«Sawan Masih non è blasfemo». Chi risarcirà i cristiani di Joseph Colony?
Due chiese avvolte dalle fiamme, 178 case rase al suolo, una dozzina di negozi distrutti, 400 famiglie cristiane in fuga e ridotte sul lastrico, 2.500 persone terrorizzate a morte. È questo il bilancio del folle attacco di tremila islamici inferociti in Pakistan a Joseph Colony, nel quartiere di Badami Bagh a Lahore. L’8 marzo 2013 i musulmani si scagliarono senza pietà contro i cristiani per vendicare la presunta blasfemia commessa dell’allora ventottenne cristiano Sawan Masih. Dopo oltre sette anni Masih, arrestato e condannato a morte, è stato definitivamente assolto ieri dall’Alta corte di Lahore.
SAWAN DOPO RIMSHA E ASIA
È solo la terza volta nella storia della Repubblica islamica che un cristiano viene assolto dall’accusa infamante di aver insultato il Corano o Maometto. La prima storica assoluzione è stata quella di Rimsha Masih nel 2013, seguita da quella di Asia Bibi, arrestata per false accuse di blasfemia nel 2009 e scagionata soltanto il 31 ottobre 2018.
Il caso di Sawan Masih è emblematico di quanto la legge sulla blasfemia si presti agli abusi di chi vi ricorre. Il giovane netturbino cristiano era stato invitato da un amico musulmano, Shahid Imran, a bere. Dopo qualche bicchiere si sono messi a discutere di religione, hanno litigato e dopo ben 33 ore Imran l’ha denunciato per blasfemia, scatenando la furia programmata di tremila islamici contro Joseph Colony.
«RUBATI SOLDI E GIOIELLI»
L’Alta corte, dopo aver sottolineato le palesi incongruenze nella versione offerta dall’accusatore, ha riconosciuto che l’episodio è stato sfruttato (e forse creato ad arte) da ricchi musulmani per cacciare i cristiani dal quartiere e requisire a poco prezzo la loro terra. Durante l’assalto a Joseph Colony, come ricordava a tempi.it il professore Shahid Mobeen, che al tempo lanciò una raccolta firme per Masih, «i musulmani hanno razziato le abitazioni, rubando soldi e gioielli che molte famiglie cristiane avevano messo da parte per sposare le loro figlie. Inoltre molti costruttori hanno incitato i musulmani perché facessero scappare i cristiani, così da poter costruire case e negozi sui loro terreni».
La stessa cosa avvenne nel caso di Rimsha Masih, la ragazzina leggermente ritardata e accusata ingiustamente di blasfemia per avere bruciato alcune pagine del Corano. Allora, un imam fabbricò false accuse per cacciare i cristiani dal loro quartiere di Rawalpindi, che valeva milioni di euro. In cambio, gli avevano promesso un terreno dove costruire una moschea.
33 ANNI DI MORTE E TERRORE
Attualmente ci sono almeno 80 persone nel braccio della morte in Pakistan per accuse di blasfemia. Di questi, almeno 12 sono cristiani. Dal 1987, anno in cui il dittatore islamico Zia ul-Haq ha aggravato le pene per questo reato, sono state accusate oltre 1.500 persone: nonostante la pena di morte non sia mai stata eseguita, 77 persone coinvolte in casi di blasfemia sono state uccise da estremisti islamici, per i quali l’accusa equivale sempre a colpevolezza. Spesso gli imam in Pakistan definiscono «eroi della fede» gli assassini che uccidono i presunti blasfemi. L’ultimo caso è avvenuto a luglio, quando un imputato è stato ucciso con un colpo di pistola in tribunale prima del verdetto del giudice. Davanti all’enorme numero di abusi il governo e il Parlamento non hanno mai osato modificare la “legge nera”.
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