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No, l’accordo tra Cina e Vaticano non «sta andando bene»

Papa Francesco ha dichiarato di voler rinnovare l'intesa con Pechino a ottobre per altri due anni perché sta funzionando. Ma la realtà è molto diversa: la persecuzione è feroce

Leone Grotti
10/07/2022 - 6:25
Chiesa
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La bandiera della Cina sventola in Vaticano a San Pietro

«L’accordo tra Cina e Vaticano sta andando bene e spero che in ottobre possa essere rinnovato». Le dichiarazioni rilasciate in un’intervista esclusiva alla Reuters da papa Francesco sull’accordo segreto siglato nel 2018 e rinnovato nel 2020 ricalcano quelle degli ultimi anni. Il Pontefice riconosce che non tutti i cattolici godono dello stesso tipo di libertà in ogni parte del paese, ma non ne attribuisce la colpa a Pechino bensì «ai leader locali».

I tre frutti dell’accordo tra Cina e Vaticano

La posizione della Santa Sede non è cambiata negli anni. Già nel 2018 una «importante fonte vaticana» dichiarò a Reuters che «non è un grande accordo ma non sappiamo quale sarà la situazione tra 10 o 20 anni. Potrebbe essere anche peggio. Dopo saremo ancora come un uccello in gabbia, ma la gabbia sarà più grande. Non è facile. Le sofferenze continueranno. Dovremo combattere per aumentare anche di un centimetro le dimensioni della gabbia».

I principali frutti dell’accordo sulla nomina dei vescovi, che dovrebbe garantire al Papa un potere di veto sui candidati scelti da Pechino, sono tre. Innanzitutto in questi anni è ripartita, seppur molto lentamente e con proporzioni inferiori rispetto alle attese, la nomina di vescovi e ne sono stati ordinati sei. Inoltre, non esiste più formalmente, sulla scorta della famosa lettera di Benedetto XVI, una distinzione tra Chiesa ufficiale e Chiesa aperta e almeno ufficialmente anche Pechino riconosce l’autorità del Papa, così che i fedeli possono liberamente partecipare anche alle funzioni officiate da sacerdoti iscritti all’Associazione patriottica.

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Nonostante questo, ci sono ancora in Cina più di 60 diocesi senza vescovo e non sembra che negli ultimi quattro anni la «gabbia» per i fedeli cattolici si sia allargata. Anzi.

«La Chiesa deve aderire al Partito comunista»

A partire dal 2018, la Cina ha approvato nuovi regolamenti sulle attività religiose nel paese che rendono la vita ai cristiani estremamente difficile. I minori di 18 anni non possono entrare in chiesa, né partecipare al catechismo, a sacerdoti e vescovi è richiesta l’iscrizione all’Associazione patriottica, che continua a predicare una Chiesa indipendente e autonoma dal Vaticano e dal Papa. Le comunità religiose, inoltre, non possono organizzare alcuna attività senza l’autorizzazione dello Stato.

Secondo la revisione dei regolamenti fatta nel 2020, anche la Chiesa cattolica deve «aderire alla leadership del Partito comunista cinese, aderire al principio di indipendenza e di auto-governo e attuare i valori del socialismo». Obbedire cioè al regime e non al Papa.

Vietato scrivere “Gesù” o “amen” su internet

Lo scorso 1 marzo sono poi entrati in vigore nuovi regolamenti, che vietano di «fare proselitismo online, organizzare corsi di educazione religiosa via internet e pubblicare sermoni o contenuti legati alla religione». Vietato anche trasmettere le messe online, live o in differita, e postare immagini, audio o video delle funzioni.

Di conseguenza, è stata vietata la vendita online del Vangelo e sui social cinesi, WeChat incluso, non è più possibile scrivere parole come “Gesù”, “Amen” o “cristiano”. L’obiettivo è sostanzialmente quello di cancellare da internet ogni riferimento alla religione.

Il vescovo di Xinxiang è in carcere da un anno

Le restrizioni, tutte approvate quando l’accordo era già in vigore, non sono l’unico problema. Nel maggio 2021 il regime ha arrestato il vescovo di Xinxiang, Joseph Zhang Weizhu, e da allora nessuno sa dove si trovi nonostante sia passato oltre un anno.

Monsignor Zhang, 66 anni, è stato arrestato più volte in precedenza e nell’ultimo caso è stato accusato di mandare avanti un seminario clandestino. I dieci seminaristi che furono arrestati con lui sono stati rimandati a casa e sono costantemente sorvegliati. I dieci (o più) sacerdoti arrestati sono stati sottoposti a intense sessioni di rieducazione e indottrinamento e poi rilasciati. Il vescovo invece, che è anche malato di tumore, è ancora agli arresti accusato di aver commesso «gravi crimini».

Monsignor Cui Tai è sparito nel giugno 2020

Il vescovo di Xinxiang non è l’unico a essere detenuto in qualche prigione non ufficiale. Anche monsignor Cui Tai, della vescovo della diocesi di Xuanhua, è sparito nel giugno 2020 e da allora, salvo qualche breve scarcerazione in occasione delle feste, nessuno sa dove si trovi.

Il prelato di 72 anni è particolarmente odiato dal regime perché si è sempre rifiutato di iscriversi all’Associazione patriottica. La Santa Sede, con una nota non firmata, ha spiegato che è ormai possibile iscriversi senza cadere nella scomunica ma che rispetta chi vuole fare obiezione di coscienza. Eppure, chi sceglie questa strada viene arrestato in Cina. Secondo alcune fonti monsignor Cui sarebbe stato anche torturato dalle autorità comuniste, ma non ci sono notizie certe su questo fronte.

L’arresto del cardinale Zen a Hong Kong

Sono stati e sono tuttora perseguitati anche monsignor Jia Zhiguo, della diocesi di Zhengding, Guo Xijin, di Mindong, e Ma Daqin, di Shanghai. Per quanto riguarda invece Giacomo Su Zhumin della diocesi di Baoding, che oggi avrebbe 90 anni, e Cosma Shi Enxiang della diocesi di Yixian, che di anni ne avrebbe 100, non si sa nulla. Il primo è scomparso nel 1996, il secondo nel 2001: è quasi certo che siano morti in carcere, anche se nessuno può asserirlo con certezza.

Impossibile dimenticare infine il recente arresto del cardinale novantenne Joseph Zen a Hong Kong. L’arcivescovo emerito dell’isola, fermato l’11 maggio, è stato rilasciato su cauzione ma potrebbe essere formalmente incriminato per violazione della legge sulla sicurezza nazionale, reato che prevede anche l’ergastolo.

In Cina la fede è perseguitata

Secondo papa Francesco, un pessimo accordo è meglio di nessun accordo e anche alla Reuters ha detto che «la diplomazia è così: bisogna trovare la via possibile, non quella ideale. È un processo lento, ma è la via cinese».

Resta difficile però capire come si possa dire che l’accordo tra Cina e Vaticano «sta andando bene» o che, come dichiarò due anni fa il segretario di Stato vaticano Pietro Parolin, «in Cina non c’è persecuzione». Purtroppo la persecuzione c’è, così come ci sono le gravi violazioni della libertà religiosa. È la via della sinizzazione comunista. Negarlo è inutile.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

Tags: chiesa cattolicaCinaCristiani PerseguitatiPapa Francescopartito comunista cinese
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