
Chiude Northvolt. Fine del sogno europeo di competere coi cinesi sulle batterie

Se serviva una ulteriore conferma del fatto che la transizione forzata dell’industria dell’auto europea verso l’elettrico così come è stata imposta da Bruxelles è un suicidio, eccola servita dal triste epilogo della vicenda Northvolt. L’azienda che, per dirla con le parole del Sole 24 Ore, «avrebbe dovuto essere la risposta dell’Europa al dominio cinese nel settore delle batterie» ha infatti chiuso definitivamente dopo la dichiarazione di fallimento nel marzo scorso, e ora finirà smembrata. A sancire la fine dell’impresa è la chiusura dello stabilimento di Skellefteå, nel Nord della Svezia, con il conseguente licenziamento degli ultimi 300 dipendenti rimasti (erano 900 prima del fallimento). Ben 5 mila i lavoratori coinvolti direttamente o indirettamente nel crac.
La triste parabola di Northvolt
Delle gravi difficoltà di Northvolt avevamo già parlato in passato come un episodio simbolo di una crisi, quella del mercato dell’automotive europeo, innescata dalla «applicazione di una politica climatica senza una politica industriale», come ha osservato Mario Draghi. Non è inutile tornare adesso sul caso perché la parabola di quella che fu «la startup industriale più finanziata di tutta l’Unione Europea» (sempre Sole 24 Ore) mette in fila in bella evidenza tutte le conseguenze di una scelta perseguita ideologicamente senza badare ai dati di realtà.
Così Wired sintetizzava la storia di Northvolt a marzo, il giorno dopo l’avvio della procedura fallimentare:
«L’azienda, fondata nel 2016 da ex manager di Tesla, tra cui l’italiano Paolo Cerruti, era considerata fino a poco tempo fa la migliore speranza europea per produrre batterie nel continente e sostenere la transizione verso i veicoli elettrici. Una missione strategica che le aveva permesso di raccogliere investimenti per ben 13 miliardi di dollari […]. Tra i principali investitori figuravano nomi di grande rilievo: Volkswagen il principale, poi colossi del calibro di Goldman Sachs e BlackRock […]. Lo stabilimento di Skellefteå, situato nei pressi del Circolo polare artico in Svezia, era diventato il simbolo delle aspirazioni europee di autonomia strategica nel settore».
Ulteriori dettagli si trovano su Startmag:
«Il ruolo della realtà svedese è fondamentale per la corsa europea all’elettrificazione nella mobilità se si pensa che l’impianto avviato a fine 2021 a Skellefteå, nel principale distretto minerario della Svezia, è stato il terzo nel Vecchio Continente ma il primo realmente autoctono, dato che gli altri due sono delle sudcoreane Lg a Wroclaw, in Polonia e di Samsung a Budapest. Anche per questo la Banca europea per gli investimenti (Bei) ha contribuito con quasi 1 miliardo di dollari allo stabilimento svedese di Northvolt, nell’ottica di creare un’azienda di batterie europea. A fine gennaio Northvolt ha fatto sapere di aver raccolto 5 miliardi di dollari in forma di “prestito verde” (green loan) da un gruppo di ventitré banche commerciali, oltre che dalla Banca nordica degli investimenti.
Reuters ha scritto che si tratta del green loan più grande mai raccolto in Europa, che include il rifinanziamento del pacchetto di debito da 1,6 miliardi di dollari del 2020. Così, Northvolt ha messo da parte oltre 13 miliardi tra capitali propri e terzi per espandere le sue operazioni manifatturiere in Europa (Svezia, Germania, Polonia) e Nord America (Stati Uniti, Canada)».
Le cause della bancarotta
Chiaro che la bancarotta di un progetto del genere non poteva non fare rumore. Ancora Wired:
«Il fallimento di Northvolt rappresenta un duro colpo per l’Europa nella sua ambizione di competere con i rivali asiatici che dominano il mercato globale. Attualmente, i produttori europei di automobili ottengono le loro batterie principalmente da aziende come Lg Energy solution e Samsung della Corea del Sud, oltre che dal leader mondiale del settore, Catl della Cina. Northvolt aspirava a conquistare il 25 per cento del mercato europeo delle batterie entro il 2030, un obiettivo che ora appare definitivamente tramontato. Questo “fallimento di sistema” fa suonare un preoccupante campanello d’allarme sulle politiche industriali europee: in settori già maturi come quello delle batterie elettriche, inseguire i campioni cinesi si sta rivelando un’impresa estremamente difficile».

E perché Northvolt non è riuscita a competere con i «campioni cinesi»? Così rispondeva due giorni fa il quotidiano di Confindustria:
«Per molti osservatori, tra le cause principali del fallimento c’è la mancanza di un sostegno pubblico adeguato. Mattias Näsman, storico dell’economia all’Università di Umeå, è netto: “Se lo Stato svedese avesse sostenuto Northvolt nel momento critico, probabilmente oggi non saremmo qui a parlare di bancarotta”. Il paragone con altri paesi europei non gioca a favore della Svezia. In Francia, Germania, Polonia e Ungheria – ricorda Näsman – le imprese del settore hanno ricevuto cospicui aiuti statali. E la Cina, che oggi controlla oltre l’80 per cento della produzione globale di celle per batterie, continua a offrire sussidi massicci ai propri colossi industriali, rendendo la concorrenza oggettivamente impari. […]
Northvolt, al momento della bancarotta, rappresentava appena il 7 per cento della capacità produttiva pianificata in Europa. Intanto, i giganti asiatici come Catk continuano ad aumentare la loro quota di mercato. Non è un caso isolato: tutta l’industria europea delle batterie sta attraversando una fase molto delicata, al limite della crisi sistemica. Alcuni produttori cinesi, come Svolt, hanno deciso di abbandonare del tutto l’Europa, cancellando progetti in Germania. E anche soggetti europei come Acc (Mercedes, TotalEnergies e Stellantis) hanno fermato i lavori in Italia e Germania.
Mentre i più fragili lasciano il campo, i colossi asiatici avanzano. Catl – primo produttore mondiale – sta costruendo impianti in Germania, Ungheria e anche in Spagna, con Stellantis. Il loro presidio del territorio europeo si consolida, proprio mentre si sgretola il sogno di un’industria continentale indipendente».
Strapotere cinese
Non solo lo strapotere cinese e coreano. A sgonfiare in fretta il “sogno Norhvolt” ha contribuito anche un indebitamento notevole (7,5 miliardi di euro) divenuto presto insostenibile a fronte di un mercato che si immaginava destinato a una grande espansione e che però non è andato esattamente secondo le aspettative, per usare un eufemismo. Tutti i media collegano il crac di Northvolt alla cancellazione, un anno fa, di una maxi commessa da 2 miliardi di euro da parte di Bmw. Il motivo ufficiale della disdetta? Ritardi nelle consegne, scrivono tutti. Ma c’è chi (il Corriere della Sera, per esempio) non ha potuto evitare di notare la coincidenza almeno temporale tra l’annullamento dell’ordine e «il rallentamento dei piani sull’elettrico» di quasi tutti i principali costruttori a fronte del crollo delle vendite di auto elettriche.
Ma c’è un ulteriore elemento nella rovina di Northvolt che mostra quanto sia stato autolesionistico da parte dell’Europa costringere uno dei suoi settori industriali più forti a competere ad armi impari nel campo preferito dei concorrenti cinesi. Northvolt infatti arrancava anche per via del prodotto in sé, meno avanzato di quelli orientali e meno conveniente proprio per via dello strapotere cinese. Ancora il Sole 24 Ore: «Secondo Evan Hartley, analista di Benchmark Mineral Intelligence, i veri colpi di grazia sono stati la rapida diffusione delle batterie al litio-ferro-fosfato, il calo dei prezzi delle celle e le oggettive difficoltà produttive incontrate dall’azienda svedese». In Northvolt la produzione di batterie elettriche non è «mai davvero decollata» perché troppo «dipendente da forniture e competenze cinesi».
Da parte di Pechino, c’è della strategia in tutto questo. Come spiega Leone Grotti in una analisi contenuta nel numero di Tempi di luglio, lo scopo degli aiuti di Stato distribuiti senza ritegno dal regime di Xi Jinping (anche contro ogni logica di mercato e in spregio delle regole della concorrenza leale) è proprio quello di rendere l’economia globale, europea in particolare, sempre più dipendente dalla Cina. Il piano sta riuscendo alla perfezione a quanto pare. Se la corsa si fa elettrica, non si vince senza batterie.
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