto a intervenire chiedendo conto al Pakistan, destinatario degli aiuti britannici, del trattamento riservato alle minoranze religiose».
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Al cospetto dell’Alta Corte del Sindh la minuscola Arzoo era riuscita a sostenere di avere 18 anni, negare di essere stata rapita mentre giocava fuori dalla sua casa a Karachi, e pregare i giudici di lasciarla tornare dal marito Ali Azhar, il musulmano di 44 anni che l’aveva sequestrata, convertita e sposata il 13 ottobre scorso. Ma perfino i magistrati questa volta faticavano a credere alla sua versione, la versione di una bambina di soli 13 anni. Erano stati loro a evitare indagini e arresto ad Azhar. Poi però si erano messi di mezzo Bilawal Bhutto Zardari, presidente del Partito popolare pakistano, e la Conferenza episcopale: all’appello del cardinale di Karachi Joseph Coutts per chiedere giustizia per Arzoo avevano risposto centinaia di persone e, da Lahore a Faisalabad, le piazze si erano riempite di manifestanti. I giudici erano stati costretti ad aprire un’inchiesta e trasferire la piccola in una casa di accoglienza. È lì che, in balìa delle minacce dei familiari del “marito” e dell’influenza di “educatrici” islamiche autorizzate dal governo, Arzoo aveva deciso che non sarebbe tornata a casa.
«Il rancore dai connotati violenti assunto dai musulmani nei confronti di cristiani e indù affonda le sue radici nella storia del subcontinente indiano», racconta Mobeen. «Il Pakistan è uno Stato inventato dai musulmani dell’India nelle zone in cui erano in maggioranza, per evitare di trovarsi sotto il dominio degli “infedeli” al momento dell’indipendenza dall’Inghilterra nel 1947. Allora Ali Jinnah, il padre della patria, aveva promesso a tutte le minoranze (cristiani, ma anche induisti, baha’i, buddhisti, sikh, parsi e ahmadi) che il Pakistan sarebbe stato uno Stato laico e che il concetto di “musulmani” andava inteso in senso più etnico che religioso». Questo non servì a tenere unito il Pakistan occidentale a quello orientale, che nel 1971 divenne il Bangladesh indipendente, né ad arginare la trasformazione da repubblica a repubblica islamica o l’introduzione della sharia: retaggio dell’epoca coloniale, le minoranze rimasero gente di bassa casta o fuoricasta da escludere dal sistema. Oggi la situazione sta degenerando anche nei confronti di gruppi etnici musulmani: spinte autonomiste delle regioni Khyber Pakhtunkhwa e Balochistan rappresentano come mai in passato una minaccia per il governo centrale.
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«Sono incinta»: le era stato permesso di chiamare i genitori dalla camera in cui era segregata dal 10 ottobre 2019, da quando Abdul Jabbar l’aveva rapita, trascinata lontano da Karachi, violentata, sposata e costretta alla conversione all’islam. Quel giorno Huma aveva solo 14 anni, ne avrebbe compiuti 15 in prigionia, scoprendo di aspettare un bambino. «Come può essere maggiorenne una bambina nata nel 2005?», aveva ribattuto incredula la madre quando il rapitore si era rivolto alla Corte suprema per liberare dalla patria potestà la ragazzina, brandendo un video in cui lei, terrorizzata, si diceva maggiorenne e dichiarava di voler restare con l’uomo diventato suo marito per legge islamica.
Il caso di Huma sarà il primo ad attirare l’attenzione mediatica internazionale, il primo in cui verrà osata un’azione giudiziaria nei confronti del rapitore, di cui è stato chiesto l’arresto lo scorso 7 gennaio. Non sapeva Huma, murata nella casa dell’aguzzino, che un movimento di popolo, animato da campagne e petizioni lanciate all’estero da Aiuto alla Chiesa che soffre, e soprattutto dal coraggioso avvocato Tabassum Yousaf, impegnata pro bono nella difesa dei genitori di Huma (e di altre spose bambine) davanti all’Alta Corte del Sindh, battagliava per riportarla a casa. Cattolica e madre di due figli, l’avvocato aveva portato avanti il caso affidatole dalla commissione Giustizia e Pace dell’arcidiocesi di Karachi fino all’arresto di Jabbar, nonostante i seguaci di quest’ultimo l’avessero minacciata di servirsi della legge anti-blasfemia: «Strapperemo pagine del Corano, le metteremo davanti casa tua e ti accuseremo di aver profanato il libro sacro».
«Anche le vittime della legge sulla blasfemia sono raddoppiate nel 2020. Troppo spesso la legge viene usata impropriamente per risolvere questioni personali, ma quando viene brandita contro un cristiano l’obiettivo è colpire l’intera comunità», continua Mobeen, sottolineando i tentativi delle madrasse di soppiantare le ottime scuole cattoliche e protestanti che in Pakistan vanno formando una classe di ex Intoccabili dell’India convertiti alla ricerca del salto sociale. «Nessuno vuole che i propri figli subiscano il destino di lavorare nelle fogne o pulire le latrine, ma che diventino medici, ingegneri, avvocati. Questo, agli occhi dei musulmani, è intollerabile». Intollerabile come frapporsi tra il predatore e il suo bottino fatto di carne e ossa di bambine.
Dieci anni fa Shahbaz Bhatti pagò con la morte la difesa di Asia Bibi e il tentativo di riformare la legge sulla blasfemia. Oggi la sua eredità continua ad essere onorata da povere famiglie, vescovi, politici cattolici e coraggiosi avvocati: in gioco ci sono i destini di Farah, Maira, Arzoo, Huma, volti di duemila ragazzine dimenticate nella “Terra dei Puri”.
Foto Ansa
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