Quebec, legge contro i simboli di tutte le fedi. La Chiesa: «Ateismo ufficiale sbagliato come una religione ufficiale»
Tratto dall’Osservatore Romano – Anche i rappresentanti di ordini e congregazioni religiose del Canada esprimono «serie riserve» sulla Carta dei valori, il progetto di legge sostenuto dal Governo della provincia canadese del Québec che potrebbe presto non permettere ai dipendenti pubblici di indossare il crocifisso, il velo islamico, la kippah ebraica o altri simboli religiosi evidenti.
In una lettera indirizzata a Bernard Drainville, ministro delle Istituzioni democratiche, i superiori maggiori di trentotto istituti religiosi maschili e femminili hanno espresso il loro parere su un provvedimento che aveva già riscosso le critiche dell’episcopato cattolico — per il quale si aprirebbero le porte a una sorta di ateismo di Stato — e dei rappresentanti delle comunità ebraica e musulmana.
Dal canto loro, i religiosi, pur dicendosi d’accordo con i princìpi ispiratori del progetto — in particolare sul concetto di neutralità religiosa dello Stato — non mancano di rilevare la propria preoccupazione per un divieto che farebbe sentire i suoi effetti più pesanti soprattutto sul personale che lavora presso asili, istituti scolastici, istituzioni sanitarie e servizi sociali.
I promotori del progetto, in particolare i nazionalisti del Parti Québécois (Pq) sostengono che la Carta dei valori contribuirà a creare una comune identità laica tra gli otto milioni di abitanti del Québec. Secondo Bernard Drainville, ministro delle Istituzioni democratiche, lo Stato è neutrale, quindi anche coloro che vi lavorano devono dimostrare di essere neutrali. «È per questo che il Governo del Québec — ha sottolineato — ha proposto di vietare ai dipendenti pubblici di indossare simboli religiosi vistosi durante l’orario di lavoro. Stiamo parlando di simboli molto evidenti che trasmettono un chiaro messaggio: “Io sono un credente e questa è la mia religione”».
Di parere contrario, invece, la Chiesa cattolica e i leader di altre religioni, secondo i quali la Carta vìola le libertà civili di una parte del Canada che ha già vissuto anni di tensione riguardo all’accoglienza delle minoranze religiose, in particolare quelle delle comunità di immigrati.
I rappresentanti delle congregazioni religiose, al pari di quanto ha già fatto l’episcopato nel messaggio Catholiques dans un Québec pluraliste, datato novembre 2012, fanno appello alla Dichiarazione universale dei diritti umani che all’articolo 18 recita: «Ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti».
Ovviamente, riconoscono i religiosi, una cosa è l’ostentazione del proprio credo, e un’altra è l’espressione della propria identità. In questo senso, però, viene ricordato come negli ultimi decenni molte delle persone appartenenti alle comunità religiose del Québec abbiano «per scelta» rinunciato all’uso del proprio abito tradizionale, e che proprio per questo adesso occorre essere contrari a un provvedimento che «costringe» alcune persone a rimuovere i simboli religiosi, soprattutto quando sono parte della propria identità.
Per i firmatari del documento insomma la Carta dei valori vìola un diritto fondamentale che invece deve essere garantito in ogni società democratica. «Questa invasione — dicono — è tanto più grave perché potrebbe portare le persone, soprattutto le donne immigrate, a perdere il lavoro che permette loro di vivere un processo di integrazione nella nostra società».
I responsabili delle trentotto congregazioni religiose osservano infine che proprio l’attuale situazione sociale del Québec non dovrebbe spingere a una «totale assenza di simboli religiosi». Infatti, viene ricordato come, soprattutto dopo gli anni Settanta del secolo scorso, le generazioni più giovani siano state educate, sin dalla scuola, a vivere in un contesto multiculturale, con una diversità linguistica e religiosa: «Essi amano mostrare la loro identità e appartenenza religiosa, e non sentono che questa possa attentare alla libertà degli altri».
Particolarmente ferma la posizione dell’episcopato. In un’intervista rilasciata qualche settimana fa a un giornale locale, monsignor Pierre-André Fournier, arcivescovo di Rimouski e presidente dell’Assemblea dei vescovi cattolici del Québec, ha sottolineato che «negare l’esposizione dei simboli religiosi equivale a negare una parte importante del patrimonio nazionale, in nome di un “ateismo ufficiale”. Non può esserci — ha aggiunto — un ateismo ufficiale più di quanto non può esserci una religione ufficiale. Anzi, un ateismo ufficiale diventa come una religione, sotto un’altra forma, che non rispetta né la nostra storia, né il nostro patrimonio».
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6 commenti
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Queste leggi sono semplicemente imposte dalla Massoneria.
il ministro del quebec non conosce la differenza tra uno stato laico non confessionale rispettoso di tutte le religioni e le loro manifestazioni che non siano mortificanti della persona come il burka, e uno stato ateo che fa dell’ateismo la sua religione spacciandola per laico e così diventa intollerante e oppressivo come molti regimi di nostra conoscenza.
Questi atteggiamenti neutrali verso la religione sono dettati dagli eredi degli ignavi danteschi, coloro che durante la loro vita non agirono mai né nel bene né nel male.
Sig. Italo, forse lei non ha capito che qui si sta parlando di TUTTI i simboli religiosi, anche di una semplice collana con una croce. Quanto alla fattispecie del burqua, nel caso di un funzionario dell’anagrafe non so quali problemi possa dare, dato che a identificasi sarebbe tenuto lei: quindi casomai il problema e’ opposto, cioè come fa un’impiegata dell’anagrafe a lavorare con di fronte un cittadino che, non sapendo usare il computer, deve presentarsi di persona all’anagrafe nonostante i propri gravi problemi di intolleranza.
Le croci sono ammesse, basta vedere nell’immagine! certo non devono essere crocifissi da mezzo chilo placcati oro come porterebbe un coatto di periferia, rappresentato da Verdone nei suoi film.
Quanto all’impiegata col burqa non è affatto intolleranza, ma di buon senso: come cittadino ho diritto di sapere chi ho davanti. Fra l’altro è ora di sfatare il mito che l’islam imporrebbe veli e burqa alle donne, quelle sono solo usanze di origine tribale che nulla hanno a che fare con la religione, se vogliono mantenere i loro usi tribali se ne stiano in Arabia, qui devono fare il favore di andare in giro come tutti gli altri.
Ma sì, e io dovrei tollerare di parlare con un’addetta dall’anagrafe tabarnata dalla testa e piedi da un burqa!