Auto elettriche. «Se la politica si fa guidare dai tecnici, scoppia la guerra»
«Con la direttiva sulle auto elettriche è come se l’Unione Europea avesse lanciato il cuore oltre l’ostacolo. Ora però bisogna assicurarsi che l’ostacolo non sia insormontabile». Sono tanti, tantissimi i problemi sollevati dal voto di mercoledì del Parlamento europeo. Salvo modifiche che potrebbero essere approvate in sede di contrattazione tra Parlamento, Commissione e Consiglio europeo, dal 2035 in tutta Europa si potranno vendere solo auto nuove elettriche. La rivoluzione che Bruxelles si (e ci) impone è gravida di conseguenze, spiega a Tempi Roberto Zucchetti, docente di Economia dei trasporti all’Università Bocconi di Milano, e servirà un enorme sforzo politico per non trasformare il sogno della transizione verde in un incubo. «La questione dell’automobile è complessa perché ha risvolti geopolitici e sociali importanti. In questo settore la politica non può farsi guidare dalla tecnica».
Perché no?
Perché i tecnici guardano alla Co2, ma dimenticano tutto il resto. La questione ambientale è reale e bisogna prenderla sul serio, ma ci sono molti altri fattori da tenere in conto.
Quali?
Innanzitutto l’indipendenza energetica. La guerra in Ucraina ha fatto capire a tutti quanto è pericoloso non essere autonomi, ma dipendenti dal punto di vista energetico. Non bisogna poi dimenticare che la mobilità delle persone è un fattore essenziale della libertà. Non possiamo sacrificare la libertà delle persone per motivi ambientali.
Perché lo stop alla vendita di auto a benzina o diesel potrebbe limitare la libertà delle persone?
Scusi se la fermo: stop è una parola grossa. Non potranno essere vendute più auto nuove, ma quelle usate sì.
È un dettaglio importante?
Faccio un pensiero un po’ all’italiana: non è che cominceremo a importare dall’India, dalla Corea, dalla Cina automobili a benzina o diesel a km 1? Non dimentichiamo che su questo fronte l’Ue corre da sola, ma i grandi produttori di auto sono mondiali e hanno fabbriche in tutto il mondo. Io non credo che il motore endotermico sparirà così rapidamente.
Poniamo che la direttiva non venga aggirata: davvero ci libereremo del 12 per cento delle emissioni di Co2 attualmente prodotte dalle auto in Europa?
La risposta corretta è che non lo sa nessuno. Rispetto ai veicoli con motore endotermico, l’auto elettrica è sicuramente più efficiente e non produce emissioni allo scarico. La vera domanda allora è un’altra: come produciamo e produrremo energia elettrica?
A Bruxelles qualcuno si sarà posto il problema.
In realtà no. Non esiste un documento che dimostri con dati e progetti che l’obiettivo di eliminare quelle emissioni sia raggiungibile. Io ho fatto quattro conti: per riconvertire la mobilità all’elettrico servirà il 20 per cento di energia in più a disposizione. Un 20 per cento che dobbiamo produrre in 13 anni e da fonti rinnovabili.
Perché?
Perché se la centrale che produce energia va a gas, petrolio o carbone avremo eliminato le emissioni allo scarico, ma non alla fonte. Ma l’esperienza ci insegna che è improbabile ottenere così tanta energia da fonti rinnovabili, servirebbero dunque le centrali nucleari. Non c’è alternativa. Vogliamo parlarne?
Meglio sorvolare. Se riuscissimo a produrre energia pulita, la legge passata al Parlamento europeo funzionerebbe?
Forse, ma io mi chiedo: quanta gente potrebbe permettersi le auto elettriche? In Italia la metà del parco automobilistico ha un valore medio di 2.000/2.500 euro. Se a questi milioni di persone chiediamo di immobilizzare un capitale molto più alto, di circa 15 mila euro, la realtà è che la grandissima parte di costoro non potrà più permettersi l’auto. E questo è un tema sociale fondamentale.
C’è il car sharing o il trasporto pubblico.
A Milano e nelle grandi città sicuramente. Ma le grandi città riguardano soltanto il 25 per cento della mobilità generale. Fuori dalle grandi città non si può fare a meno dell’automobile. Chi vive in un piccolo comune, in campagna o in montagna, non può muoversi senza auto. Non sarebbe libero. Ecco perché insisto che o si fa un disegno complessivo di bilanciamento di costi e benefici della transizione o altrimenti andiamo dritti verso lo scontro sociale.
A proposito di scontro sociale: il commissario europeo per il mercato interno, Thierry Breton, sostiene che la direttiva sulle auto elettriche potrebbe far perdere 600 mila posti di lavoro in Europa, 70 mila circa solo in Italia. Non è un problema?
Io sono un economista e penso che se si può costruire un’automobile impiegando meno lavoro è meglio. Certo, vanno studiate alternative: chi perde il posto di lavoro dovrà essere riqualificato verso professionalità di cui abbiamo bisogno e che oggi ci mancano. Penso che questa possa essere un’occasione, ma solo se la politica sarà molto brava a gestirla: altrimenti ci sarà soltanto un’ondata di disoccupazione.
Mi sembra che i “se” stiano diventando un po’ troppi.
In realtà non sono ancora finiti.
Cos’altro manca?
L’Unione Europea non può ignorare di vivere in un mondo profondamente interconnesso. Per realizzare rivoluzioni così profonde servono accordi globali. Ai paesi che oggi ci vendono il carburante, e che si sostengono economicamente grazie a questo, non possiamo mandare il messaggio: “Tra dieci o venti anni non avrò più bisogno di voi”. Perché questo per loro significa la catastrofe. Dobbiamo porci il problema del futuro di quei paesi e trovare un accordo con loro: altrimenti il risultato è solo la guerra. Ma intese di questo genere si possono trovare soltanto a livello europeo: l’Italia da sola non riuscirebbe a fare nulla. Anche per questo, pur con i suoi limiti, l’Unione Europea è fondamentale.
Si rende conto di avere elencato una serie di problemi giganteschi?
Certo, è di tutte queste cose che Parlamento, Consiglio europeo e Commissione dovranno parlare. A Strasburgo è stato approvato un concept, un obiettivo generale, nulla ci dimostra che sia raggiungibile. Ed è per questo che è fondamentale, dopo aver lanciato il cuore oltre l’ostacolo, assicurarci periodicamente che quell’ostacolo sia superabile.
E come si fa?
Bisogna fissare un percorso. Le rinnovabili cresceranno in futuro come ci aspettiamo? Bene, verifichiamo ogni due anni. Ci saranno batterie a sufficienza affinché non diventiamo dipendenti dalla Cina? Bene, verifichiamo ogni due anni. I prezzi delle auto elettriche diminuiranno? Bene, verifichiamo ogni due anni. Riusciamo a concordare un percorso con gli altri paesi? Bene, verifichiamo ogni due anni.
E se le verifiche vanno male?
Allora prendiamo atto che ci siamo illusi, che siamo stati troppo ottimisti, che il piano che abbiamo delineato è fallito. E rimandiamo. La data del 2035 non può essere scolpita nel granito. Questo significa comportarsi in modo realistico.
Le industrie però hanno bisogno di certezze per programmare la produzione.
È vero e a questo proposito vorrei lanciare una provocazione al ministero dell’Economia e a quello dei Trasporti.
Prego.
L’Italia ha avuto il merito mondiale di sviluppare le utilitarie, automobili per il popolo che costavano poco e funzionavano bene. Anziché incentivare la produzione di auto da 30 mila euro per i ricchi, che magari garantiscono più margini alle imprese, il governo dovrebbe puntare su un modello di auto elettrica per la campagna, la collina e la montagna.
Una Panda 4×4 elettrica?
Esattamente. Sarebbe una scelta di politica industriale importante che solo noi italiani potremmo prendere. Così si andrebbe a coprire un settore nel quale c’è molta richiesta, ma che per il momento è occupato solo da indiani e cinesi.
Insomma, professore: io speriamo che me la cavo?
La questione è complicata, lo sappiamo, ma questa è la strada che dovremo percorrere nei prossimi decenni. L’importante è evitare la guerra a livello globale e a livello locale non esacerbare il conflitto sociale tra campagne e città, ricchi e poveri. Io credo che si possa fare, ma è la politica che deve guidare la transizione ecologica e tecnologica. Non i tecnici.
Foto Ansa
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Alle case automobilistiche non conviene produrre auto piccole con margini irrisori. Continueranno a sfornare modelli da 30.000€ confidando nei bonus che lo stato dovrà erogare. Trattandosi di acquisti obbligatori per il privato lo stato stanzierà decine, centinaia di miliardi di bonus dandoci l’illusione di aiutarci nella transizione, peccato che i soldi li prenda da noi. Penseremo grazie a questo di poterci permettere un’elettrica costosa a prezzo inferiore mentre la differenza la pagheremo in tasse. Azionisti sempre più ricchi e cittadini sempre più poveri ma…con la macchinina a batterie!
A mio parere il problema è quello di voler dirigere gli sviluppi anzichè assecondarli. Nella storia non è mai successo così. Le cose sono sempre cambiate lentamente con naturalezza. Non è che nel passato hanno proibito a un certo punto di fabbricare i carri trainati da buoi o da muli, semplicemente i contadini hanno cominciato a comprare i trattori perchè rendevano di più e e pian piano i carri sono spariti. Così è successo con le automobili: si andava in bici, poi in moto, poi in auto, progressivamente, man mano che la gente ne aveva la possibilità e ne vedeva i vantaggi. E soprattutto non veniva imposta! E poi noi ci arroghiamo di essere quelli che esportano la democrazia! Se questa è la democrazia c’è da chiedersi se non è meglio che le nazioni abbiano un potere forte che abbia a cuore il proprio popolo.