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Perché la finanza mondialista sta smontando gli stati sovrani

La riduzione del pianeta intero a piano liscio per lo scorrimento illimitato delle merci passa per l’annientamento degli spazi ove la politica possa governare l’economia

Diego Fusaro
21/09/2017 - 16:52
Società
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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – La sovranità nazionale sussiste dopo la caduta del Muro di Berlino come l’ultimo muro di cinta contro il quale i poliorceti del mondialismo scagliano arieti per penetrare nella cittadella e depredarne ogni bene (diritti, beni comuni, tutele a sostegno dei più deboli): la Destra del Danaro aspira ad abbattere quelle mura, per poter spoliticizzare del tutto l’economia deregolamentandola e destrutturando l’ultima linea di difesa dei dominati nel conflitto di classe; la Sinistra del Costume – ancora una volta fornendo le superstrutture alle strutture della Destra del Danaro – delegittima ogni sovranità nazionale, subito identificandola con il ritorno del fascismo, dello stalinismo e del totalitarismo.

Può, così, del resto realizzarsi indisturbatamente l’opera di “privatizzazione”, secondo il lemma con cui l’élite globalista qualifica i propri saccheggi e rapine ai danni delle plebi neofeudali. Gli stati vengono “scassinati” dagli agenti del mondialismo finanziario, i quali, mediante astuti accorgimenti all’insegna della deresponsabilizzazione (riforme con il “pilota automatico”, emergenzialità della crisi, eccetera), si peritano di non lasciare impronte digitali. Il potere concentrato della finanza costringe lo Stato a svalorizzare la ricchezza sociale, di modo che, mediante saccheggi e rapine chiamate “privatizzazioni” e “liberalizzazioni” dall’ordine linguistico dominante, la massa pauperizzata sia privata di tutto e la ristretta cerchia dei signori apolidi del regno finanziario accresca sempre più il proprio patrimonio.

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Quando non ci saranno più frontiere
L’oligarchia finanziaria favorisce la sparizione degli enti pubblici e la sopravvivenza esclusiva degli attori privati. Opera in vista della desovranizzazione e, dunque, della spoliticizzazione dell’economico, affinché quest’ultimo, deregolamentato, non possa essere gestito e governato dallo Stato nell’interesse delle comunità democratiche nazionali. Si compie la profezia formulata da Hayek in The Economic Conditions of Interstate Federalism (1939):

«Quando le frontiere smetteranno di esser chiuse e la libera circolazione sarà assicurata, tutte queste organizzazioni nazionali, siano esse sindacati, cartelli od organizzazioni professionali, perderanno le loro posizioni monopolistiche e dunque, in quanto organizzazioni nazionali, il potere di controllare l’offerta dei loro servizi e dei beni».

Gli architetti del mondialismo capitalistico hanno realizzato, a modo loro, l’antico sogno dell’alchemica mutazione del piombo in oro: sono riusciti a trasformare i consulenti d’affari in politici e i politici in consulenti d’affari.

Basti qui rammentare, tra i tanti, i casi di Mario Monti, Mario Draghi e Romano Prodi: i quali, prima dell’ingresso nelle istituzioni dell’Unione Europea, avevano ricoperto incarichi di prestigio presso la banca d’affari Goldman Sachs. Per converso, si può ricordare José Barroso, dal 2004 al 2014 presidente della Commissione europea e, a seguire, dal 2016 presidente non esecutivo e advisor in Goldman Sachs. In effetti, fra i tratti salienti della global class del competitivismo senza frontiere vi è anche il seguente: essa non si espone mai a elezioni democratiche e preferisce agire nell’ombra, operando sui politici al proprio servizio e governandone autocraticamente le scelte.

L’annientamento dell’eticità borghese trova nella distruzione della potenza degli stati sovrani un momento fondamentale: la riduzione del mondo intero a piano liscio per lo scorrimento illimitato delle merci deve intrinsecamente fondarsi sull’annientamento delle sovranità nazionali e, più in generale, sull’annichilimento degli spazi territoriali ove ancora la politica possa disciplinare e governare l’economia.

L’esproprio della moneta
La desovranizzazione e la spoliticizzazione dell’economico sono condizioni inaggirabili per l’assolutizzazione del capitalismo culminante nella mondializzazione intesa, in antitesi con le grammatiche dominanti, come passaggio dell’intero pianeta sotto il dominio non più limitato del mercato sovrano e deregolamentato.

In questo senso, la data fatale del 1989 segnò anche il transito, se non altro in Europa, dal primato della questione nazionale e sociale al primato impersonale delle leggi del libero mercato su qualsivoglia soggettività politica eventualmente in antitesi con tale ordine che si faceva tanto più totalitario quanto più si mostrava in forma suadente e lasca, permissiva e liberal. Dopo il 1989 si attua senza residui l’esproprio forzato della sovranità monetaria dello Stato nazionale ad opera dei mercati transnazionali: per questa via, lo Stato è privato della possibilità di decidere sovranamente una legislazione in materia di politica economica. A ciò si aggiunge, a mo’ di completamento, la fusione – fonte del disastro finanziario del 2007 – delle banche commerciali con quelle d’investimento.

@DiegoFusaro

Foto Ansa

Tags: capitalismoconsumismofinanzaliberalizzazioniprivatizzazioni
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