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Insegnante sgozzata in Pakistan, «ce lo ha ordinato in sogno il Profeta»

Una tredicenne dice di aver sognato Maometto, accusava Safoora Bibi di blasfemia e ordinava il suo massacro. E le colleghe della madrassa eseguono

Caterina Giojelli
01/04/2022 - 6:20
Esteri
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Blasfemia, migliaia di persone hanno messo a ferro e fuoco il Pakistan dopo l'assoluzione di Asia Bibi
Blasfemia, migliaia di persone hanno messo a ferro e fuoco il Pakistan dopo l’assoluzione di Asia Bibi (foto Ansa)

Apparso in sogno a una tredicenne, il Profeta ha accusato l’insegnante Safoora Bibi di blasfemia e ha ordinato il suo massacro. È la sconcertante spiegazione fornita alla polizia dalle giovanissime colleghe che l’hanno sgozzata a Dera Ismail Khan, città della provincia di Khyber Pakhtunkhwa in Pakistan.

Uccisa per comando ricevuto in sogno: eppure era realissimo il corpo della 21enne Safoora abbandonato davanti al cancello della madrassa in cui insegnava, la Jamia Islamia Falahul Binaa, «è morta dopo che le è stata tagliata la gola», ha spiegato all’Afp il funzionario di polizia Saghir Ahmed abbozzando una ricostruzione dei fatti, pesando le parole.

Blasfemia, un’arma letale in Pakistan

Blasfemia: in Pakistan linciaggi e omicidi extragiudiziali sono all’ordine del giorno. Se da un lato la legge anti-blasfemia è diventata un’arma letale nelle mani dei fanatici pronti a brandirla senza giusto processo per creare consenso o colpire le minoranze religiose indù e cristiana – dai partiti ai gruppi religiosi radicali, che hanno fatto del vendicare ogni offesa al Corano e a Maometto una bandiera dell’Islam –, dall’altro l’accusa di blasfemia è diventata la scorciatoia per atroci vendette e regolamenti di conti.

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Le carceri sono piene di poveri, donne, analfabeti, ma chi scampa alla galera non scampa alla giustizia sommaria: se criticare la legge equivale a una condanna a morte (a partire dal barbaro omicidio di Shahbaz Bhatti, il politico e ministro cattolico pakistano ucciso dagli estremisti islamici nel marzo del 2011 a Islamabad) e difendere i blasfemi significa rischiare la vita (è il caso di Saiful Malook, avvocato musulmano che gli islamisti vogliono morto dopo che ha fatto assolvere Asia Bibi, o Shafqat Emmanuel e sua moglie Shagufta Kausar), basta una voce non verificata per finire minacciati, lapidati, bruciati vivi, accoltellati al lavoro.

Il sogno di una tredicenne

A Safoora sembra sia bastato il sogno di una tredicenne, oggi arrestata con Umra Aman, Razia Hanfi e Aisha Nomani: la ragazzina fa parte della famiglia di una di loro, racconta Asianews, quello che ha sognato è diventato il pretesto per una imboscata sulla strada della scuola. Armate di bastoni e coltello, le donne, tutte giovanissime, hanno dunque eseguito il comando e massacrato la collega, con la quale avevano avuto da discutere animatamente a proposito di religione (non sopportavano che Safoora condividesse le opinioni del noto telepredicatore pachistano Maulana Tariq Jamil).

Dall’entrata in vigore della legge nera sulla blasfemia sono state accusate oltre 1.500 persone: nonostante la pena di morte non sia mai stata eseguita, 80 persone si trovano ora nel braccio della morte, 77 “imputati” sono stati uccisi da estremisti islamici, per i quali l’accusa equivale sempre a colpevolezza, e l’uccisione di un blasfemo merita l’appello da parte di molti imam pachistani di «eroi della fede». A Safoora il gesto di “gloria”, che avrebbe spianato la strada a ragazze come lei, è costato la vita.

Tags: asia bibiblasfemiaPakistansaiful malookShabhaz Bhatti
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