La preghiera del mattino
Quelli che non si arrendono al tramonto dell’Europa a trazione franco-tedesca
Su Affaritaliani si scrive: «“Ma davvero Meloni pensa che noi teniamo per la gola la Francia, la Germania, la Bce, facendoli artigliare dal ministro Pochetto Fratin?”, le parole del presidente della Campania De Luca in diretta sui social».
Vincenzo De Luca è sempre un commentatore acuto e divertente, ma dalla sua Napoli non riesce bene a leggere che cosa si sta muovendo nel Vecchio continente.
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Su Startmag Francesco Damato scrive: «“Stavolta, pur essendo scorpione come lei, Giorgia”, ha semischerzato Giannini sul fallimento della mediazione della premier italiana con gli omologhi polacco e ungherese a Bruxelles sul tema degli immigrati, “s’è improvvisata rana, ma i falsi amici Viktor e Mateus l’hanno punta. E così sono annegati tutti insieme, facendo naufragare il patto europeo sull’immigrazione. È la loro natura: se c’è da blindare una frontiera per i demiurghi e i demagoghi dello Stato-Nazione non c’è accordo che tenga, neanche tra di loro”. In questa ricostruzione del Consiglio europeo di fine giugno fatta dal direttore della Stampa c’è una colossale inesattezza, o bugia. Il patto europeo sull’immigrazione – consistente nel riconoscimento della “dimensione esterna” della crisi dei migranti, preoccupante quindi più per le partenze dalle coste africane o turche che per gli arrivi sulle coste italiane, cioè sui confini d’Europa – non è per niente naufragato. Esso è rimasto intatto nella “svolta” vantata dalla premier italiana, col solo effetto politico di avere diversificato nel voto la Meloni dagli omologhi polacco e ungherese».
Con la Francia in fiamme, con la Germania dove l’Afd affianca o supera nei sondaggi la Spd, quei commentatori che vantano la solidità incrollabile della leadership dell’asse Parigi-Berlino sembrano sempre di più degli europeisti su Marte.
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Su Formiche Francesco De Palo scrive: «“Modello” Tunisia come schema per affrontare politicamente l’emergenza: ovvero, al di là delle dinamiche del governo di Saied e in attesa della decisione del Fmi, dal Consiglio Ue giunge l’impronta di un modello, basato sul viaggio a Tunisi di Giorgia Meloni, Ursula von der Leyen e Mark Rutte. Come metodo di lavoro rappresenta una novità in Europa, al netto dei distinguo dei paesi di Visegrád, che disegna nuove traiettorie sull’asse Italia, Ue e Africa».
I fatti hanno la testa dura. Il lavoro della Meloni per bloccare un esodo via Tunisia che devasterebbe non solo l’Italia ma anche l’Europa (date un’occhiata a quel che succede in Francia, se non avete capito di che cosa si discute) sta dando frutti assai promettenti che l’isteria dei quotidiani schierati contro l’attuale inquilina di Palazzo Chigi non riesce a nascondere.
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Su Huffington Post Italia Stefano Folli scrive: «Il centrodestra di Roma è a metà strada. Non può stare con Budapest e Varsavia, ma nemmeno vuole schierarsi con Parigi, tanto meno oggi. Fino a ieri si guardava alla prospettiva di una nuova maggioranza, peraltro improbabile, tra popolari e conservatori al Parlamento europeo. Oggi tutto è più difficile, visto che con i conservatori non si riesce nemmeno a trovare un’intesa limitata sul contrasto all’immigrazione. Idee troppo diverse, mentre Parigi brucia e Roma vorrebbe mediare, ma non ci riesce».
La Meloni senza dubbio ha molte difficoltà a costruire un nuovo percorso per l’Unione Europea. Ma è un peccato constatare come un commentatore così colto e acuto come Folli non capisca come i veri problemi oggi siano quelli di Parigi e Berlino. Se si considera la fase storica che si apre tra il 2008 e il 2011 e che si sta esaurendo in questi anni, quelli che sono stati i pilastri da una parte di Nicolas Sarkozy–François Hollande–Emmanuel Macron e dall’altra di Angela Merkel–Gerhard Schröder (più il figurante Olaf Scholz), sono tutti crollati: così l’idea che i russi fossero una variabile controllabile, così che i cinesi si sarebbero messi in riga grazie ai commerci, così che ormai era stata assicurata la semplificazione della governance europea eliminando Silvio Berlusconi e commissariando l’Italia, spaventando tutti con la “lezione” ai greci, e favorendo la Brexit con la nomina di Jean-Claude Juncker presidente della Commissione europea. Il tutto grazie a una complicità degli Stati Uniti, considerata acquisita per sempre.
Tutti questi “pilastri” si sono più o meno sbriciolati. I russi sono in preda a una disperata crisi tardo imperialista, i cinesi sono impegnati a imporre la loro egemonia conquistando tanti imprevisti alleati. In Europa agiscono sempre più apertamente un asse anseatico dall’Olanda alla Scandinavia e ai paesi balitici, uno centroeuropeo guidato da Varsavia e uno mediterraneo per ora greco-italiano a cui probabilmente si aggiungerà la Spagna. E gli americani (anche con l’amministrazione democratica) paiono particolarmente impegnati a interloquire con questi nuovi “assi”. Peraltro, poi, nessuno sa che cosa può succedere in Francia se casca il governo Borne e quanto le contraddizioni tra verdi-Spd-liberali potranno essere tenute sotto controllo in Germania. Insomma chi guarda ancora ai vecchi equilibri e sulla base di questi giudica le mosse meloniane, non è molto diverso da quei generali francesi che si sentivano perfettamente al sicuro dietro la Linea Maginot.
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