Così il Sessantotto “cattolico” ha rovinato la missione alle genti e reso Paolo VI il Papa martire del XX secolo
Il Concilio Vaticano II aveva suscitato tanti entusiasmi e speranze, secondo quanto diceva san Giovanni XXIII: «Il Concilio sarà una nuova Pentecoste per la Chiesa». La storia, com’è noto, è poi andata in senso diverso.
Quando finisce il Vaticano II (7 dicembre 1965), Paolo VI pubblica, col Motu proprio Ecclesiae Sanctae (6 agosto 1966), le norme per applicare le decisioni conciliari alla vita quotidiana dei fedeli e di diocesi, parrocchie, istituti religiosi. Ma già nascevano convegni teologici, riviste specializzate (ad esempio Concilium) e pubblicistica ecclesiale che iniziavano la “fuga in avanti” (o indietro?) non spiegando e invitando ad applicare i documenti del Concilio, ma ipotizzando cosa volevano realmente dire i padri conciliari. Si scriveva che “lo spirito del Concilio” superava ampiamente i testi conciliari, troppo timidi e incompleti, per colpa soprattutto delle mitica “Curia romana”. Sorgevano “profeti” che annunziavano prossimo il “Concilio Vaticano III”, che avrebbe dovuto completare il Vaticano II, ipotizzando forme nuove di vita cristiana e sacerdotale.
Nell’autunno 1967, inizia in Italia e in Occidente il Sessantotto, un miscuglio di grandi ideali (la pace e la giustizia nel mondo), di utopie spesso assurde (l’uguaglianza assoluta fra gli uomini e fra uomo e donna, il disarmo totale) e di comportamenti spesso violenti, che manifestavano la profonda insoddisfazione per la nostra società occidentale. Era una protesta generalizzata di giovani, specialmente studenti, contro la società in cui vivevano, bloccata dai “poteri forti” e dai detentori del potere, i “baroni” delle cattedre, i “padroni” delle industrie e tutte le autorità. Lo spirito sessantottino si è infiltrato anche nella Chiesa cattolica. A molti sembrava un movimento provvidenziale per il bene della politica, della società e della Chiesa.
Nascevano comunità di credenti, con i loro sacerdoti, che vivevano “secondo lo spirito del Concilio” ma non obbedivano al vescovo ed erano motivo di divisione e di scandalo, amplificato dai mass media. Diminuiva la pratica religiosa, non pochi sacerdoti abbandonavano il sacerdozio, per sperimentare “un modo nuovo di essere prete”. Erano tempi di grande confusione, dubbi, incertezze: iniziava il periodo di crisi della fede e della vita cristiana di cui siamo ancor oggi spettatori addolorati.
Una certa teologia disincarnata dalla realtà minava le fondamenta dell’ideale missionario, come inteso dal Vaticano II. Si proclamavano come verità proposte che avevano qualcosa di autentico, ma diventavano, assolutizzandole, nefaste per la missione alle genti. Ad esempio:
• Le giovani Chiese debbono annunziare Cristo ai loro popoli, i missionari sono superflui; nasceva una campagna di stampa per il “moratorium” delle missioni in Africa (ritirare tutti i missionari stranieri), per lasciar libere le Chiese locali.
• I non cristiani sono anche in Italia, la missione alle genti è qui da noi.
• Manchiamo di sacerdoti in Italia, perché voi missionari andate a portare Cristo in altri continenti, quando lo stiamo perdendo noi italiani?
• Non è importante che i popoli si convertano a Cristo, purché prendano il messaggio di amore e di pace del Vangelo.
• Ogni religione ha i suoi valori e tutte portano a Dio, che senso ha il “proselitismo” missionario in popoli di altre religione?
• Basta conversioni. Facciamo che il cristiano sia un miglior cristiano, il musulmano un miglior musulmano, un buddhista un miglior buddhista…
Paolo VI era il Papa del Concilio, aveva portato avanti con grande saggezza e chiuso bene, con voti quasi unanimi dei 2.500 Padri conciliari, un evento straordinario che apriva orizzonti nuovi alla Chiesa. Uomo colto, mite, umile, che aveva capito i tempi moderni, comunicava in modo comprensibile a tutti (si leggano le sue encicliche!) e con la sua prima enciclica Ecclesiae Sanctae (1964) indicava il dialogo col mondo (dare e ricevere) come metodo di annunzio del Vangelo nei tempi moderni.
Eppure, all’inizio degli anni Settanta, dopo le contestazioni violente e sprezzanti (da parte di cattolici) seguite alla Humanae Vitae (1968), che l’avevano ferito nel vivo, di fronte al marasma di quei tempi era intimidito, si sentiva mancare le forze per reagire e riportare il gregge di Cristo a vivere secondo gli orientamenti dati dal Vaticano II. E anche la Chiesa italiana, dialogante e divisa, non aiutava certo Paolo VI. Era orientata verso “il senso religioso”, mentre la società e la cultura italiana erano arate, seminate e devastate dai prepotenti e spesso violenti metodi e ideologie sessantottini. Il messianismo della rivolta studentesca sembrava dare vigore ai fermenti post-conciliari, che interpretavano il Concilio come una rottura con la Tradizione ecclesiale e una rivoluzione totale della Chiesa e della vita cristiana.
Tanto più che non pochi intellettuali e teologi, associazioni e gruppi ecclesiali seguivano la travolgente onda culturale che portava verso il laicismo, il relativismo, l’individualismo (i “diritti individuali” ma non i “doveri”), la lettura “scientifica” della società (cioè il marxismo). Nessuno più osava dire forte e chiaro che un “mondo nuovo” è possibile, ma solo a partire da Cristo. Paolo VI lo diceva, lo ripeteva, lo proclamava ad alta voce (si vedano i numeri 26, 28, 31 della Octogesima adveniens, 1971, sul socialismo), ma era ascoltato solo dai semplici credenti e da coloro che, nelle mischie dei “talk show”, erano definiti “papalini” in senso negativo.
La crisi dell’ideale missionario nell’Occidente cristiano è nata nella crisi di fede che squassava la Chiesa intera. Ha preso tutti alla sprovvista e ha diviso le forze missionarie (istituti missionari, riviste, animazione missionaria, eccetera).
Un esempio significativo (ne ricordo tanti!). Nell’estate 1968, come già diverse volte in precedenza, ho partecipato alla Settimana di Studi missionari a Lovanio (“Liberté des Jeunes Eglises”), organizzata dall’indimenticabile amico gesuita padre Joseph Masson, docente di Missiologia della Gregoriana. Diverse voci non di missionari sul campo, ma di studiosi, teologi, missiologi mi ferivano, perché esprimevano forti dubbi sul mandare missionari europei in altri continenti; molto meglio, si diceva, lasciare che le giovani Chiese raggiungano una loro maturità e si organizzino secondo le loro idee e culture. Ho protestato contro questa ipotesi perché avevo seguito dal di dentro il Vaticano II e testimoniavo che la totalità dei vescovi delle missioni si erano espressi in modo radicalmente opposto, chiedendo nuovi missionari. Anzi, con l’indipendenza dei loro paesi sentivano la necessità di avere più forti legami con la sede di Pietro e le Chiese cattoliche antiche. È solo un esempio della mentalità che si era infiltrata e diffusa nella Chiesa in quel tempo post-conciliare.
La crisi della “missio ad gentes”, e quindi dell’animazione missionaria (e delle riviste e libri missionari), si è manifestata anche nella chiusura delle tre “Settimane di studi missionari” che si tenevano a Milano dal 1960 (esperienza chiusa nel 1969), a Burgos (1970) e a Lovanio (1975), che venivano da una lunga tradizione (a Lovanio dagli anni Venti), per i forti contrasti e divisioni fra i teologi e gli specialisti delle missioni.
tratto dal blog di padre Piero Gheddo
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10 commenti
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Convengo con più di un commento…e con dolore, perchè sono milanese….MA credo che la realtà ORA ci “sospinga” come Comunità cristiana (cioè pecore e Pastori), ad inginocchiarci e a chiedere perdono a Dio per come abbiamo “sbeffeggiato” Humanae vitae.No perdono? No Vita! No Vita? No ripresa.
WWW Paolo VI. MRP
Stupisce in tutto ciò il mantenersi di un sensum fidelium. Di profeti veri non ce ne sono mancati ed ora vengono riscoperti. In alcuni seminari si coltivano, però, ancora molte mitologie. A Milano, per esempio, una visione critica dei testi dj Martini è ancora introvabile.
Ho diversi colleghi e parenti milanesi, cattolici ferventi, e per loro criticare anche lontanamente Martini è un assoluto tabù.
NB: simpatico e calzante il tuo refuso “DJ MARTINI” (no Martini, no party :)).
Bergoglio è Martini sono la stessa cosa lo stesso pensiero la stessa impostazione spero che la chiesa non faccia propria l’interpretazione della fede di Martini/Bergoglio. Fino ad adesso mi ero sentita al riparo da questo pensiero che percepisco profondamente estraneo al sensum fidei mio ma anche della stessa chiesa per come l’ho conosciuta fino ad ora.Ma l’ondata Francesco mi sembra che vada verso l’impostazione Martiniana di qui applausi adulazioni lusinghe del mondo idolatria se invece fosse la vera via di cristo ci sarebbero sicuramente meno applausi più persecuzione
il 68 è attualmente pienamente vincente nella Chiesa in questa c’è molta ideologia sessontottina poco Cristo.Almeno Paolo VI è rimasto fedele alla Parola di Cristo e quindi perseguitato Bergoglio mi pare si senta perfettamente in sintonia con questa ideologia per questo è adulato e non perseguitato.E’ un pensiero unico un nuovo totalitarismo e nessuno vi si oppone. anche il papa si è accomodato
“Non è importante che i popoli si convertano a Cristo, purché prendano il messaggio di amore e di pace del Vangelo.” Bergoglio è perfettaemte d’accordo con questa affermazione siamo allla disfatta finale altro che chiacchiere Kasper docet.Kasper (80enne RISUSCITATO DA BERGOGLIO) rinnega Paolo VI vergogna!
D’accordo con te, AB. Qualcuno duemila anni fa ha detto: “‘Guai a voi quando tutti parleranno bene
di voi: infatti i padri di questa gente hanno trattato allo stesso modo i falsi profeti”.
A distanza di un tempo significativo mi chiedo e chiedo ai protagonisti di un simile disastro un minimo di autocritica ,un’esame di coscienza e’ impossibile?
autocritica? ma se continuano a parlare di rivoluzione, di nuova chiesa, di primavera, di effetto bergoglio etc solo che siamo in un inverno fitto e ancora non si accorgono
nella diocesi di brescia, culla di CONCILIUM, ci saranno anche alcuni giovani (allora ) detrattori di paolo VI tra coloro che organizzeranno i festeggiamenti per la sua beatificazione. con una bella faccia di bronzo.