Palmira. «L’Isis non demolisce e basta, ma vende: jihadisti guadagneranno miliardi di dollari»

Di Leone Grotti
21 Maggio 2015
La città siriana è un patrimonio dell'umanità per l'Unesco. Intervista a Samaan Daoud, cristiano di Damasco, guida turistica. «Qualcuno li ha fatti entrare»
FILE - This FILE photo released on Sunday, May 17, 2015, by the Syrian official news agency SANA, shows the general view of the ancient Roman city of Palmyra, northeast of Damascus, Syria. Islamic State militants seized parts of the ancient town of Palmyra in central Syria on Wednesday after fierce clashes with government troops, renewing fears the extremist group would destroy the priceless archaeological site if it reaches the ruins. (SANA via AP, File)

«Sarò stato a Palmira almeno 400 volte, è una città dal valore inestimabile. Ma se non siamo in grado di difendere questo simbolo di convivenza, è meglio che torni sotto la sabbia». Samaan Daoud è un cristiano siriano di Damasco e prima che la guerra sconvolgesse la sua vita, lavorava come guida turistica. «Ho fatto la guida dal 1994 fino al 2011 e visitavo la città almeno 25 volte all’anno», dichiara a tempi.it.

SPOSA DEL DESERTO. La città della provincia di Homs dove si trova uno dei siti archeologici più famosi del mondo è caduta ieri nelle mani dello Stato islamico. Già dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità, vi si trovano meravigliose rovine dell’Impero romano risalenti al I e II secolo dopo Cristo. «La chiamano “Sposa del deserto” perché è una meraviglia, è un miracolo trovare una città così viva nel cuore del deserto», continua Samaan.

«ELIMINANO LA NOSTRA IDENTITÀ». Palmira «esisteva già nel secondo millennio avanti Cristo, rappresenta le profonde radici dell’identità siriana, fa parte della nostra storia e cultura». Una storia che i terroristi islamici vogliono distruggere: «Cercano di eliminare l’identità e la storia del nostro popolo. Avevano già distrutto molte cose nella zona di Aleppo, di Idlib, la basilica di San Simeone lo Stilita, chiese del periodo paleo-cristiano, musei. L’Isis poi non demolisce e basta, ma vende: guadagneranno almeno quattro miliardi di dollari da questa conquista, grazie ai reperti archeologici».

«SIMBOLO DI CONVIVENZA». Ma Palmira è più di un insieme di tanti reperti: «Per me, che facevo la guida turistica, è straziante», confida Samaan. «Palmira non è solo un colonnato splendido, un’agorà, un senato. Palmira era una città dove fin dai primi secoli hanno convissuto insieme tutte le religioni, c’era libertà di pregare il proprio Dio. Non c’era il fanatismo che vediamo oggi nel Medio Oriente e che si avvicina all’Europa. Dai primi secoli, fino al 2011, è stata simbolo di convivenza religiosa, etnica e filosofica».

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]SOTTO LA SABBIA. L’esercito di Bashar Al-Assad, temendo la capitolazione della città, aveva già fatto evacuare la maggior parte della popolazione e molti reperti archeologici. «La città non verrà più riconquistata e forse è giusto così», è sconsolato Samaan. «Se noi non siamo in grado di difendere una città che è sempre stato simbolo di convivenza basata sulla libertà dell’individuo, se non capiamo che questo è un valore, meglio che torni sotto la sabbia».

FANATISMO IN SIRIA. In che senso? «Parliamoci chiaro: l’Isis non entra in una città senza che ci sia della gente che li vuole. Tanti abitanti di Palmira sono con loro, tanti siriani combattono per l’Isis. La zona di Palmira è terra di nomadi, dove sono più radicate le tribù arabe sunnite. Queste persone hanno ancora una mentalità fanatica, i capi religiosi si sentono capi politici e sognano di tornare al Medioevo. L’Isis si è trovato bene in queste zone, perché i capi tribù si sono sentiti di nuovo galli nel pollaio, volevano tornare emiri e principi, cosa che lo Stato e la legge impediva. A livello ideologico, loro sono d’accordo con i terroristi».

«LA GRANDE GUERRA». La conquista di Palmira permette all’Isis di avvicinarsi ancora di più a Damasco: «Ieri un colpo di mortaio ha colpito una scuola, sono stati feriti tanti studenti. Di notte da casa mia sento l’urlo dei fanatici che gridano “Allah Akbar”. Ho paura che la grande guerra per la conquista di Damasco sia vicina. Se l’Occidente non si muove come si deve e la chiesa locale non dà più retta ai suoi fedeli, finiremo come le galline. È bello essere martiri, ma non galline».

@LeoneGrotti

Foto Ansa/Ap

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9 commenti

  1. Giu

    Grazie a tutti quelli che nel 2003, con la scusa di portare la democrazia in Iraq, pensavano di fare soldi sulle spalle degli iracheni.
    Saluti

    1. Menelik

      Già…..c’è da vergognarsi ad essere occidentali di fronte ai Siriani e i Curdi, e anche agli Irakeni. Penso che a questo punto l’unica cosa seria che possiamo fare è prepararci a fronteggiare militarmente l’Europa, il sud Europa in particolare, dalle milizie quando tenteranno di arrivare qua preceduti da ondate di attentati che faranno un bel po’ di morti, ma spero serviranno ad aizzare il risentimento profondo del popolo contro i terroristi e i loro fiancheggiatori sia nazionali che d’importazione, volontari ed involontari, per ideologia o per stupidità.
      E gli allocchi che credono ancora all’invincibilità del progresso resteranno, come si dice dalle mie parti, col culo rotto e senza ciarase.
      Tanto è destino che va a finire così.

      1. Filippo81

        Sono d’accordo , Menelik, l’Europa si salverà grazie all’autodifesa popolare, fiducia nelle isitituzioni=0.

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