Auto elettriche, ora il suicidio green dell’Ue è davvero servito
Il suicidio green è servito. Dopo 16 ore estenuanti di trattativa, ieri nella notte i ministri dell’Ambiente dell’Unione Europea, riuniti in Lussemburgo, hanno accettato di mettere la pietra tombale sui motori a combustione interna. Dal 2035, come richiesto dalla Commissione europea e come approvato dall’Europarlamento, sarà vietato vendere nuove auto che non siano elettriche in tutta l’Unione Europea. La Germania è riuscita a strappare una piccola concessione per i carburanti sintetici, ma è davvero poca cosa.
Con le auto elettriche sarà un’ecatombe
I ministri dei Ventisette si sono riuniti per stabilire quale posizione il Consiglio europeo dovrà tenere durante i colloqui con Commissione ed Europarlamento su alcune misure chiave del pacchetto climatico “Fit for 55”. Oltre al tema che riguarda le auto elettriche, si è anche discusso dell’estensione del sistema Ets agli edifici residenziali e ai trasporti.
L’accordo raggiunto nella notte sarà gravido di conseguenze per l’industria del Vecchio Continente. Secondo stime della stessa Commissione europea, l’obbligo di vendere solo auto elettriche a partire dal 2035 potrebbe causare la perdita di 600 mila posti di lavoro, nel peggiore dei casi, e di 275 mila nel migliore. I paesi più penalizzati saranno quelli dove il settore automotive è forte e sviluppato, come la Germania e l’Italia.
Italia, Bulgaria, Romania, Polonia, Portogallo e Slovacchia si erano opposti, chiedendo che il divieto fosse esteso al 2040 e che le emissioni allo scarico fossero ridotte del 90 per cento e non del 100 per cento. Ma non c’è stato niente da fare.
La coalizione tedesca si spacca
Nella giornata di martedì è andata in scena anche una piccola crisi di governo in Germania. Il ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner, aveva dichiarato che il bando totale alla vendita di auto a combustione interna era insostenibile. La titolare dell’Ambiente tedesca, Steffi Lemke, al vertice aveva però dichiarato che Berlino sosteneva il divieto. È dovuto quindi intervenire il cancelliere Olaf Scholz a ricordare che la posizione ufficiale del governo era quella di Lindner.
Da qui il compromesso approvato dai ministri, che però non è vincolante e dunque potrebbe non passare durante i colloqui finali. Da un lato Berlino ha ottenuto che nel 2026 Bruxelles verifichi ulteriormente se la tecnologia ibrida non sia in grado di soddisfare il taglio alle emissioni previsto (praticamente impossibile).
Il compromesso sugli e-Fuel
Dall’altro ha chiesto che dopo il 2035 possano essere venduti veicoli che utilizzano i carburanti sintetici di ultima generazione e che sono compatibili con il motore a scoppio. Il problema è che al momento, secondo un recente rapporto di Transport & Environment, vengono prodotti soltanto 130 mila litri all’anno di e-Fuel. Questi potrebbero salire fino a 550 milioni nel 2026 e progredire ulteriormente nel 2035, ma si tratta di un’inezia se si considera che nel 2022 in Unione Europea si prevede un consumo totale di benzina e diesel pari a 201 miliardi di litri.
La clausola degli e-Fuel, dunque, al momento potrebbe servire soltanto per far mantenere i motori a scoppio a marchi di nicchia. Senza considerare che la tecnologia non è in grado di tagliare le emissioni del 100 per cento allo scarico, come richiesto invece dalla direttiva Ue.
Una mazzata per le famiglie
Anche il secondo dossier sul tavolo ha portato i ministri ad accapigliarsi. La proposta prevedeva l’estensione, a partire dal 2026, del sistema Ets alle abitazioni e ai trasporti, che si traduce in una tassa aggiuntiva sulle bollette e i carburanti che i cittadini devono pagare per compensare le emissioni di CO2 prodotte da riscaldamento e consumo di energia elettrica. La stessa Commissione europea ha previsto che la misura provocherà «uno shock sulle bollette», come se non bastasse quello che già ora si verifica a causa dell’aumento del prezzo dell’energia.
Il compromesso trovato tra i Ventisette durante il vertice in Lussemburgo prevede che la nuova tassa entri in vigore nel 2027. Per evitare che centinaia di migliaia di famiglie vengano messe in ginocchio dalla transizione energetica, la Commissione aveva proposto un fondo da 72 miliardi per calmierare le bollette dei nuclei meno abbienti. Ma gli Stati più ricchi, che riceveranno meno aiuti, l’hanno giudicato eccessivo. Il fondo è quindi stato ridotto a 59 miliardi, che verranno distribuiti solo tra il 2027 e il 2032.
Il Green Deal senza Cina e Usa è inutile
Il Green Deal, il piano lanciato dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen «per salvare il pianeta», prevede che l’Europa diventi il primo continente climaticamente neutro entro il 2050. L’obiettivo è azzerare le emissioni nette europee entro il 2050 e ridurle del 55 per cento entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990, attraverso il pacchetto di misure “Fit for 55”.
Ma la crociata green dell’Unione Europea, che tre anni fa pareva un azzardo, oggi assomiglia di più a un suicidio. L’Ue infatti emette nell’atmosfera solo il 9 per cento dei gas serra globali, contro il 15 per cento degli Stati Uniti e il 30 per cento della Cina. Ma le misure che Bruxelles imporrà ai cittadini, e che mettono a rischio non solo i conti delle famiglie ma anche l’intera manifattura europea, non verranno applicate anche dagli Usa e dal Dragone. Anzi, da anni la Cina continua a costruire centrali a carbone a ritmo serrato, vanificando così gli sforzi del resto del mondo messo assieme.
Unione Europea «ideologica e neosovietica»
Questo significa che lo sforzo titanico che l’Ue si sta prefiggendo potrebbe anche non portare alcun beneficio alla lotta al cambiamento climatico, che è globale e non locale. Viene da chiedersi poi perché, rispetto al 2019, Bruxelles si rifiuti di prendere in considerazione le difficoltà insorte negli ultimi mesi in seguito alla crisi energetica, al rialzo dell’inflazione e alla guerra in Ucraina.
Imporre ai paesi membri non solo gli obiettivi da raggiungere, ma anche la tecnologia e i mezzi da utilizzare per farlo, è un modus operandi «ideologico e neosovietico», per utilizzare le parole di Massimiliano Salini (Fi-Ppe). Imporre la vendita di sole auto elettriche nuove a partire dal 2035 distruggerà una tecnologia nella quale l’Unione Europea è leader, come quella dei motori a scoppio, per sostituirla con una nuova dove sono i cinesi a farla da padrone. Senza considerare che tutti i minerali per realizzare le batterie elettriche sono attualmente monopolio della Cina.
Un suicidio (poco) green
Mentre il regime comunista cinese esulta e ringrazia per l’inaspettato regalo, c’è un ultimo problema da considerare, ben spiegato a Tempi da Roberto Zucchetti, docente di Economia dei trasporti all’Università Bocconi di Milano: «Quanta gente potrebbe permettersi le auto elettriche? In Italia la metà del parco automobilistico ha un valore medio di 2.000/2.500 euro. Se a questi milioni di persone chiediamo di immobilizzare un capitale molto più alto, di circa 15 mila euro, la realtà è che la grandissima parte di costoro non potrà più permettersi l’auto».
Le famiglie europee abbandoneranno dunque l’automobile? Impossibile, «visto che soltanto nelle grandi città è possibile muoversi senza auto». Ma queste rappresentano soltanto il 25 per cento della mobilità italiana. Dunque è molto più probabile, continuava Zucchetti, che «cominceremo a importare dall’India, dalla Corea, dalla Cina automobili a benzina o diesel a km 1». Cioè finte auto usate.
Risultato? L’Ue potrebbe ritrovarsi ad aver distrutto l’industria automotive europea, creando centinaia di migliaia di disoccupati, per favorire le importazioni dai paesi asiatici e ottenere scarsi benefici ambientali (per usare un eufemismo). Come si diceva nell’incipit è un suicidio: forse anche poco green.
Foto Ansa
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