Tempi
  • ACCEDI
ABBONATI
  • Esteri
    • Guerra Ucraina
    • Unione Europea
    • USA
    • Cina
    • Cristiani perseguitati
    • Islamismo
  • Politica
  • Giustizia
    • Magistratura
    • Carceri
  • Economia
    • Recovery Fund
    • Lavoro
    • Euro
    • Risparmio
    • Mutui
  • Ambiente
    • Clima
    • Crisi energetica
  • Salute e bioetica
    • Covid-19
    • Eutanasia
    • Fecondazione assistita
    • Aborto
  • Chiesa
    • Cristianesimo
    • Papa Francesco
    • Benedetto XVI
    • Luigi Giussani
    • Comunione e Liberazione
  • Magazine
    • Sfoglia Tempi digitale
    • Maggio 2022
    • Aprile 2022
    • Marzo 2022
    • Febbraio 2022
    • Gennaio 2022
    • Dicembre 2021
    • Novembre 2021
Nessun risultato
Visualizza tutti i risultati
  • Esteri
    • Guerra Ucraina
    • Unione Europea
    • USA
    • Cina
    • Cristiani perseguitati
    • Islamismo
  • Politica
  • Giustizia
    • Magistratura
    • Carceri
  • Economia
    • Recovery Fund
    • Lavoro
    • Euro
    • Risparmio
    • Mutui
  • Ambiente
    • Clima
    • Crisi energetica
  • Salute e bioetica
    • Covid-19
    • Eutanasia
    • Fecondazione assistita
    • Aborto
  • Chiesa
    • Cristianesimo
    • Papa Francesco
    • Benedetto XVI
    • Luigi Giussani
    • Comunione e Liberazione
  • Magazine
    • Sfoglia Tempi digitale
    • Maggio 2022
    • Aprile 2022
    • Marzo 2022
    • Febbraio 2022
    • Gennaio 2022
    • Dicembre 2021
    • Novembre 2021
Nessun risultato
Visualizza tutti i risultati
Tempi
ABBONATI
Home Esteri

Siria, Obama si ricrede. Assad non è più il nemico numero uno, ora bisogna annientare il Califfo

Il presidente Usa pensava di usare la guerra contro lo Stato islamico per indebolire l’Iran e rafforzare l’egemonia americana in Medio Oriente. Ma non ha funzionato

Rodolfo Casadei
07/02/2015 - 4:00
Esteri
CondividiTwittaChattaInvia

p-souza-white-house-obama-casa-bianca2
K
obane definitivamente riconquistata
dai curdi di Siria; John Kerry che alla conferenza di Londra annuncia che la coalizione ha spazzato via metà della leadership dell’Isis e che la progressione di quest’ultima è stata arrestata; l’ammiraglio Austin che calcola a 6 mila il numero dei jihadisti fisicamente eliminati fra agosto e oggi, diserzioni (con annesse fucilazioni) nei ranghi dello Stato islamico e difficoltà economiche di ogni tipo nei territori sotto il suo controllo; l’offensiva per la riconquista di Mosul annunciata per la primavera o al più tardi per l’estate: l’Isis è sulle ginocchia? La più minacciosa e imprevista impresa del terrore degli ultimi decenni è già sul viale del tramonto dopo soli sette mesi di auge? Decisamente no.

Quanto sia difficile la partita con lo Stato islamico e quanto grande sia considerata la minaccia da tutti i centri di potere mondiali lo si può intuire da un singolo fatto: il cambiamento di linea degli Stati Uniti nei riguardi della presidenza di Bashar el Assad in Siria. Da qualche settimana gli interventi pubblici del segretario di Stato americano John Kerry sulla crisi siriana sono privi di un elemento che è stato costante negli ultimi quattro anni: la richiesta di dimissioni di Assad come precondizione alla soluzione del conflitto. La segreteria di Stato statunitense non ha avuto nulla da obiettare all’iniziativa russa di mediazione che ha riunito a Mosca la settimana scorsa esponenti di primo piano del regime di Damasco, oppositori interni ufficiali e alcuni affiliati alla Coalizione nazionale siriana, che ha boicottato l’evento: questi ultimi hanno partecipato a titolo personale.

Il vertice si è concluso con un nulla di fatto, ma è significativo che alla vigilia dell’appuntamento la portavoce del dipartimento di Stato americano Jen Psaki abbia detto a proposito degli oppositori che partivano per Mosca: «Gli abbiamo fatto sapere che siamo favorevoli a una loro partecipazione al meeting». Negli stessi giorni in un editoriale del New York Times si poteva leggere: «Alti dirigenti americani dicono che l’unico modo per mettere fine alla guerra civile (in Siria, ndr) e creare un unico fronte contro l’Isis è una sorta di accordo politico che includa la Russia e l’Iran, cioè i principali alleati di Assad, e la Turchia e l’Arabia Saudita, i suoi maggiori oppositori (…). I dirigenti americani vedono emergere un crescente consenso internazionale intorno al bisogno di una soluzione diplomatica a lungo termine fra Assad e i diversi gruppi ribelli».
Consola scoprire che la linea politica su Siria e Isis del governo del più potente paese del mondo si sta avvicinando a quella che le pagine di questo settimanale indicano già da due anni. Ma senza lasciarsi distrarre dalla gratificazione occorre interrogarsi sui motivi di questa svolta. Che non sono tutti rassicuranti.

LEGGI ANCHE:

Joe Biden in visita di Stato in Asia

L’unico vero avversario degli Stati Uniti è la Cina

24 Maggio 2022
La marcia per il diritto di aborto a Chicago, Illinois

Dopo Pride e Black Lives Matter le aziende sventolano la bandiera dell’aborto

22 Maggio 2022

mappa-califfato-isil
Dopo le scelte estive
Nell’estate scorsa gli Stati Uniti hanno deciso che il loro intervento contro l’Isis non doveva in alcun modo essere interpretato come un ammorbidimento nei confronti del regime siriano: Siria e Iran sono state tenute intenzionalmente fuori dalla coalizione arabo-occidentale convocata da Washington per la campagna aerea contro il Califfato, e i bombardamenti anti-Isis sul territorio siriano non sono stati concordati con Damasco. La linea ufficiale era che gli Stati Uniti avrebbero addestrato migliaia di aspiranti ribelli anti-Assad non islamisti per usarli prima come truppe di terra contro l’Isis in Siria (sulla falsariga dei peshmerga curdi e delle milizie sciite in Iraq) e poi per chiudere la partita col dittatore di Damasco.

Sono però bastati pochi mesi per capire quanto velleitario fosse il progetto: i ribelli e aspiranti tali interessati al programma americano sono pochi e inaffidabili, gli stati della regione non sono disponibili a ospitarli tranne l’Arabia Saudita, che non dà proprio l’idea di una grande protettrice della laicità e del pluralismo religioso, nel frattempo la Cia ha dovuto quasi arrestare le consegne di armi all’opposizione perché Isis e Jahbat al Nusra (succursale siriana di al Qaeda) hanno continuato a guadagnare terreno a danno delle formazioni legate al sempre più sbrindellato Libero Esercito Siriano e all’Occidente.

Poi gli Stati Uniti si sono guardati attorno e hanno constatato che gli altri alleati reali o potenziali non danno molte garanzie in più. La Turchia prosegue con la sua neutralità benevola nei confronti dell’Isis, non certo della coalizione che la combatte. L’unico uomo di Stato al mondo che non si è compiaciuto per la riconquista di Kobane da parte delle locali forze curde è stato Recep T. Erdogan. Il presidente turco ha evocato la nascita di una regione curda siriana autonoma semi-indipendente sul modello dell’attuale Kurdistan iracheno, frutto della vittoria dei combattenti del Pyd supportati dall’aviazione americana, come l’inizio di una nuova calamità regionale.

Gli americani e gli altri coalizzati potrebbero rispondere a Erdogan «chi è causa del suo mal pianga se stesso»: se la Turchia non avesse partecipato entusiasticamente alla destabilizzazione della Siria, oggi la Rojava (il territorio siriano abitato in maggioranza da curdi) non sarebbe contesa fra formazioni armate curde indipendentiste e terroristi jihadisti. Tuttavia anche per gli americani i curdi sono un problema, per almeno due motivi. Il motivo di fondo consiste nel rafforzamento politico delle forze indipendentiste curde in tutto il Vicino Oriente, a motivo del collasso di alcuni stati arabi e dei meriti conquistati sul campo fornendo le truppe di terra che in questi mesi hanno contrastato l’Isis al prezzo di centinaia di caduti in Siria e in Iraq. Questo rafforzamento è un problema perché crea tensione nei rapporti fra gli Stati Uniti e i paesi arabi più la Turchia. Arabi e turchi sono da sempre contrari a entità curde indipendenti, che contribuirebbero alla balcanizzazione della regione. Per la Turchia, che ospita 15 milioni di curdi, si tratta addirittura di una minaccia esistenziale. Una Turchia destabilizzata, in tempi di tensioni Nato con la Russia, è l’ultima cosa che gli americani vorrebbero.

mosul-stato-islamico-aiuti-cristiani1
Pericolo Kurdistan?
Poi c’è il problema dei curdi iracheni. Nonostante i ricorrenti proclami circa l’imminenza di una grande controffensiva irachena-curda-occidentale per la riconquista di Mosul occupata dall’Isis nel giugno scorso, la faccenda si presenta molto più complicata di un semplice problema di addestramento delle truppe e di forniture di armamenti. In un recente reportage dell’inviato di Le Monde nelle aree della piana di Ninive, dove peshmerga e jihadisti danno vita a scaramucce quasi quotidiane, un generale curdo citato con nome e cognome dichiara: «Mosul dipende dal governo iracheno, deve essere liberata da una forza federale, preferibilmente a dominante araba sunnita, non dai curdi». Un anonimo dirigente del Pdk (il partito di Nechirvan Barzani, il primo ministro della regione autonoma del Kurdistan iracheno) rincara la dose: «L’entrata dei peshmerga in Mosul trasformerebbe la guerra contro lo Stato Islamico in un conflitto arabo-curdo che noi non vogliamo».

I curdi sono consapevoli che molti arabi sunniti della provincia di Ninive fiancheggiano l’Isis non per simpatie ideologiche, ma per ostilità al governo a dominante sciita di Baghdad; sono altrettanto consapevoli che la sfera di influenza del Kurdistan non potrà mai comprendere Mosul, città eminentemente araba (e, un tempo, cristiana). Perciò non intendono immischiarsi in una faccenda che non li riguarda e che comporterebbe per loro solo perdite (in vite umane e capitale politico) senza alcun guadagno.

Una forza militare federale disciplinata, qualificata e agguerrita in grado di liberare la capitale della provincia di Ninive, però, è di là da venire. Il rischio è che, per non procrastinare l’operazione oltre l’estate e per evitare che il consolidamento del Califfato si faccia irreversibile, Baghdad lanci all’assalto insieme a qualche reparto dell’esercito soprattutto le milizie sciite del sud, assetate di sangue e di vendetta. I primi rapporti di Amnesty International e di Human Rights Watch sugli eccidi di civili sunniti disarmati da parte di queste formazioni sono già apparsi. La riconquista di Mosul rischia di trasformarsi in una carneficina di civili arabi sunniti accusati di connivenza coi terroristi, e quindi in un disastro di immagine per gli americani e in un grande spot pubblicitario per la causa dell’Isis. Turchia, curdi iracheni e governo di Baghdad non sono le uniche preoccupazioni di Washington per quanto riguarda la guerra contro lo Stato Islamico: nel caso della Giordania la coalizione rischia non solo di perdere un pezzo, ma anche di vedere destabilizzato uno dei più solidi alleati dell’Occidente nel mondo arabo.

stato-islamico-ostaggi-giapponesi-goto-yukawa-k
L’astuzia politica
Certamente sulla difensiva dal punto di vista militare dopo i numerosi successi lampo dell’estate, lo Stato Islamico sta ora attingendo alle risorse dell’astuzia politica, e la partita che ha giocato sulla pelle degli ostaggi giapponese e giordano che si trovavano nelle sue mani ne è la prova. Le istituzioni giordane sono uscite indebolite dalla vicenda. Hanno accettato di negoziare senza riuscire a salvare gli ostaggi. Proprio per questo i jihadisti avevano scelto come posta per lo scambio la mancata kamikaze Sajida al Rishawi, sopravvissuta di un attacco di al Qaeda ad Amman nel 2005: la monarchia hashemita ha ceduto subito alle pressioni della famiglia del pilota giordano catturato dall’Isis nel dicembre scorso e dell’opinione pubblica favorevoli allo scambio di prigionieri. Non ha ottenuto la libertà per quest’ultimo, mentre è cresciuto il dissenso popolare nei confronti della partecipazione della Giordania alle operazioni della coalizione anti-Isis.

Per questi e altri motivi, gli Stati Uniti sembrano aver modificato l’ordine delle loro priorità: indebolire o abbattere gli alleati dell’Iran che aspira alla potenza nucleare non è più l’urgenza numero uno; da qualche tempo è stata soppiantata dalla necessità di contenere l’espansione e impedire il consolidamento del Califfato. Per questo anche la linea americana di fronte al conflitto siriano sembra cambiare.

Tags: al qaedaal-nusraamericaBarack ObamaBashar AssadcurdierdogangiordaniaIraqIsisIslamjihadkerrykobanemosulpeshmergaribelliribelli siriaSiriaStati UnitiStato IslamicoTurchia
CondividiTwittaInviaInvia

Contenuti correlati

Joe Biden in visita di Stato in Asia

L’unico vero avversario degli Stati Uniti è la Cina

24 Maggio 2022
La marcia per il diritto di aborto a Chicago, Illinois

Dopo Pride e Black Lives Matter le aziende sventolano la bandiera dell’aborto

22 Maggio 2022
Video dell’esecuzione di 20 cristiani in Nigeriag

I cristiani in Nigeria non li difende nessuno: in venti sgozzati dall’Isis

22 Maggio 2022
Una statua della Madonna distrutta da musulmani in una chiesa di Sokoto dopo la morte di Deborah Yakubu

Nigeria. Dopo l’omicidio di Deborah, gli islamici assaltano tre chiese

19 Maggio 2022
Erdogan Turchia

Le condizioni di Erdogan per l’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato

18 Maggio 2022
Idrissa Gana Gueye Omofobia

Il calciatore del Psg non gioca contro l’omofobia, ma nessuno dice perché

18 Maggio 2022
Per commentare questo contenuto occorre effettuare l'accesso con le proprie credenziali.

Video

Don Luigi Giussani
Video

Don Giussani, mondo e missione – L’incontro con Camisasca e Alberti

Redazione
17 Maggio 2022

Altri video

Lettere al direttore

Lee Cheuk-yan all’ingresso del tribunale a Hong Kong

Il palloncino di Lee Cheuk-yan, Elon Musk il “rompibolle” e i vantaggi di tre giorni a Caorle

Emanuele Boffi
20 Maggio 2022

Read more

Scrivi a Tempi

I nostri blog

  • La preghiera del mattino
    La preghiera del mattino
    Il rischio di allargare il conflitto e il rublo che non crolla
    Lodovico Festa
  • Lettere al direttore
    Lettere al direttore
    Il palloncino di Lee Cheuk-yan, Elon Musk il “rompibolle” e i vantaggi di tre giorni a Caorle
    Emanuele Boffi
  • Good Bye, Lenin!
    Good Bye, Lenin!
    I sabati di lavoro dei profughi ucraini per i polacchi «in segno di gratitudine»
    Angelo Bonaguro
  • Libri in povere parole
    Libri in povere parole
    Eureka Street; Uno di noi; La morte viene per l’arcivescovo
    Miber
  • Il Deserto dei Tartari
    Il Deserto dei Tartari
    La sentenza sul doppio cognome esalta il feticcio della libera scelta
    Rodolfo Casadei

Foto

Foto

Il potere dei senza potere e la guerra in Ucraina

20 Maggio 2022
Foto

“Investire in educazione”. Incontro sulla mostra “Alleanza scuola lavoro”

10 Maggio 2022
Foto

“Droga, le ragioni del no. Scienza, prevenzione, contrasto, recupero“

2 Maggio 2022
Foto

Avsi Run al Parco di Monza per sostenere i progetti dell’ong in Ucraina

27 Aprile 2022
Foto

“Vieni dietro a me” chiude le iniziative della mostra “Emilia Vergani. Saggia e ardente”

21 Aprile 2022

Altre foto

Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994

Codice ISSN
online 2499-4308 | cartaceo 2037-1241

Direttore responsabile
Emanuele Boffi

Editore
Contrattempi Società Cooperativa
Piazza della Repubblica, 21 – 20124 Milano
[email protected]
C. F. / P. Iva 10139010960
Iscrizione ROC n. 30851

Redazione
Piazza della Repubblica, 21 – 20124 Milano
+39 02.51829864
[email protected]

  • Chi siamo
  • Scrivi a Tempi
  • Iscriviti alla newsletter
  • Pubblicità
  • Privacy policy
  • Preferenze Privacy
  • Sfoglia Tempi digitale
  • Gestione abbonamento
  • Abbonati con carta di credito
  • Abbonati con bonifico/bollettino
  • Archivio storico

Copyright © Contrattempi Società Cooperativa. Tutti i diritti sono riservati | Contributi incassati nel 2021: euro 155.773,68. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70

Nessun risultato
Visualizza tutti i risultati
  • ACCEDI
  • Magazine
    • Sfoglia Tempi digitale
    • Maggio 2022
    • Aprile 2022
    • Marzo 2022
    • Febbraio 2022
    • Gennaio 2022
    • Dicembre 2021
    • Novembre 2021
  • Esteri
    • Guerra Ucraina
    • Unione Europea
    • USA
    • Cina
    • Cristiani perseguitati
    • Terrorismo islamico
  • Politica
  • Giustizia
    • Magistratura
    • Carceri
  • Scuola
    • Scuole paritarie
    • Educazione
  • Ambiente
    • Clima
    • Crisi energetica
  • Salute e bioetica
  • Chiesa
    • Cristianesimo
    • Papa Francesco
    • Benedetto XVI
    • Luigi Giussani
    • Comunione e Liberazione
  • Cultura
    • Libri
  • Economia
    • Recovery Fund
    • Lavoro
    • Euro
    • Risparmio
    • Mutui
  • Società
    • Social network
    • Razzismo
    • Politicamente corretto
    • Lgbt
    • Sport
  • Spettacolo
    • Cinema
    • Tv
    • Musica
  • Tempi Media
    • News
    • I nostri blog
    • Video
    • Foto

Welcome Back!

Login to your account below

Forgotten Password? Sign Up

Create New Account!

Fill the forms bellow to register

All fields are required. Log In

Retrieve your password

Please enter your username or email address to reset your password.

Log In

Add New Playlist