
«Non risparmiate nemmeno i neonati»

Articolo tratto dal numero di gennaio 2021 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
È arrivato anche in Italia Killing Orders, il libro scritto dallo storico turco in esilio Taner Akçam per dimostrare che i telegrammi di Talat Pasha che impartivano gli ordini per lo sterminio degli armeni, resi noti nel 1919 dallo storico armeno Aram Andonian, sono autentici. Akçam è stato il primo ricercatore turco ad ammettere che il genocidio del 1915 è un fatto storico accertato, sin dalla sua tesi di dottorato nel 1995 all’università di Hannover, poi diventata un libro col titolo Nazionalismo turco e genocidio armeno sulla base dei tribunali militari di Istanbul tra il 1919 e il 1922. In Killing Orders, pubblicato per la prima volta in inglese nel 2018, Akçam risponde colpo su colpo a Şinasi Orel e Süreyya Yuca, i due storici turchi che nel 1983, per conto dell’Associazione storica turca (fondata nel 1931 per iniziativa dell’allora capo dello Stato Mustafa Kemal Atatürk), hanno scritto il libro I telegrammi di Talat Pascià: fatto storico o finzione armena?, nel quale i telegrammi e l’intero memoriale attribuito al funzionario ottomano Naim Effendi (o Naim Bey) vengono giudicati un falso storico.
Akçam ha svolto ricerche per conto suo, anche ritrovando alcuni dei documenti originali utilizzati da Andonian che negli anni sono andati in gran parte dispersi. Essi consistevano di un insieme di ricopiature di atti ufficiali effettuate dallo stesso funzionario Naim, appunti e notizie comunicati dallo stesso, documenti originali comprendenti telegrammi cifrati. Furono ceduti in cambio di denaro in una serie di appuntamenti presso il Baron Hotel di Aleppo.
Oltre 20 mila documenti consultati
I testi dei telegrammi recanti la firma di Talat sono agghiaccianti. «I diritti di tutti gli armeni su suolo turco, come il diritto alla vita e al lavoro, sono stati soppressi, e nessuno deve essere risparmiato, nemmeno l’infante nella culla; il governo si assume ogni responsabilità per la situazione», si legge in un messaggio datato 22 settembre 1915. E in un altro del 29 settembre: «Si è in precedenza comunicato che il governo, per ordine del Cemiyet, ha deciso di annientare completamente tutti gli armeni che vivono in Turchia. Coloro che si oppongono a questo ordine e a questa decisione non potranno più fare parte della struttura ufficiale dello Stato. La loro esistenza deve essere condotta alla fine: non vi è spazio per gli scrupoli di coscienza e non si faccia distinzione per donne, bambini e ammalati, indipendentemente da quanto cruente possano essere le modalità di distruzione».

Per contestare la veridicità del materiale pubblicato da Andonian nel 1919 Orel e Yuca affermano che non è mai esistito un pubblico ufficiale ottomano di nome Naim ad Aleppo, che la burocrazia ottomana non utilizzava a quell’epoca fogli a righe come quelli dei documenti del memoriale, che i codici cifrati dell’Impero ottomano erano di 4 e di 5 cifre, e non di 2 o di 3 come nei telegrammi pubblicati da Andonian. Akçam dimostra documenti alla mano che tutte queste contestazioni non reggono: esistono documenti degli uffici governativi di Aleppo a firma di Naim, disponibili addirittura presso gli archivi delle forze armate turche; i fogli a righe erano comunemente usati dalla burocrazia ottomana, ed esiste addirittura una direttiva del ministero degli Affari esteri del 1913 che ordina a tutte le amministrazioni di utilizzarli per i telegrammi, cifrati o no; infine, per tutti gli anni della guerra l’amministrazione ottomana ha usato codici cifrati di vario tipo, e non solo di 4 o 5 cifre: «Ho consultato più di 20 mila documenti degli archi ottomani di quel periodo. Fra il 1914 e il 1918 sono stati usati codici numerici di 2, 3, 4, e 5 cifre», ha dichiarato Akçam in un’intervista al periodico Agos di Istanbul.
Lo storico ha anche compiuto un lavoro certosino per accertare la veridicità di molte informazioni che Naim comunica ad Andonian in semplici appunti manoscritti, recuperando anche documenti che Andonian non aveva pubblicato nel suo libro e che sono conservati presso l’archivio creato dal sacerdote armeno Krikor Guerguerian: «Per esempio Naim Efendi nella parte del memoriale che ho pubblicato per la prima volta fa i nomi di alcuni esiliati armeni e scrive: “Abbiamo ricevuto un ordine da Istanbul; dicevano di trattenerli ad Aleppo, di non mandarli via. E tuttavia il governatore li ha mandati incontro alla loro perdizione”. Naim Efendi non fornisce un documento relativo a questo ordine, riferisce solo quello che ricorda. Io ho trovato il telegramma negli archivi ottomani. Ho fatto studi su altri 10 casi come questo e ho trovato una quantità di documenti negli archivi relativi agli episodi di cui scrive Naim Bey», dice Akçam su Agos.
Due telegrammi inediti
La puntuale attribuzione delle responsabilità per il genocidio armeno è stata resa molto difficile dalla distruzione di una grande quantità di documenti dell’epoca ottomana nei primi anni della Repubblica turca. Per esempio tutti gli atti dei processi delle Corti marziali che a Istanbul fra l’aprile 1919 e il marzo 1920 giudicarono centinaia di esponenti dello Stato per le accuse di genocidio e ne condannarono molti a morte (inclusi i tre “triumviri” Talat, Enver e Gemal in contumacia) sono stati fatti scomparire. Quando il governo kemalista salì al potere nel 1923, tutti i condannati vennero amnistiati. La presunta assenza di documenti ufficiali che attestino la volontà del governo di sterminare gli armeni è stata negli anni addotta dai negazionisti per giustificare la loro incredulità. In realtà oltre ai telegrammi di Talat esistono molti altri documenti autentici che permettono di capire quello che è successo.
In Killing Orders Akçam attira l’attenzione su due telegrammi da lui recuperati presso l’archivio Guerguerian. Firmati l’uno dal comandante della Terza armata Mahmut Kamil Pasha e l’altro dal capo dell’Organizzazione speciale (forza paramilitare del Partito dell’unione e progresso), Bahaettin Şakir. Il primo recita: «Si è appreso che i musulmani di alcune città e villaggi, da cui la popolazione armena è stata deportata, hanno nascosto degli armeni. È pertanto necessario che quei proprietari di case che hanno nascosto e protetto gli armeni, trasgredendo alle decisioni del governo, debbano essere giustiziati dinanzi alle loro residenze, e che le loro abitazioni siano bruciate». Nell’altro telegramma, inviato al governatore di una provincia, Şakir si preoccupa di sapere se gli armeni sono stati effettivamente soppressi: «Sono stati eliminati gli armeni da lì deportati? Questi elementi dannosi (…) sono stati eliminati o soltanto espulsi? Per cortesia, fratello mio, nel tuo rapporto sii sincero».
Killing Orders è stato tradotto da Vittorio Robiati Bendaud e Alice Zanzottera, è arricchito da una prefazione di Antonia Arslan ed è pubblicato da Guerini, l’editore italiano che più si è distinto negli ultimi anni per la pubblicazione di testi relativi al mondo armeno e alla questione del genocidio. Il libro è dedicato a Hrant Dink, il giornalista armeno cittadino turco assassinato nel gennaio 2007 di cui Akçam era amico e collaboratore, con queste parole: «Al mio carissimo amico Hrant Dink, che credette nella riconciliazione fra gli armeni e il popolo turco sui pilastri della Verità e della Giustizia. Nel 2007 il suo omicidio non ha ucciso il suo sogno, ma piuttosto ha ispirato centinaia di migliaia di persone a seguire il suo esempio».
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