
Nuove tasse e tagli alle emissioni: l’Ue insiste nella sua crociata green

La storia si ripete. Nonostante la batosta subita alle elezioni europee dal gruppo dei Verdi, nonostante l’opposizione di molti paesi alla smania green e nonostante l’industria continentale sia in enorme difficoltà per la concorrenza cinese e i balzelli ambientalisti, l’Unione Europea ha varato un nuovo piano di taglio delle emissioni di CO2 ancora più ambizioso, confermando l’obiettivo di ridurle del 90 per cento entro il 2040 rispetto ai livelli del 1990. Inoltre ha pubblicato un pacchetto di regolamenti per spingere l’applicazione della direttiva Case Green, a partire dall’eliminazione delle caldaie a metano a partire dal 2040.
La Commissione scende a patti
Per superare l’opposizione soprattutto di Polonia, Francia, Italia, Germania e Repubblica Ceca, la Commissione europea è dovuta però scendere a patti e ha introdotto nella sua proposta di legge, che dovrà ora essere discussa dal Parlamento e dal Consiglio, alcuni elementi di flessibilità.
Innanzitutto, ha aperto la porta all’energia nucleare attraverso il concetto di neutralità tecnologica. «Serve più nucleare, non meno», ha dichiarato il commissario al clima Wopka Hoekstra. Poi la Commissione ha previsto che una riduzione delle emissioni di tre punti percentuali possa essere generata mediante progetti ambientali in paesi terzi in via di sviluppo.
Infine, la maggior parte delle Pmi e dei piccoli importatori europei saranno esclusi dalla tassa sulla CO2 prevista dal regolamento Cbam, mentre settori come l’acciaio, il cemento e l’alluminio saranno esentati dal pagamento delle emissioni di carbonio delle loro esportazioni per garantire pari condizioni di concorrenza con le aziende straniere.
L’Ue non può agire da sola
Nonostante la positiva apertura a un approccio più flessibile al tema del contrasto al cambiamento climatico, i problemi di fondo non cambiano. Come ricordato dal commissario Hoekstra per giustificare la possibilità di conteggiare nella prestazione ambientale del proprio paese la riduzione delle emissioni in paesi terzi, infatti, la riduzione delle emissioni di CO2 è un problema globale e un taglio in una parte del mondo è efficace solamente se i principali paesi inquinatori seguono la stessa strada.
Purtroppo gli sforzi dell’Ue vengono regolarmente vanificati da un colosso come la Cina, che continua a macinare record su record per quanto riguarda il consumo di carbone.

La Cina non molla il carbone
Negli ultimi 25 anni, infatti, Pechino ha consumato il 30 per cento di carbone in più del resto del mondo messo assieme per sostenere una sempre crescente domanda di energia. E se nel 2024 ha consumato 4,9 miliardi di tonnellate di carbone, il 56 per cento del totale, nel primo trimestre del 2025 ha già approvato 11,29 gigawatt (GW) di nuova capacità di energia elettrica prodotta bruciando carbone rispetto al 2024.
Anche se ci sono alcuni segnali positivi – la Cina ha annunciato che la sua capacità di energia eolica e solare ha superato per la prima volta quella dell’energia termica (1.482 GW contro 1.451) – l’estrazione di carbone nella prima parte dell’anno è cresciuta ancora del 6,6 per cento.
Non basta constatare che «fa caldo»
A chi chiede all’Ue più realismo e meno furore ideologico, a Bruxelles si risponde con parole simili a quelle usate da Teresa Ribera, vicepresidente esecutivo per la Transizione pulita, giusta e competitiva della Commissione: «Basta mettere in discussione la scienza».
Ma la scienza, come ha spiegato ieri Chicco Testa sul Foglio, non è solo quella propugnata dall’Ipcc e non può limitarsi ad affermare che «fa caldo». E se anche avesse ragione l’Onu, «anche se, ipoteticamente, smettessimo di immettere anche solo un grammo [di CO2] in più, il tempo necessario per lo smaltimento naturale sarebbe comunque di almeno un secolo. Nel frattempo, il fabbisogno energetico di molte aree del mondo – India, Africa e altri paesi emergenti – continua a salire, facendo aumentare le emissioni complessive».
La parola d’ordine, dunque, deve diventare «adattamento»: «Dobbiamo imparare a convivere con temperature elevate, cercando di ridurre al minimo gli effetti negativi», scrive Testa. Ma questo è un tema che dalle parti della Commissione europea non va ancora di moda.
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