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L’unica minoranza musulmana che il mondo si rifiuta di proteggere

Nell'ultimo anno sono stati arrestati e torturati dal regime comunista in Cina almeno 1,1 milioni di musulmani. Si tratta della «più grande incarcerazione di massa di una minoranza al mondo oggi»

Leone Grotti
29/06/2018 - 1:00
Esteri
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I paesi europei fanno a gara a chi stigmatizza con maggiore zelo qualsiasi critica verso l’islam al fine di proteggere i propri cittadini musulmani; gli intellettuali americani si scagliano contro Donald Trump per denunciare un “travel ban” colpevole di assomigliare troppo a un “muslim ban”; pur di non attaccare l’Arabia Saudita, la comunità internazionale fa finta di non vedere i crimini che vengono compiuti in Yemen; la stampa internazionale tiene il suo pubblico aggiornato sulla sorte dei rohingya perseguitati dai birmani; ci si preoccupa dei musulmani oggetto di attacchi spregevoli da parte degli estremisti in India. Nel mondo c’è una sola categoria di musulmani – arrestati, uccisi, torturati in massa – che nessuno ha il coraggio di proteggere: gli uiguri perseguitati dal regime comunista cinese.

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OLTRE UN MILIONE DI ARRESTI. La Cina è la seconda economia più importante del globo, sa come farsi rispettare e sa come vendicarsi quando qualcuno si comporta in un modo che le è sgradito. Il suo mazzo di ritorsioni contiene centinaia di carte. Nonostante questo la reticenza internazionale nei confronti di una delle più grandi violazioni di diritti umani al mondo, per gravità ed entità, è difficile da comprendere. Nell’ultimo anno, secondo stime attendibili, il regime comunista avrebbe incarcerato nei campi di rieducazione attraverso il lavoro (esatto, proprio quelli che aveva giurato di aver chiuso nel 2013) nel Xinjiang 1,1 milioni di uiguri, pari al 10-11 per cento della popolazione musulmana adulta della provincia. In molti villaggi, ai segretari locali del partito è stato imposto di rinchiudere una quota pari al 50 per cento dei musulmani, a prescindere dal fatto se abbiano commesso o meno reati. Si tratta della «più grande incarcerazione di massa di una minoranza al mondo oggi», come scritto in un rapporto della purtroppo inascoltata commissione esecutiva bipartisan sulla Cina del Congresso americano.

MUSULMANI PERSEGUITATI. Gli arresti di massa sono cominciati nell’aprile del 2017, un anno dopo che il presidente Xi Jinping ha nominato Chen Quanguo segretario del partito del Xinjiang, “premiato” per l’ottimo lavoro di repressione svolto per anni in Tibet. Tutti i musulmani che escono dal paese o dalla provincia anche solo per turismo vengono arrestati al ritorno; chiunque sia fervente musulmano viene arrestato; chiunque sostiene «visioni politicamente scorrette» viene arrestato. Chen ha vietato ai musulmani uiguri di digiunare durante il Ramadan, di pregare, di studiare il Corano e di mandare i figli in moschea (allo stesso modo nell’Henan i cristiani non possono più mandare i figli in chiesa). Ha anche costretto tutte le famiglie della provincia ad ospitare in casa per un lasso di tempo un funzionario comunista, incaricato di educarli ai valori del socialismo e del pensiero di Xi Jinping. Sempre nel Xinjiang è in atto il più grande tentativo mai realizzato da un governo di schedare geneticamente tutti i 22 milioni di abitanti raccogliendo il dna di ciascuno.

INDOTTRINAMENTO. Soprattutto Chen ha ordinato di rinchiudere oltre un milione di musulmani nei centri di rieducazione, dove ricevono un trattamento spaventoso. «Vengono indottrinati politicamente», spiega Maya Wang, ricercatrice di Human Rights Watch. «Prima di mangiare, devono augurare lunga vita a Xi Jinping. Prima che gli venga concesso il permesso di mangiare devono ringraziare il governo o il partito comunista». Devono poi rinnegare la propria cultura, «studiare i caratteri cinesi e chiunque si oppone alla detenzione arbitraria viene punito, spesso fisicamente, chiuso in isolamento senza cibo e acqua».

«TORTURATI A MORTE». Come diversi testimoni usciti dalle carceri hanno confermato a Dilxat Raxit, portavoce del Congresso mondiale degli uiguri, «molte persone sono state torturate a morte, altre picchiate a morte, altre ancora sono state private del sonno o del cibo o dell’acqua o del diritto di andare in bagno. Le guardie fanno tutto quello che capiscono essere umiliante per la persona che hanno davanti. Spesso li umiliano fisicamente e sappiamo che usano anche le scariche elettriche». Non è raro, infine, che funzionari del partito comunista chiedano ai reclusi di rinnegare l’islam spingendo molti musulmani a tentare il suicidio. Molti uiguri escono dai centri di prigionia con problemi mentali: ChinaAid ha riportato in particolare che alcuni prigionieri sono stati obbligati a indossare un elmetto che produce rumori per 21 ore al giorno, lasciando solo tre ore di silenzio per riposarsi.

DOV’È L’ONU? Come può la comunità internazionale ignorare una persecuzione così estesa, terribile e smaccata? È un mistero, così come è incomprensibile la scelta di eleggere la Cina tra i membri del Consiglio Onu per i diritti umani nel 2014. Pecunia non olet, si dice, ma è impossibile non inquietarsi soprattutto in un momento in cui il Dragone, attraverso il mastodontico progetto della Nuova via della seta, sta spendendo ottomila miliardi di dollari per costruire infrastrutture che collegheranno Pechino a oltre 60 paesi e al 65 della popolazione mondiale. Secondo il Center for Global Development, think tank di Washington, la Cina negli ultimi due anni ha già assoggettato finanziariamente e quindi politicamente Gibuti, Kyrgyzstan, Laos, Maldive, Mongolia, Montenegro, Pakistan e Tajikistan.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

Tags: CinaIslamMusulmanipartito comunistaregime comunistauigurixi jinpingxinjiang
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