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Mandare in pensione il catastrofismo ambientalista farebbe bene al clima

Il Nyt propone di abbandonare la lotta ai cambiamenti climatici per sostituirla con quella all'inquinamento dell'aria. Il giornale liberal intende solo modificare il vocabolario dell'emergenza, ma sarebbe da prendere sul serio

Leone Grotti
22/04/2022 - 6:20
Ambiente
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Protesta a Torino contro l'inazione dei governi nei confronti dei cambiamenti del clima

Le emissioni di CO2 nel 2021 hanno fatto registrare un +6% rispetto al 2020, vanificando così la riduzione del 5,2% dell’anno precedente. L’aumento, come dettagliato in un rapporto dell’Agenzia internazionale dell’energia, è dovuto per il 40% al consumo di carbone e il principale responsabile è, neanche a dirlo, la Cina. L’aumento delle emissioni prodotte dal Dragone tra il 2019 e il 2021 ha vanificato infatti il declino verificatosi nel resto del mondo nello stesso periodo. E niente lascia pensare che il futuro per il clima sarà diverso.

La Cina aumenta il consumo di carbone

Nei primi due mesi del 2022, infatti, la Cina ha aumentato del 15 per cento le sue importazioni di carbone dalla Russia. Ampliando e aprendo nuove miniere, inoltre, la capacità produttiva di carbone del Dragone è aumentata negli ultimi tre mesi del 2021 più di tutto il carbone prodotto nell’Europa occidentale. Nell’ultimo piano quinquennale per il settore energetico diffuso a marzo, infine, Pechino ha confermato che consumerà ancora più carbone per evitare i numerosi blackout dello scorso autunno e sostenere la domanda energetica dell’industria, senza specificare quando il paese raggiungerà finalmente il picco delle emissioni.

Nei prossimi cinque anni, secondo l’analista Yan Qin citata dal New York Times, Pechino costruirà nuove centrali a carbone per produrre 150 gigawatt di energia in più. Chi si aspettava dal presidente Xi Jinping delle scelte più “ambientaliste” e favorevoli al clima ha ricevuto un duro colpo a marzo, quando il leader comunista ha dichiarato che le fonti inquinanti non verranno sostituite fino a quando ce ne saranno di nuove in grado di sostituirle. Lo ha fatto con questa similitudine: «Non puoi gettare via le bacchette per mangiare fino a quando non ne hai di nuove. Questo non va bene».

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È l’inquinamento dell’aria che va combattuto

La Cina ha sempre detto che raggiungerà il picco delle emissioni di CO2 prima del 2030, ma difficilmente la leadership indicherà un anno preciso fino a quando continuerà a parlare di «garantire la sicurezza energetica» del paese. Ed è un problema serio per la lotta ai cambiamenti climatici, se è vero che l’effetto positivo per il clima della riduzione delle emissioni di diossido di carbonio nel mondo intero negli ultimi tre anni è stato annullato dall’aumento cinese.

È anche per questo motivo che le popolazioni mondiali continuano a guardare con freddezza e diffidenza le onerosissime soluzioni proposte durante le conferenze sul clima per combattere il surriscaldamento globale. Oltre al fatto che, come nota in un editoriale sul New York Times Binyamin Appelbaum, «se alcuni effetti del cambiamento climatico si vedono già oggi, il peggio riguarda il futuro. Gli avvertimenti sul cambiamento climatico sono predizioni, e anche se vengono prese seriamente, la gente può restare indifferente alla qualità della vita nel 2100».

Ecco perché, propone la bibbia liberal, è ora di cambiare il vocabolario e ridurre le emissioni di CO2 non per prevenire i cambiamenti climatici ma per abbattere l’inquinamento dell’aria, che è un fenomeno locale e non globale e che ogni anno provoca effetti deleteri e anche potenzialmente letali sulla salute dei cittadini.

E se pensionassimo davvero il catastrofismo?

La proposta di Appelbaum è interessante soprattutto perché, al contrario di quanto scrive con eccessiva radicalità, la soluzione ai cambiamenti climatici e all’inquinamento dell’aria non è affatto «la stessa». Ci sono una miriade d’interventi che le amministrazioni comunali possono realizzare per migliorare la qualità dell’aria, anche se non influiscono in modo significativo sulla riduzione della temperatura globale. La proposta avrebbe anche il pregio di salvaguardare la necessaria gradualità di questi interventi e permettere miglioramenti, magari lenti ma costanti, senza allo stesso tempo stravolgere (in stile Green Deal europeo) il sistema economico e industriale del paese che sceglie di adottarli.

Ovviamente non è quello che ha in mente il Nyt, secondo cui bisognerebbe semplicemente sostituire un allarmismo più concreto a un altro più vago e ipotetico, proponendo per combatterlo le stesse misure pensate per sconfiggere il surriscaldamento globale. Ma anche se si accettasse questa formulazione, si otterrebbero già notevoli vantaggi: mandare in soffitta il catastrofismo dell’Ipcc e pensionare i carrozzoni delle Cop, che producono più chiacchiere che altro. E forse è proprio per questo che la proposta non verrà presa sul serio.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

Tags: Cambiamenti climaticicarboneCinaClimaemissioni co2energianew york times
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