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Tutto il mondo parla del Congresso comunista. Ecco perché ai cinesi, invece, non gliene frega niente
Il Congresso cinese, la successione del Partito comunista, il principino Xi Jinping, l’epurazione di Bo Xilai, le lotte di potere intestine, il mancato riferimento a Mao Zedong nella Costituzione emendata, l’influenza di Jiang Zemin sulle nomine del Comitato permanente del Politburo. Da una settimana tutti i giornali occidentali sono pieni di articoli su questi temi. Quotidiani, mensili e settimanali cercano di entrare nelle maglie chiusissime del processo decisionale del Partito comunista cinese, di discutere delle nuove riforme che servono alla Cina e che forse i prossimi gerarchi che verranno scelti nel Congresso che si apre l’8 novembre a Pechino approveranno. Sono argomenti che interessano a tutto il mondo tranne che a un miliardo e 300 milioni di persone: gli abitanti della Cina.
«IL PARTITO? NON HA NIENTE A CHE FARE CON ME». I giornali stranieri ovviamente vanno a nozze con il gossip politico e i misteri del Partito comunista in Cina ma tutto questo ai cinesi non importa affatto. «Chi guiderà il Partito comunista cinese dopo Hu Jintao? Non lo so e non mi importa. Non ha niente a che vedere con me» dice così al South China Morning Post Cao Lifei, da poco laureatosi a Pechino. «So solo che ci sarà un nuovo imperatore e che tutto potrebbe cambiare sotto di lui».
«LE PERSONE NORMALI NON POSSONO SCEGLIERE». Tutti sanno che il nuovo segretario del Partito comunista sarà Xi Jinping, peccato solo che a sceglierlo non sarà il popolo cinese. «Non so quale agenda politica vorranno adottare: queste cose sono troppo lontane dalla vita delle persone normali come me» dichiara un muratore. «Questi sono problemi loro, non miei». Wu Hui, docente alla Central Party School di Pechino, spiega bene perché ai cinesi non importa niente della nomina della nuova leadership del paese: «Il Partito e i suoi membri sono distanti dalla gente. Le persone normali non possono eleggere ufficiali diversi dai capi dei villaggi, per questo non sono attaccati al regime». Bisogna aggiungere che, come se non bastasse, anche le elezioni locali vengono eterodirette, visto che per candidarsi bisogna essere approvati dal Partito.
MAO? CHI SE NE FREGA. Lungo le strade di Pechino, addobbate a festa per l’occasione, si leggono striscioni che recitano “Senza il Partito comunista, non ci sarebbe una nuova Cina” ma la gente non ci fa neanche più caso. Come dice un ingegnere: «Il Partito cerca di costruire un’atmosfera armoniosa ma è difficile. Alla gente non importa del Congresso perché il Partito non ha più l’appoggio della gente». Inutile quindi parlare ai cinesi di possibili riforme economiche o politiche, perché quando un popolo di un miliardo e 300 milioni di persone non ha voce in capitolo quando si tratta di scegliere le sette persone che guideranno il paese per i prossimi dieci anni, quando una persona viene condannata a 8 anni di prigione perché scrive un articolo sulla democrazia su internet, quando alla vigilia del Congresso i tassisti non possono abbassare i finestrini e i dissidenti vengono arrestati, sapere se nella nuova Costituzione si farà o no riferimento a Mao Zedong è davvero poco importante.
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