«Un appello di drammatica urgenza», lo definisce monsignor Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste e presidente dell’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân. «Con questo testo – scrive Crepaldi nell’introduzione a Un paese smarrito e la speranza di un popolo – si intende mettere sulla piazza un quadro di proposte organiche da parte dei cattolici rivolte a tutti gli italiani, senza che i cattolici si debbano travestire da laici e viceversa, e con la chiara pretesa che la fede cattolica – se non è tradita dai suoi – possa e debba entrare in aiuto alla ragione politica».
Nel settantesimo anniversario del “Codice di Camaldoli” l’Italia ha ancora «bisogno dei cattolici, i cattolici hanno bisogno dell’Italia». Soprattutto ha bisogno che essi siano i primi a essere consapevoli che «la loro principale modalità di amare l’Italia consiste nell’indicarle un orizzonte più grande di essa. È la loro fede che li obbliga ad avere due patrie, è la loro coerenza che li obbliga a dimostrare che non si contraddicono tra di loro». L’Appello formula alcune proposte concrete per non andare «alle elezioni nudi e alla chetichella». Proposte all’insegna della sussidiarietà, la grande assente nel sistema italiano, che va rinvigorita con una più chiara consapevolezza che libertà significa anche responsabilità.
Uno: libertà di educazione. «La prima e più grande rivoluzione da farsi in Italia è quella della scuola». Il monopolio statale dell’educazione è oggi sinonimo di «burocrazia e inerzia, dipendenza dalle circolari e dalle graduatorie, prevalenza degli aspetti quantitativi su quelli qualitativi». La modifica del mondo scolastico dovrebbe essere «il primo compito dei cattolici», perché «la prima libertà è la libertà di educare, quando ci è tolta quella ci è tolto tutto».
Due: pubblica amministrazione. Di fronte a questo spreco di soldi e personale la soluzione è una sola: aprire al privato e al privato sociale secondo una logica di «libertà sussidiata». Lo Stato retroceda, lasci posto alla società civile. Controlli, ma non sostituisca.
Tre: lavoro. Qui l’appello lamenta l’invadenza dei sindacati («il grosso dei loro iscritti è dato dai pensionati»), l’ingessatura cui costringe l’articolo 18, il peso delle tasse. Si chiede più libertà non solo per i lavoratori, ma anche per le imprese che devono essere messe nelle condizioni di operare (anche mediante la «contrattazione aziendale»).
Quattro: giustizia. Il punto di partenza è che «sotto la legge occorre tornare a considerare un ordine che precede la legge stessa e la fonda». Si entra nello specifico di alcune riforme: separazione delle carriere tra giudici e pm, limitazione del correntismo tra magistrati, della custodia cautelare, delle intercettazioni. Non è più accettabile che «leggi fatte dal Parlamento, come avvenuto in molti casi riguardanti le leggi sulla vita e la famiglia», siano smontate da «sentenze giurisprudenziali».
Cinque: Rai. Va privatizzata. «Anche in questo campo si applichi il principio di sussidiarietà. L’informazione non la fa lo Stato, ma i soggetti culturali presenti nella sociatà civile».
Sei: partiti. Oggi colpiti da «movimenti di antipolitica che hanno dimostrato di essere essi stessi dipendenti da autoritarismi interni», essi «devono cambiare, rimanendo, però, partiti». E i cattolici? Basta nostalgie per il partito confessionale. «Il sistema proporzionale – si legge – ha fatto il suo tempo. […] Ora è più utile procedere verso una normalizzazione del bipolarismo». Certo, è fondamentale per il credente la scelta del candidato, «perché nel programma dei cattolici ci sono valori legati alla difesa della natura umana che oggi sono pesantemente contestati e minacciati».
Otto: immigrazione. «La doverosa accoglienza degli immigrati non può avvenire in modo inconsapevole e indifferente». Il problema «non sono gli immigrati, ma la debole identità culturale e morale dei paesi ospitanti». Se «il multiculturalismo non è una soluzione», non lo sono nemmeno i respingimenti. La via mediana è chiedere all’ospite, in cambio di accoglienza, condivisione della nostra tradizione, identità e cultura.
Nove: riforme istituzionali. Serve rendere più rapido il nostro sistema potenziando l’esecutivo, estendere l’uso delle preferenze, prevedere un premio di maggioranza che non deprima la rappresentanza e forme di sbarramento che riducano i partiti.
Dieci: vita e famiglia. Esse sono minacciate non solo per i pochi provvedimenti a favore, ma anche da leggi contrarie, come l’estensione dei diritti a coppie sia etero sia omosessuali. «La famiglia naturale fondata sul matrimonio tra uomo e donna è una risorsa sociale» e va sostenuta con sgravi fiscali adeguati. Al contrario «va superato l’ossequio nazionale al tabù culturale del diritto all’aborto. Quest’ultimo va combattuto come il principale male del paese».