I dissidenti della cancel culture fondano ad Austin una università «ferocemente libera»
«Nei nostri campus, i docenti vengono trattati come criminali del pensiero. A Dorian Abbot, uno scienziato dell’Università di Chicago che si è opposto alle conseguenze della “affirmative action”, è stato recentemente impedito di tenere un’importante conferenza pubblica sul clima al MIT. Peter Boghossian, professore di filosofia alla Portland State University, si è dimesso dopo anni di molestie da parte di docenti e amministratori. Kathleen Stock, una professoressa dell’Università del Sussex, si è appena dimessa dopo che la folla l’ha minacciata per le sue ricerche su sesso e genere. Pensavamo che una simile censura fosse possibile solo sotto regimi oppressivi in terre lontane. Ma si scopre che la paura può diventare endemica in una società libera. E può diventare più acuta in un luogo – l’università – che dovrebbe difendere “il diritto di pensare l’impensabile, discutere l’innominabile e sfidare l’incontestabile”».
L’intrepida ricerca della verità
Con queste parole pubblicate ieri sul Substack di Bari Weiss, Pano Kanelos, ex rettore del St. John College di Annapolis ha annunciato la nascita della University of Austin, Università «ferocemente indipendente» e alternativa, scopo fondamentale «l’intrepida ricerca della verità». «Non possiamo aspettare che le Università si sistemino da sole. Ecco perché ne iniziamo una nuova». Il progetto è grande e ambizioso, una provocazione che non potrà lasciare indifferenti professori, giornalisti e intellettuali liberal che si trovano a loro agio nel clima di caccia alle streghe e censura che ha invaso giornali, università e cultura americani.
Da Niall Ferguson ad Ayaan Hirsi Ali
L’idea è nata inizialmente da un gruppo di persone «preoccupate per lo stato dell’educazione superiore». I nomi sono noti anche al di fuori degli Stati Uniti: Niall Ferguson, Bari Weiss, Heather Heying, Joe Lonsdale, Arthur Brooks, Kathleen Stock (di cui abbiamo parlato qui), Dorian Abbot, Peter Boghossian (intervistato sul numero di ottobre di Tempi). Ci sono rettori importanti come Robert Zimmer, Larry Summers, John Nunes e Gordon Gee, accademici noti come Steven Pinker, Deirdre McCloskey, Leon Kass, Jonathan Haidt, Glenn Loury, Joshua Katz, Vickie Sullivan, Geoffrey Stone, Bill McClay e Tyler Cowen. Con loro ci sono giornalisti, artisti, filantropi, ricercatori e intellettuali tra cui Lex Fridman, Andrew Sullivan (di cui avevamo scritto qui), Rob Henderson, Caitlin Flanagan, David Mamet, Ayaan Hirsi Ali, Sohrab Ahmari, Stacy Hock, Jonathan Rauch, e Nadine Strossen.
Una bomba che non può non fare simpatia a chi guarda con preoccupazione alle conseguenze culturali dell’ideologlia woke che silenzia i non allineati, rovina le carriere a chi si oppone, licenzia chi “offende” qualche minoranze con le proprie opinioni e adesso vuole anche riscrivere i programmi di matematica. Un annuncio fatto ieri a “reti unificate” da tutti i protagonisti, ciascuno sul proprio blog o giornale (qui gli articoli di Niall Ferguson e Joe Lonsdale, qui l’account Twitter della nuova Università).
Non sono solo conservatori
È una svolta importante nella resistenza all’ondata woke che domina le culture war in America, e non è soltanto reazionaria e conservatrice. Innanzitutto perché molti dei fondatori della University of Austin non sono conservatori, ma arrivano dal mondo progressista, semplicemente si sono accorti che qualcosa non andava. Molti di loro hanno subito conseguenze sul posto di lavoro perché non allineati fino in fondo al dogma politicamente corretto su razza, gender e femminismo.
«Siamo un equipaggio dedito che cresce di giorno in giorno. I nostri background sono diversi, le nostre opinioni politiche differiscono. Ciò che ci unisce è un comune sgomento per lo stato dell’accademia moderna e il riconoscimento che non possiamo più aspettare la cavalleria. Dobbiamo essere la cavalleria». La nascita dell’Università di Austin, «una scuola vera e propria in un edificio reale con il minor numero di schermi possibile», dice più di tanti editoriali e lamentele sui social che esistono controtendenze creative, non tutto va dalla stessa parte, anche se il sistema gira in un solo verso.
Il clima nelle Università? Pessimo
«Quasi un quarto degli accademici americani nelle scienze sociali o umanistiche pensa sia giusto licenziare un collega che ha un’opinione considerata sbagliata su questioni scottanti come l’immigrazione o le differenze di genere. Oltre un terzo degli accademici conservatori e dei dottorandi afferma di essere stato minacciato di azioni disciplinari per le proprie opinioni. Quattro dottorandi su cinque si dichiarano disposti a discriminare gli studiosi di destra».
Non solo: «Il 62 per cento degli studenti universitari intervistati per un sondaggio pensa che il clima nel proprio campus abbia impedito loro di parlare delle cose in cui credono. Quasi il 70 per cento degli studenti è d’accordo a segnalare ufficialmente i professori che dicono qualcosa che gli studenti trovano offensivo. Dal 2000 a oggi circa 250 campagne di boicottaggio nelle Università hanno avuto successo».
Il rischio “riserva dei reietti”
In questo clima assurdo questo manipolo di persone poco inclini al mainstream ha fatto qualcosa di concreto. Il successo di questo tentativo dipenderà da moltissime variabili, come ovvio: dai finanziatori che dovranno essere molti e generosi, ma anche da come il sistema accademico reagirà alla sfida. Se fare parte di questa Università renderà impossible accedere al sistema delle pubblicazioni accademiche il rischio che diventi una riserva dei reietti è concreto.
È presto per dirlo, per ora non si può che applaudire al coraggio di chi, isolato, si è messo insieme per dire qualcosa di diverso dalla narrazione solita che racconta un mondo – quello americano e quello occidentale – diverso da come è in realtà. A dodici ore dall’annuncio ufficiale, erano già oltre 900 gli accademici candidati per un posto. «Le università sono i luoghi in cui la società pensa, dove si plasmano le abitudini e i costumi dei nostri cittadini», scrive ancora Kanelos. «Se queste istituzioni non sono aperte e pluraliste, se raffreddano il discorso e ostracizzano coloro che hanno punti di vista impopolari, se portano gli studiosi a evitare interi argomenti per paura, se danno la priorità al comfort emotivo rispetto alla ricerca spesso scomoda della verità, chi sarà modellerà il discorso necessario per sostenere la libertà in una società che si autogoverna?».
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