Lettere al direttore

Le parole della Cei su Ventotene (ma nessun accenno al caso Lucchina-Englaro)

Di Emanuele Boffi
11 Giugno 2024
Mons. Favino esalta l'Europa del Manifesto di Rossi e Spinelli (che voleva abolire il concordato). La condanna del dg della Lombardia, la carta del docente e altre lettere
Manifestazione per il terzo anniversario della morte di Eluana Englaro (Ansa)
Manifestazione per il terzo anniversario della morte di Eluana Englaro (Ansa)

Caro direttore, cosa ne pensa delle parole di monsignor Francesco Savino, vescovo di Cassano all’Jonio e vicepresidente per l’area Sud della Cei, che ha “bocciato” l’autonomia differenziata? Ricordo che ai tempi della Cei di Ruini si parlava tanto di “ingerenza” della Chiesa sulle scelte della politica. Ora non più?

Carlo Berlardi

Guardi, io sono a favore delle “ingerenze” della Cei, nel senso che penso che sia compito dei vescovi intervenire anche sulle questioni sociali e politiche. Ovviamente non per sostituirsi al legislatore o per “dettare” delle norme (vale sempre il “date a Dio quel che è di Dio, eccetera”), ma per spiegare se una scelta politica è coerente o meno con la dottrina sociale. Le dirò di più: se un vescovo interviene su una legge ed essa non è chiaramente contraria a quel che la Chiesa insegna (voglio dire: c’è differenza tra l’autonomia differenziata e l’aborto), credo che si possa con tutta tranquillità discuterne e criticarla, se necessario. In verità, ciò che mi ha meno convinto delle parole del vescovo Favino è stato quel riferimento allo “spirito di Ventotene” che aiuterebbe l’Europa a recuperare «i principi della solidarietà, della condivisione e della fraternità». Se il riferimento di Savino è al celebre Manifesto non posso che strabuzzare gli occhi: a parte il fatto che mi pare incredibile che, anziché i tre padri fondatori dell’Europa (i cattolici Adenauer, De Gasperi, Schuman), si citino i padri del pensiero laico e di sinistra Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, ma poi, soprattutto, come si fa a citare un Manifesto che attaccava esplicitamente la Chiesa propugnando l’abolizione del concordato?

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Caro direttore, riporto dal sito di Tempi la frase: «E voi professori, ricordatevi che adesso ci si può abbonare a Tempi anche con la Carta del docente». La Carta, del valore di 500 euro, è assegnata ai docenti di ruolo a tempo indeterminato delle Istituzioni scolastiche statali, sia a tempo pieno che a tempo parziale, compresi i docenti che sono in periodo di formazione e prova, ma la Carta non è assegnata ai professori di scuole paritarie. Perché? Non può Tempi suggerire al bravo ministro Valditara di colmare questa palese ingiusta discriminazione?

Gianmario Gatti

Avremo l’occasione di chiederglielo a Caorle.

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Caro direttore, a proposito della sentenza di condanna di Carlo Lucchina a risarcire la Regione Lombardia per il caso Englaro. Senza entrare nel merito di questioni legali e legislative, mi viene spontanea una domanda, forse un po’ ingenua, ma che mette a tema la schizofrenia dei media e di conseguenza della mentalità in cui tutti noi siamo immersi. Perché ad Alessia Pifferi, che ha lasciato morire la figlia di fame e sete per essersi assentata molti giorni e averla lasciata incustodita, è stata comminata la massima pena, con l’approvazione e soddisfazione di tutti perché “giustizia è fatta!” e, invece, a chi si opponeva al fatto che Eluana non morisse di fame e sete, con un’altra sentenza viene condannato a pagare? Tecnicamente sono due situazioni simili, le vittime sono morte entrambe per mancanza di alimentazione e idratazione perché incapaci di provvedere autonomamente. Ma allora qualcosa, in questa nostra “giustizia”, non torna, o è sbagliato non prendersi cura di chi è incapace (neonati, disabili, anziani non autosufficienti…) oppure è sbagliato l’opposto. Forse sono io che non capisco…

Marco Mainardi

Non accosterei le due vicende, ma quel che mi pare sbalorditivo – oltre al merito dell’accusa, di cui abbiamo già scritto – è che si facciano risalire le decisioni di Lucchina alle sue “convinzioni personali”. Ma che vuole dire? Si vuole suggerire qualcosa? Si vuole suggerire che la “colpa” del dg della Lombardia sarebbe di essere cattolico? Qui sì che ci vorrebbe una bella “ingerenza” della Cei.

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Nel 2012 aveva preso le mosse la causa di beatificazione di don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione, ed il 9 maggio scorso l’arcivescovo di Milano ha aperto solennemente la cosiddetta Fase testimoniale. La Chiesa esamina documenti e testimoni di una vita prima di dichiararne ufficialmente la Santità. Ma molti che, come me, hanno conosciuto e seguito don Giussani dalla prim’ora vivono già la certezza morale di aver conosciuto un santo, un profeta. Viveva – ne sono certo – a contatto con Dio e, quindi, a contatto fino in fondo con tutti. Trasmetteva il gusto di vivere di chi ha sperimentato l’incontro con Cristo. E dallo stesso incontro sono nati migliaia di incontri, promossi agli inizi da ragazzi delle medie superiori, affascinati da quel sacerdote che faceva sentire Cristo presente, come diceva già duemila prima l’apostolo Giovanni: il Verbo si è fatto carne e abita in mezzo a noi. Le inevitabili resistenze ed obiezioni generavano domande da girare ai compagni più maturi – i primi universitari – o a don Giussani stesso. Così anche i dubbi diventavano occasioni di crescita, i punti di vista diversi non intralciavano il cammino intrapreso. Erano i ragazzi a coinvolgere qualche professore, anche insegnanti di religione; era la loro passione a generare il movimento ormai noto come Gioventù Studentesca (poi Comunione e Liberazione). Da cosa nasceva questo miracolo? Dalla fiducia riposta dai primi giovani in don Giussani, un educatore che non cercava consensi per una dottrina ma che esaltava il bisogno di capire interamente la realtà: che spingeva i ragazzi a chiedere le ragioni di tutto. La coerenza era l’esito di un continuo andare a fondo dell’ideale, non il risultato di uno sforzo volontaristico o intellettuale. Ogni scelta – la morosa, lo studio, il lavoro… – era vagliata alla luce di quanto si era fin lì imparato. Il tempo libero non esisteva, prosciugato dalla girandola di iniziative nate dalla creatività dei ragazzi, vere “anime in piena”: da un giornale studentesco a un convegno cittadino, dall’azione caritativa nelle cascine della Bassa milanese alla realizzazione di canti e concerti. Persino le vacanze estive erano l’occasione per fondare nuovi gruppetti del movimento nei luoghi di villeggiatura. Tutto nasceva e si sviluppava nell’alveo delle tre dimensioni indicate da don Giussani: carità, cultura e missione. Quei ragazzi non capivano tutto ma comunicavano la certezza che li aveva presi. Si ponevano coi compagni come don Giussani si era presentato a loro. Si sentivano don Giussani e, tanto o poco, lo erano realmente.

Walter Izzo

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Spesso viene rilanciata la critica che si “parla troppo di aborto” anche fra i cattolici, e che i veri problemi sarebbero altri. Ma, senza timori di smentite, è proprio il contrario. È di pochi giorni fa la raccolta di firme online di una organizzazione che, fra questioni varie, lancia una petizione volta a introdurre il “diritto di aborto” in Italia. Iniziativa partita da una deputata dei 5 Stelle (quindi una che siede in Parlamento e non un “semplice cittadino”). E che dire del fatto che in questi primi giorni di Giugno 2024 è stato pubblicato dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) un nuovo studio sulla salute degli adolescenti “Lavorare per un futuro più luminoso e più sano”, nel quale si suggeriscono le azioni necessarie per «aggirare le barriere locali create dalla pandemia di COVID-19» avere sempre e comunque un aborto, i contraccettivi potenzialmente abortivi e una «educazione sessuale completa» per i bambini e minori di età. L’OMS ritiene che gli adolescenti dovrebbero ricevere questi «servizi», ovvero la «salute sessuale e riproduttiva (SRH)», indipendentemente dal consenso o meno dei genitori. Il nuovo studio denuncia anche tutte le normative nazionali basate sul genere sessuale binario e promette ai giovani partecipanti alle attività del Modello Globale dell’OMS di potersi invece confrontare con i rappresentanti di tutte le «identità di genere». L’argomento dunque è sempre alla ribalta. La Francia del Presidente Macron ha un “nuovo diritto fondamentale” (addirittura “fondamentale”!) dal 4 marzo 2024 scritto nella Costituzione, la Germania del Cancelliere Olaf Scholz ci sta pensando ….. e in Italia c’è già chi morde il freno soprattutto quando si sente parlare dei famosi “diritti”. La Francia è il primo Paese al mondo ad inserire nella sua Costituzione il diritto all’aborto, mentre l’aborto legale fu introdotto da Lenin nell’URSS nel 1920, primo Stato al mondo. E il Parlamento Europeo, l’11 Aprile 2024, ha approvato una risoluzione non vincolante con 336 voti a favore, 163 contrari e 39 astensioni a favore dell’aborto come diritto. “Diritto” che in realtà non esiste, mentre esiste il diritto “alla vita”. Come afferma il Professor Possenti, docente di filosofia morale e politica, il diritto alla vita però non trova un riconoscimento esplicito nella nostra Carta costituzionale, in quanto nessuna disposizione prevede espressamente una tutela di tale diritto. Fondamentale però è la sentenza 35/1997 della nostra Corte Costituzionale, secondo la quale «il diritto alla vita, inteso nella sua estensione più lata, sia da iscriversi tra i diritti inviolabili, e cioè tra quei diritti che occupano nell’ordinamento una posizione, per dir così, privilegiata, in quanto appartengono — per usare un’espressione della sentenza n. 1146 del 1988— all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana». Purtroppo il voto del Parlamento europeo dell’11 Aprile scorso segna un passo a favore di chi vuol decidere sulla vita di un altro essere umano. La legge dello Stato ha permesso (a risicata maggioranza !) l’aborto inserendolo a certe condizioni nel tessuto legislativo, ma non può invece dichiararlo un diritto. L’interruzione volontaria della gravidanza (che quindi interrompe ciò che ha avuto inizio, e cioè la vita umana) danneggia l’altro, anzi lo sopprime. La solita rivendicazione “il corpo è mio e ne decido io” non regge perché dentro quel corpo vi è un’altra vita, un altro corpo, cioè un’altra persona.

Gabriele Soliani

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