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Non solo Genova: ecco tutte le opere anti-alluvione bloccate dai ricorsi al Tar e dai comitati del “no”

Tutta Italia è piena di progetti e cantieri contro il dissesto idrogeologico bloccati dalla burocrazia. Con i fondi già stanziati. L'assurdo caso del torrente Bisagno di Genova si ripete a Milano, a Parma, a Sarno, in Friuli e in Toscana

Chiara Rizzo
19/10/2014 - 5:00
Interni
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Genova non ha fatto in tempo nemmeno a riemergere dal fango che l’ha travolta, che già Parma ha dovuto fare i conti con una nuova alluvione. Il caso della messa in sicurezza del torrente Bisagno che ha inondato il capoluogo ligure, opera bloccata da anni per un ricorso al Tar, non è unico: e proprio Parma è un secondo esempio di come le liti tra le imprese in gara per gli appalti, l’opposizione di certi “comitati” (quando non delle stesse istituzioni locali), i ritardi e gli errori burocratici stiano di fatto azzoppando il processo con cui l’Italia può cercare di mettersi in salvo da frane ed esondazioni.

LA TASK FORCE DI RENZI. Il governo ha predisposto un’apposita task force contro il dissesto idrogeologico, proprio per cercare di sbloccare il maggior numero possibile di opere che spesso risultano già finanziate, ma che restano impantanate per decenni. La task force, Italiasicura, come primo passo, ha recensito uno per uno questi siti, scoprendo che attualmente sono ben 1.107 i cantieri ancora da sbloccare (1.900 sono invece già in corso). Italiasicura ha poi valutato in 3,4 miliardi di euro i finanziamenti già disponibili ma rimasti in questi anni nei cassetti delle regioni, di cui 1,6 miliardi da sbloccare ancora, entro e non oltre il 2015. Il decreto Sblocca Italia dovrebbe contribuire proprio ad accelerare parte di questi lavori, in particolare quelli del Seveso a Milano, e quelli del Bisagno a Genova.

IL SEVESO. Solo nel luglio scorso, il fiume Seveso è esondato per ben tre volte a causa delle piogge. Ma secondo Regione Lombardia e l’Agenzia interregionale per il fiume Po (Aipo), dal 1976 a Milano si sono verificate 100 esondazioni, in media 2 e mezza all’anno. Addirittura diciassette dal 2010 a oggi (più di 4 all’anno). L’idea è di creare vasche di esondazione che impediscano alle acque del fiume di tracimare gli argini. Dopo lo studio di fattibilità, eseguito nel 2011, nel 2013 è stato presentato il progetto preliminare: le vasche interesseranno soprattutto l’area del comune di Senago, con costi stimati per 30 milioni di euro, più l’assicurazione di una serie di interventi per la tutela e la valorizzazione dell’ambiente. I fondi sono stati già reperiti e stanziati (da governo ed enti locali, compreso il Comune di Milano), ma di aprire i cantieri non se ne parla proprio.

SENAGO S’IMPUNTA. Infatti Lucio Fois, il sindaco di Senago, comune di 21 mila abitanti, si è messo di traverso, convinto che le vasche non siano un’opera prioritaria. Fois, che è di Sel come Pisapia, il quale invece sostiene l’opera, il 16 luglio ha presentato un ricorso alla Corte dei conti, per una presunta «violazione dei princìpi di ragionevolezza, efficacia, efficienza e buon andamento dell’opera», ritenendo che le vasche si potrebbero fare piuttosto in altre località, e che il progetto è «pressapochista». Alla fine di luglio, un’assemblea convocata nel piccolo comune per illustrare la bontà del progetto (presenti anche inviati di Pisapia) è finita con i fischi dei comitati di residenti locali. L’esecutivo però ha deciso che inizierà proprio da qui il lavoro della task force sblocca-cantieri: il 20 ottobre Italiasicura sarà a Milano per presentare i primi lavori per le casse di espansione, l’opera prima per le vasche, che dovrà partire a breve. Nella speranza che intanto il Seveso se ne stia buono dentro gli argini.

PARMA E IL BAGANZA. Lunedì mezza Parma è stata allagata dall’acqua del Baganza, ma i fondi per evitare che quel corso d’acqua straripi sono a disposizione della città da tre anni: sono 16 i milioni di euro di fondi pubblici già stanziati per la cassa di espansione del torrente. Il protocollo è stato firmato nell’aprile 2011 dal solito Aipo e dal Comune di Parma e da altri 4 minicipi. L’opera avrebbe dovuto essere terminata nel mese di dicembre di quello stesso anno, e invece nel 2014 i lavori ancora non sono partiti: l’azienda che ha perso l’appalto ha presentato ricorso al Tar. Erasmo D’Angelis, coordinatore di Italiasicura, l’ha definita «una storia assurda e imbarazzante per la pubblica amministrazione di ricorsi e contro-ricorsi esattamente com’è successo per il Bisagno a Genova», e ha assicurato che anche le casse del Baganza verranno realizzate con priorità massima.

SARNO. Il 5 e il 6 maggio 1998, a Sarno e Quindici (Avellino) una frana di fango causata dalle piogge uccise in un istante 160 persone. Una tragedia che è rimasta impressa nei ricordi di tutti, anche per l’alto numero di bambini coinvolti. Eppure da allora, in 16 anni di tempo, nulla è stato fatto per evitare che la tragedia si ripeta. Il Grande Progetto Sarno, come è stata chiamata l’opera di riqualificazione del territorio (presentata solo nel 2012), addirittura è stato approvato dalla Commissione europea che ha deciso di versare interamente i 210 milioni di euro necessari ai lavori. Fine prevista: 2015, pena la perdita dei fondi europei. Peccato che il Tar di Napoli abbia congelato tutto dando ragione alle obiezioni del comitato “no vasche del Sarno” di Nocera Inferiore. Lo scorso luglio il Consiglio di Stato a sua volta ha annullato la decisione del Tar, ma intanto la gara non è stata nemmeno bandita.

IL TAGLIAMENTO. Il progetto per le sei casse di espansione da realizzare lungo il fiume Tagliamento, che a causa della grande alluvione del Friuli nel 1966 lasciò senza tetto oltre 5 mila persone, è stato approntato invece nel 1996, dopo una infinita contrapposizione tra Commissione per i lavori e “Comitato permanente di opposizione”. Ci sono anche i fondi, ben 41 milioni, ma non possono essere spesi. Al momento infatti anche in Friuli è in corso la solita guerra tra amministratori locali, portata avanti in particolare da cinque comuni della provincia di Udine (San Daniele, Ragogna, Spilimbergo, Dignano e Pinzano), contrari all’opera perché ritengono il progetto «di elevato impatto». Nel 2003 a loro si è affiancato anche il Wwwf, che si è distinto per la promozione di uno dei due ricorsi contro il progetto presentati al Tribunale superiore delle acque. Ricorso vinto nel 2009: annullata la delibera regionale per l’avvio dei lavori.

L’ARNO. Le casse di espansione del fiume Arno, esondato nel 1966 con conseguenze devastanti e tragiche a Firenze e in gran parte della Toscana, si sono fermate prima per mancanza i fondi, poi, da due anni a questa parte, per un difetto di notifica. Un errore burocratico, insomma. Uno dei proprietari privati dei terreni da espropriare infatti ha presentato un ricorso al Tar appellandosi a presunte irregolarità nella procedura di esproprio: non gli era stata consegnata una delle autorizzazioni necessarie. Il tribunale amministrativo gli ha dato ragione e di conseguenza tutte le procedure sono state annullate e rifatte. I cantieri sono stati inaugurati meno di un mese fa.

Tags: alluvionebisagnoesondazionefangofirenzefriuligenovaItaliasicuraMatteo RenziMilanoparmasenagosevesotagliamentoToscana
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