Lacrime di coccodrillo sulla fiera dell’utero in affitto

Di Caterina Giojelli
11 Settembre 2021
Tutti a smarcarsi dal salone "Un sogno chiamato bebè”. Ma dove pensavate portassero anni di balle infiocchettate sui diritti, la genitorialità, decisioni dei tribunali e un'improvvida sentenza della Consulta?
surrogata francia

Davvero ci si stupisce della fiera dell’utero in affitto a Milano? La notizia lanciata da Avvenire dell’arrivo del salone “Un sogno chiamato bebè” (versione italiana al miele di Desir d’Enfant che la scorsa settimana ha proposto ai parigini pacchetti “bambino in mano” per tutti i gusti e le tasche) ha suscitato orrore e raccapriccio a destra e a manca. Al ministro Speranza sono arrivate le interrogazioni di Comincini (Pd) e Gasparri (Fi), al sindaco Sala le richieste di rendere la città indisponibile dal ministro Carfagna, da Fdi, Lega, Fi, ma anche dalla senatrice dem Valente e dal suo candidato in lista civica Paolo Petracca; Migliarese e Giovanati (Lega) lanciano una petizione. E Matteo Forte, capolista di Milano popolare, chiede un intervento del Comune, ma «sarebbe interessante sapere con quali autorità hanno preso contatto gli organizzatori della fiera».

Molto interessante, e non solo perché in Italia la surrogacy sarebbe espressamente vietata dalla legge 40 che punisce con la reclusione fino a due anni «chiunque realizza, organizza o pubblicizza la surrogazione di maternità» – “sarebbe”: tanto a invalidare la norma ci pensano i tribunali -. Ma perché nessuno ha capito dove e con chi si terrà questo diabolico mercatino di bambini (travestito da fiera sulla procreazione medicalmente assistita e che a Parigi offriva soluzioni per portare a casa bambini geneticamente sani e gameti, spermatozoi, ovociti di qualità per selezionare razza, colore dei capelli del nascituro) «non avrà luogo presso i quartieri fieristici e congressuali del Gruppo Fiera Milano», tocca precisare a Fiera Milano. Quanto a Palazzo Marino, dice l’assessore a Educazione e Istruzione Laura Galimberti che «al Comune di Milano non è arrivata nessuna richiesta o informazione a riguardo. L’Amministrazione non ha concesso alcuna autorizzazione o patrocinio o altre forme di sostegno all’iniziativa né, al momento, è nelle condizioni di intervenire per vietarlo».

I diritti di Beppe Sala e la felicità di Nichi

Ma certo, e non per questioni formali. Abbiamo visto tutti Beppe Sala sul palco dell’Arco della pace chiudere il Milano Pride inneggiando al ddl Zan. Lo stesso palco dal quale Maddalena Grassadonia, responsabile Diritti e libertà di Sinistra italiana, già presidente di Famiglie arcobaleno, proclamava: cominciamo col disegno di legge Zan e continuiamo verso la legge 40 (…) Pma, Gpa». Pma, cioè fecondazione assistita, e Gpa, cioè gestazione per altri, cioè utero in affitto. Ci ricordiamo, quando il Tribunale di Milano ordinò al Comune di riconoscere come “padri” entrambi i componenti di una coppia gay che si erano “procurati” la figlia negli Stati Uniti con l’utero in affitto, le sue dichiarazioni: «A livello personale in linea di principio sono d’accordo, ma bisogna trovare certezza che i certificati siano a posto», sollecitando una riflessione in giunta.

La fiera sarà a Milano, ma perché non a Roma, dove la surrogata è un reato ma se lo scrivi su un manifesto paghi la multa? Perché non in tutta Italia, non siamo stati svezzati dai pezzi sui vari «Nichi è diventato padre», la famiglia è «pazza di gioia», dalle foto delle famiglie che con la surrogata vissero felici e contente, dall’Arcigay in televisione a equiparare adozione e surrogata, costi dell’utero in affitto e costi di qualunque prestazione medica, coppie con problemi di fertilità a coppie che pagano agenzie, cliniche, avvocati per un trattamento all inclusive che termini davanti a un notaio e con un bambino in braccio?

Dalla legge 40 al bebè da sogno

“Un sogno chiamato bebè” non è solo una mostra dell’utero in affitto: “Un sogno chiamato bebè” mostra dove ci hanno portato anni di infiocchettamento delle aberranti balle sulla surrogata, le decisioni dei tribunali, ma soprattutto l’improvvida sentenza della Consulta che ha sdoganato l’eterologa e con essa la grande opera di mistificazione sulla produzione dei bambini e sulla genitorialità ridotta a faccenda da dirimere a colpi di legge. 

«Inutile commentare “l’avevamo detto!”, ricordando che questa deriva era prevedibile, e che la mercificazione del bambino e della maternità è la conseguenza della disinvoltura con cui si è spalancata la porta alle nuove tecniche di fecondazione in laboratorio, oltre che di una legislazione incurante che ha colpito la famiglia inseguendo il mito dei nuovi diritti», scrive Eugenia Roccella su Avvenire. «La domanda che vorremmo invece rivolgere oggi a chi siede in Parlamento e al governo è un’altra: siete d’accordo con tutto questo? Pensate davvero che questa sia la modernità, il futuro che ci aspetta e che è inutile cercare di contrastare? Ritenete che il liberismo procreativo sia un esito scontato delle nuove tecnologie, che si possa accettare il mercato dei corpi e delle persone, come in tempi oscuri che oggi condanniamo, e che il fatto che ci sia l’assenso della persona sfruttata legittimi ogni forma di sfruttamento?». Roccella ricorda che sulla  rivoluzione antropologica e sulle sue conseguenze la politica è venuta meno al suo compito, troppo spesso a causa di «una grave mancanza di consapevolezza o un rassegnato disinteresse. Eppure non è difficile, ancora adesso, agire almeno sulla terribile ingiustizia della cosiddetta “gestazione per altri”».

In Parlamento sono state depositate, ma non ancora discusse, due proposte di legge, firmate da Meloni e Carfagna, per estendere la legge 40, aggravando la sanzione per la pratica dell’utero in affitto ed estendendola ai reati commessi all’estero. Smarcandosi dalla fiera Galimberti ha lamentato il rischio concreto che le polemiche si sostituiscano «alle esigenze di un dibattito serio e approfondito». Su cosa, su come realizzare un “sogno” al prezzo di un bambino?

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