Chissà perché gli italiani non votano più alle elezioni europee
L’affluenza alle elezioni europee non è mai stata così bassa in Italia. Alle urne per eleggere il nuovo Europarlamento si sono recati meno di un italiano su due, appena il 49,6 per cento degli aventi diritto. Sono andate meglio le regionali e le amministrative: in Piemonte l’affluenza è stata del 56,3 per cento, mentre alle comunali ha votato il 62,7 per cento.
Perché gli italiani non votano alle europee
Perché rispetto alle regionali o alle comunali, le elezioni europee riscuotono un interesse così scarso e in continua diminuzione (nel 2004 l’affluenza fu del 71,7 per cento)? Forse perché gli italiani – e non solo loro se si tiene conto che l’affluenza media nei Ventisette è stata del 50,9 per cento – percepiscono che il loro voto non influisce realmente sulle scelte che vengono prese a Bruxelles. E che i giochi vengono fatti a prescindere dalle indicazioni che gli elettori forniscono attraverso le urne.
Leggendo interviste come quella rilasciata ieri alla Stampa dall’ex presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, è difficile dare torto agli elettori europei. Il lussemburghese è infatti espressione di quel volto tecnocratico ed elitario dell’Unione Europea che da decenni contribuisce a generare sfiducia e malcontento tra i cittadini.
I consigli del tecnocratico Juncker
Se c’è un dato innegabile uscito dalle urne è che la destra, più o meno estrema, avanza dappertutto in Europa. E che gli europei non hanno apprezzato alcune delle politiche portate avanti dalla Commissione: su tutte, quelle troppo aperturiste in materia di immigrazione e quelle troppo radicali e ideologiche per quanto riguarda la lotta ai cambiamenti climatici. E non è un caso che i leader più puniti dal voto siano stati proprio Emmanuel Macron in Francia, umiliato da Marine Le Pen che ha puntato forte sul tema dei migranti, e Olaf Scholz in Germania, dove tutti i partiti di governo sono crollati anche a causa della recessione causata dall’aumento dei prezzi dell’energia per le politiche green.
Juncker, parlando alla Stampa, riconosce che lo spostamento a destra si è verificato «praticamente in tutti i paesi». Invece di suggerire un cambiamento dell’Unione Europea nella direzione indicata dal voto, però, l’ex presidente della Commissione propone di andare avanti come se niente fosse, consigliando a Ursula von der Leyen di puntare di nuovo sulla stessa coalizione che la sostenne nel 2019, escludendo sia la destra estrema francese e tedesca che quella moderata italiana di Giorgia Meloni.
«Von der Leyen non deve allearsi con la Meloni»
Ma si può davvero mettere in piedi un governo europeo senza il sostegno della Meloni? Si può tenere fuori il rappresentante più credibile «dello scivolamento a destra dell’Europa», a capo «del paese più stabile del Continente, l’unico dove il governo guadagna voti, unicum straordinario in tutta l’Ue», come dichiarato a Tempi dal politologo Giovanni Orsina?
Per Juncker non solo si può, si deve. «Von der Leyen non ha bisogno dei voti della Meloni», spiega. «Non va fatta alcuna coalizione formale con il suo partito. Chi lo ha detto che un presidente della Commissione non può essere nominato senza il via libera del primo ministro di un grande paese?».
Finché è Fdi a guidarla, l’Unione Europea non ha bisogno dell’Italia. È questo il messaggio poco democratico di Juncker.
Fuori i conservatori, dentro i verdi?
Peccato che il blocco costituito da popolari, socialisti e liberali abbia solo 40 europarlamentari in più della maggioranza necessaria a eleggere il presidente della Commissione. E tenendo conto che sono tanti i franchi tiratori che non amano Von der Leyen, l’ex presidente tedesca dovrà trovare il sostegno di un’altra famiglia europea per strappare il bis.
Per Juncker «sarebbe saggio includere» nell’alleanza non i conservatori, premiati dappertutto in Europa attraverso il voto, ma «i verdi perché con loro la maggioranza sarebbe più completa». Ma che senso ha accordarsi con la famiglia europea che più è stata penalizzata alle elezioni europee, dopo i liberali di Macron, perdendo 18 seggi? «I verdi hanno spesso offerto una buona collaborazione in Parlamento», risponde Juncker. Con buona pace per chi è andato a votare.
Poi non lamentiamoci dell’astensionismo
Come ha ben spiegato Orsina, «aprire ai verdi e non ai conservatori significherebbe dare un calcio nei denti agli elettori». Ma per l’ex presidente lussemburghese della Commissione, questo non costituisce un problema perché gli unici elettori che vanno considerati sono quelli che votano “bene”, a favore dell’attuale establishment, e non quelli che vogliono un cambiamento.
La democrazia, insomma, non deve disturbare le trame di potere di Palazzo Berlaymont. Come diceva a Tempi Mario Mauro, ex ministro della Difesa che ha ricoperto il ruolo di vicepresidente del Parlamento europeo, «l’Ue ha un problema di deficit democratico. È un’evidenza. L’iniziativa legislativa di fatto è nelle mani della sola Commissione europea e questo avvilisce le potenzialità dell’unico organismo eletto a suffragio universale, cioè quello dove alberga la democrazia europea: l’Europarlamento».
Personaggi come Juncker non si limitano semplicemente a sopportare questo deficit democratico, sono favorevoli a mantenerlo e ad accentuarlo. Difficile poi lamentarsi se gli italiani, come tanti altri cittadini europei, disertano le urne.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!