La Costituzione libica sarà ispirata alla Sharia, come in Pakistan
«Per festeggiare la liberazione non sparate in aria, ma pregate e recitate con me che Allah è il più grande e misericordioso». Ha arringato così la folla a Bengasi il presidente del Consiglio nazionale transitorio libico Mustafa Abdel Jalil. Nella sua dichiarazione per la liberazione nazionale ha anche dichiarato che la fonte d’ispirazione della Costituzione sarà la Sharia, la legge islamica, e che le norme non conformi ad essa saranno modificate. «Per noi prima viene la legge islamica, poi la Costituzione con le sue indicazioni di massima e infine arrivano le leggi specifiche e dettagliate» ha ribadito Jalil al Corriere della Sera. L’idea di un paese guidato dalla Sharia, insieme delle norme non scritte che regolano tutti gli aspetti della vita di un musulmano, non ha generato grande entusiasmo nei paesi della Nato che hanno appoggiato i ribelli contro Gheddafi e che sperano in un futuro laico e democratico per la “nuova” Libia.
Per capire meglio che cosa significa avere come “fonte di ispirazione” la Sharia si possono fare esempi illustri di paesi che da anni vivono nella stessa situazione.
E’ il caso del Pakistan, staccatosi dall’India e diventato indipendente il 14 agosto 1947, che nelle intenzioni del padre della patria Ali Jinnah doveva essere uno Stato laico, parimenti rispettoso di musulmani, cristiani, sikh, ahmadi e indù, nei fatti oggi il Pakistan è una repubblica islamica che si “ispira” alla Sharia. Un’ispirazione che ha portato alle famigerata legge sulla blasfemia, proclamata nel 1986 dal dittatore Zia ul-Haq, che prevede la condanna a morte o l’ergastolo per chi dissacra il Corano o diffama il nome di Maometto. Per colpa di questa legge sono state incriminate almeno 964 persone, oltre 50 cristiani sono stati uccisi. Recentemente, ne hanno fatte le spese il ministro delle Minoranze cattolico Shahbaz Bhatti e il governatore islamico del Punjab Salman Taseer, mentre Asia Bibi è ancora in carcere minacciata di morte.
Un altro paese dove la Sharia non è legge ma la sua influenza si fa sentire è l’Indonesia, il paese musulmano più grande del mondo. Gli atti di fondamentalismo non mancano: diverse denominazioni protestanti vengono perseguitate, i fedeli subiscono attacchi personali e le loro chiese vengono chiuse o demolite. La provincia che desta più preoccupazione è quella di Aceh, dove il governo centrale ha ceduto alle richieste di introdurre la Sharia. Così il Parlamento provinciale ha proposto nel settembre del 2010 di approvare la pena di morte per adulterio mediante lapidazione e “pene corporali durissime” per omosessualità, violenze sessuali, gioco d’azzardo e consumo di alcol. A marzo il nuovo capo della polizia in East Java ha imposto alle donne poliziotto di indossare il velo islamico e agli ufficiali di polizia di pregare cinque volte al giorno. Gli ulema hanno invece cercato di bandire Yoga, Facebook, astensione al voto e fumo. Secondo un’indagine del 2008, il 52 per cento della popolazione vuole una forma di legislazione islamica, il 40 per cento è favorevole alla mutilazione delle mani di chi ruba.
Peggiore è la situazione dove la Sharia è legge, come in Arabia Saudita e Iran (e molti altri). Qui la libertà religiosa, nonostante commi e codici scritti sulle Carte costituzionali, è pressochè inesistente, la poligamia ammessa, le pene corporali e le lapidazioni per adulterio comminate, senza parlare dei codici di vestiario e delle usanze da rispettare. Se si guarda ai precedenti, insomma, frasi come quelle di Jalil, «prima viene la legge islamica, poi la Costituzione e infine arrivano le leggi specifiche e dettagliate», non fanno ben sperare riguardo alla nascita di una “nuova” Libia, laica e democratica, dopo l’uccisione di Gheddafi.
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