Perché «vogliamo “più Italia in Europa”»

Di Rachele Schirle
25 Maggio 2024
Parla Maria Teresa Vivaldini, candidata alle Europee per Fdi. «Vogliamo contare di più nelle decisioni, che devono tenere in maggior considerazione le specificità italiane»

Sindaco, consigliere e assessore provinciale a Brescia. Prima la delega ai Lavori pubblici, con la quale ha portato a termine la Brebemi (la direttissima che collega Milano alla Leonessa d’Italia), poi all’Istruzione. Ma anche imprenditrice agricola della pianura bresciana e cremonese. Ora candidata in Fratelli d’Italia al Parlamento europeo.

Maria Teresa Vivaldini, classe 1967, sembra avere più vite. Sicuramente ha tante energie, come molte donne determinate che provengono da famiglie come la sua. Famiglie in cui i genitori, per quanto anziani, si alzano tutte le mattine ancora molto presto per condurre l’azienda. Determinata soprattutto a cambiare il Green deal europeo, che «sta mettendo gravemente a rischio la nostra agricoltura». È vero che si tratta di un argomento molto settoriale, ma «tutti i giorni arriva sulle nostre tavole», ricorda Vivaldini. «Serve equilibrio per proseguire una maggiore sostenibilità ambientale» dice. «Se le nuove regole riducono la produzione e creano disoccupazione, avremo magari anche un maggiore ripristino di aree naturali e incontaminate, ma non ci sarà né sostenibilità economica, né sociale». Per esempio, «se riduciamo del 50 o 60 per cento l’uso dei fitofarmaci, anziché puntare sull’autonomia alimentare rischiamo di far decrescere il settore agricolo e favorire l’importazione di alimenti da altre regioni del mondo, dove di certo non hanno l’attenzione che abbiamo noi nel produrre cibo sano».

Vivaldini, cominciamo dal partito in cui è candidata: Fratelli d’Italia. Siete contro l’Europa? Tutti dicono che quelle del prossimo giugno saranno le elezioni più importanti di sempre, perché è in gioco il futuro della casa comune fondata da De Gasperi, Adenauer e Schuman. Il sovranismo vuole sfasciarla?

Assolutamente no. Innanzitutto, perché Giorgia Meloni è leader dell’Ecr, il gruppo dei conservatori. Quindi usiamo le definizioni corrette. Ricordo solo che questo gruppo nasce nel 2009 da una costola del Ppe che, come abbiamo visto anche nel corso dell’ultima legislatura, accusa il colpo di decenni di consociativismo con i socialisti. Giorgia Meloni, alla Conferenza programmatica di Pescara, ha parlato di un’Europa confederale. Cosa vuol dire? Abbiamo vicino a noi l’esempio svizzero: la sovranità spetta tutta ai cantoni, tranne che per quelle materie espressamente demandate al livello centrale. È l’Europa delle nazioni, che si sposa benissimo col principio di sussidiarietà, a noi tanto caro. E infine ricordo che lo slogan del nostro partito non è “Meno Europa”, scelto da altri che invece siedono alle ali estreme dell’Europarlamento, ma “Più Italia in Europa”. Cioè, noi vogliamo contare di più nelle decisioni, che devono inevitabilmente tenere in maggior considerazione le specificità italiane.

Facciamo degli esempi.

Pensiamo alle scelte ideologiche sull’ambiente: dire che entro il 2030 tutti gli edifici devono ridurre i consumi energetici significa imporre decisioni dall’alto in modo ideologico senza tenere conto della specificità di ognuno. In Italia, per esempio, contiamo 12 milioni di edifici residenziali, ciascuno composto da più unità immobiliari. Solo 5 milioni hanno prestazioni molto basse. Se a ciò aggiungiamo l’alta propensione degli italiani a essere proprietari della propria casa e che sulla testa di ciascuno gravano già 3.500 euro di Superbonus edilizio, capiamo bene perché è necessario avere un governo autorevole – come quello che abbiamo – che sia presente a Bruxelles e rafforzato dal voto per far valere le nostre ragioni. Questo intendiamo con “Più Italia in Europa”, che non vuol dire quindi “Meno Europa”, ma nemmeno accettare tutto passivamente perché “ce lo chiede l’Europa”.

A proposito: lei prima parlava di una sorta di “consociativismo” tra popolari e socialisti che avrebbe dominato negli ultimi decenni. Il Green deal a cui ha fatto cenno con la direttiva sulle case ne è un esempio?

Guardi, le do solo qualche numero: di 34 provvedimenti riconducibili al Green deal, il Ppe ne ha approvati 32 con i socialisti, mentre si è schierato contro 2, facendo asse con i conservatori…

Per questo bisognerebbe votare per Fratelli d’Italia? Per ingrossare le file dei conservatori? Questo è quello che pensate?

Esatto. Votare Fdi significa rafforzare l’Ecr e portarlo ad essere il terzo gruppo del Parlamento europeo e così spostare l’asse verso il centrodestra. Questo fa bene anche ai popolari, perché permetterebbe loro di recuperare un po’ la loro anima. Basti vedere cos’è successo sul voto per introdurre l’aborto nella Carta dei diritti fondamentali: i conservatori hanno votato contro praticamente all’unanimità, mentre il Ppe si è spaccato, con una parte che addirittura si è detta favorevole.

Ecco, parliamo dei cosiddetti temi etici…

In realtà non dovremmo.

Cioè?

Per un semplice motivo: la competenza su temi come vita e famiglia non è dell’Europa. Lo dicono chiaramente i Trattati. Tant’è vero che il voto a cui facevo riferimento è una mozione che invita gli Stati membri a modificare i Trattati inserendo il presunto diritto all’aborto. Ma qui torniamo all’idea di Europa di cui parlavamo all’inizio.

Spieghi meglio.

Quando c’è una lista che fa esplicito riferimento agli Stati Uniti d’Europa e alla opzione federalista, dobbiamo dirci che il rimando è all’Europa di Spinelli e di Ventotene, non a quella dei padri fondatori. È un’Europa che accentra sempre più potere, tra l’altro per conferirlo ad un Commissione che non è legittimata dal voto dei cittadini e – anomalia di un sistema che si dice liberale – assume in sé sia il potere esecutivo che quello legislativo. L’Europa confederale che vogliono i conservatori è un’Europa che magari regolamenta e dettaglia meno i particolari, ma favorisce un maggior coordinamento politico tra gli Stati membri. Insomma: vogliamo che Bruxelles ci spieghi meno come produrre il vino e non ci dica quanti giovani devono stare in uno studentato finanziato con il Pnrr, ma batta invece un colpo sulla politica estera e sulla difesa. Anche perché l’Europa è nata per garantirci la pace ed ora abbiamo la guerra alle porte. Non possiamo permetterci di rimanere muti.

Ora ci dica perché votare proprio per lei.

D’impeto direi: perché ci sono le preferenze, l’unico strumento che i cittadini hanno per scegliere da chi essere rappresentati. Sono vent’anni che amministro il mio Comune nel bresciano, Pavone del Mella. Prima come vicesindaco, poi come sindaco. Hanno tutti il mio numero di telefono e sanno che rispondo a qualunque ora. Sono una che non sparisce dopo il voto.

Va bene, ma questo è un po’ uno spottone. Quali sono invece i temi su cui lavorerebbe una volta eletta?

Nessuno spottone! Chi fa il sindaco ha capito una cosa fondamentale: le istituzioni non sono altro che strumenti per aiutare le persone. Se all’asilo manca la cuoca della mensa, vado con mia madre a far da mangiare per i bambini. Come durante il Covid, quando mi è capitato di portare la spesa agli anziani che non potevano uscire. Chi, come me, ha amministrato i territori in questi anni sa che le istituzioni sono davvero a servizio delle persone e della comunità. E che queste non sono realtà astratte, ma hanno specifici bisogni che devono essere sempre ascoltati. Voglio portare veramente la mia esperienza da amministratore locale. Di chi sa oltretutto che le principali risorse pubbliche che ricadono oggi sui nostri territori sono proprio quelle europee. E quindi per il servizio alla comunità è sempre più fondamentale intercettarle. E non parlo solo di quelle del Pnrr, ma anche dei 137 miliardi di programmazione settennale. La nostra sfida è riuscire a ottenerle, ma soprattutto spenderle bene.

Perché è una sfida?

Perché noi o rinunciamo a prendere quelle risorse, o se le otteniamo poi non riusciamo a sviluppare una vera progettualità e spendiamo i soldi per finanziare progetti vecchi che avevamo nei cassetti. E questo è un tema che investe la nostra pubblica amministrazione. Nell’Europa dell’Est, dove in questi anni sono arrivate ingenti risorse comunitarie, hanno preso dei professionisti che vengono pagati a risultato. Così i polacchi, per esempio, riescono ad impegnare oltre il 90 per cento delle risorse a loro dedicate. Noi a malapena arriviamo al 40 per cento.

Spesso però si corre per ottenere i fondi europei, senza avere chiaro per cosa spenderli…

Guardi io, da assessore provinciale ai lavori pubblici, ho investito parecchi soldi con un obiettivo chiaro: ridurre le morti per incidenti stradali. Nel 2001 sulle nostre strade c’erano 260 morti all’anno. Ho deciso di lavorare per sostituire gli incroci con le rotonde. Risultato: dal 2014 registriamo ancora una media di 70 decessi, ma ogni anno ci sono circa 200 famiglie che non devono più soffrire per un lutto.

A proposito di famiglia: è vero che non è competenza dell’Europa, però molti lamentano che il governo Meloni al di là dei proclami non si è particolarmente distinto con provvedimenti significativi a suo favore. Riporto solo un esempio: l’esecutivo ha fatto scadere i termini previsti dal Family act per emanare i decreti attuativi previsti per aumentare il periodo di congedo del padre.

Alt! La fermo subito. Il Family act prevedeva un periodo di congedo obbligatorio per il padre. Il governo Meloni vuole indirizzarsi verso un’altra soluzione, cioè quella di favorire la contrattazione di secondo livello e quindi andare verso la possibilità di ampliare gli strumenti di welfare aziendale che hanno due pregi: il primo, che adotta soluzioni quasi personalizzate perché concordate con i lavoratori stessi; il secondo è che può contare su risorse private, incentivate anche dagli sgravi fiscali. Il problema delle risorse sappiamo che non è affatto secondario. Il Family act, infatti, prevedeva la misura ma senza coperture finanziarie. Nonostante questo, il centrodestra con la legge di stabilità del 2023 ha aumentato l’indennità di congedo parentale dal 30 all’80 per cento della retribuzione per una mensilità e, con la successiva manovra del 2024, fino all’80 per cento per due mesi.

Cosa succederà dopo l’8 e il 9 giugno?

Che il governo Meloni uscirà rafforzato, e con lui l’Italia. Se guardiamo attualmente allo scenario europeo il nostro è l’esecutivo più stabile e autorevole. Non possiamo dire altrettanto di Macron, Sanchez o Scholz. Questo significa che sull’agenda dei prossimi anni possiamo dettare le priorità. Per esempio con il Piano Mattei. Quest’ultimo non si limita a cambiare approccio al tema dell’immigrazione, passando dal litigare sulla ridistribuzione interna dei migranti al lavorare a monte per creare condizioni di sviluppo nei paesi di partenza ed evitare così che emigrare sia una necessità. Il Piano Mattei vuole anche fare dell’Italia un hub energetico, in modo da diversificare le fonti di approvvigionamento e sfuggire al pericolo di consegnarci mani e piedi a potenze straniere come la Cina, che ad oggi detiene più del 50 per cento della produzione mondiale di batterie a litio per i veicoli elettrici.

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