Cosa c’è dietro “l’operazione Metaverso” di Mark Zuckerberg
Il capitalismo conosce soltanto equilibri precari. Dalla rottura di questi equilibri dipende l’innovazione e quindi la creazione di nuovi mercati e profitti. “L’operazione metaverso” di Mark Zuckerberg si muove esattamente in questa direzione, cioè trasformare i social network in piattaforme sempre più integrate, capaci di abbracciare comunicazione, shopping, finanza e anche servizi pubblici. Proprio per questo motivo il patron di Meta e fondatore di Facebook sta girando il mondo per incontrare capi di governo e capi di stato al fine di sviluppare con il settore pubblico delle nuove partnership.
L’incontro di Zuckerberg con Mario Draghi
Di recente, Zuckerberg ha incontrato anche il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi proprio per sviluppare nuove partnership con lo Stato italiano. La parabola del genio informatico è un classico del capitalismo americano: nato da una intuizione creativa poi sviluppata e cresciuta in ambienti favorevoli (Harvard e la Silicon Valley), si è consolidata come un grande conglomerato digitale, un attore oligopolista tra i più potenti del pianeta. Di seguito, come già successo in passato per le reti ferroviarie, l’informatica, la difesa e la finanza americana, questo capitalista punta a costruire un rapporto ibrido con il governo. Anzi, in questo caso con i governi di tutto il mondo.
C’è della strategia in questa idea: i capitalisti digitali sono gli unici a poter offrire certi servizi ai governi – soprattutto per la enorme disponibilità di dati e per la sofisticazione della profilazione – e di conseguenza puntano a ottenere un incarico pubblico sicuro e favorevole. D’altronde lavorare con i governi significa rafforzare la propria posizione dominante e poter influenzare meglio la regolazione degli interessi che li riguardano. Chi vorrebbe danneggiare con nuove regole un fornitore fondamentale, come potenzialmente potrebbe essere Meta, di cui non può fare a meno?
Distruzione creatrice e capitalismo clientelare
Anche la politica ha il proprio tornaconto poiché il coinvolgimento di questi attori capitalistici determina un aumento degli investimenti e dei posti di lavoro nel territorio, alimenta la promessa di una maggiore efficienza amministrativa, sgrava dall’innovazione la burocrazia e usa lo status – il mito di questi marchi – per mostrare la propria capacità di essere al passo con i tempi. È quanto già successo con alcune grandi società di consulenza manageriale, come McKinsey, Baine, Bcg, Ey, che oggi supportano le amministrazioni pubbliche nello sviluppo di modelli organizzativi e politiche pubbliche gestendo grandi budget erogati dallo Stato. Si predica il mercato per altri alimentandosi di commesse pubbliche. Così la distruzione creatrice del mercato si trasforma in capitalismo clientelare, sistema di cui si nutre una intera élite.
Non è un caso infatti che dopo questa osmosi tra capitalismo pubblico e privato si avvii un sistema di “porte girevoli” tra grandi aziende e vertici dell’amministrazione. Ciò accade già da decenni con le grandi società di consulenza e a breve avverrà con ogni probabilità con i colossi del digitale. Non ci sarebbe nulla di male in questo, le nostre società vivono di una ibridazione – pur ben nascosta – tra pubblico e privato. Tuttavia, ci sono alcune questioni che possono destare preoccupazione. La prima è che siamo di fronte a realtà monopolistiche o oligopolistiche che tenderanno sempre di più a mantenere la propria posizione dominante. Negli ultimi anni la politica non ha mosso un dito nei confronti dei giganti digitali, che pure hanno aumentato sempre di più la propria concentrazione di capitale con continue fusioni e acquisizioni.
L’osmosi tra capitale privato e funzione pubblica
Il caso di Facebook è esemplare: prima l’acquisto di Instagram dopo il boom del social fotografico, poi l’assalto a Whatsapp nella messaggistica oltre all’acquisto di una miriade di altre piccole e medie aziende tech. Le leggi antitrust sembrano essere scomparse così come le autorità per la concorrenza. La glorificazione del mercato libero dell’era neoliberale è oramai solo uno sbiadito ricordo e quell’ordine sembra aver paradossalmente prodotto un mondo organizzato per monopoli, oligopoli e grandi aggregatori. Il risultato è che pochissimi attori dominano un mercato enorme.
La seconda questione si lega, invece, al potenziale controllo sull’individuo che la fusione tra metaverso e Stato può determinare. Ciò riguarda non soltanto la privacy, ma più in generale l’analisi dei comportamenti. Meta può sfruttare le sue attività con la pubblica amministrazione per far crescere le proprie conoscenze e approfondire le analisi di mercato, mentre lo Stato potrà avvalersi delle tecnologie private per controllare in modo più capillare le vite dei cittadini. La storia mostra come un rapporto sempre più stretto tra grande capitale e Stato abbia contribuito a generare disastri, come negli anni Trenta del secolo scorso, e come i momenti di soffocamento della concorrenza riducano l’innovazione e la crescita. Insomma, metaverso sì, ma senza perdere di vista la discussione su temi politici fondamentali che questa osmosi tra capitale privato e funzione pubblica produce.
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