Il volto di una madre che prega, il primo segno di una bellezza più grande
La cosa che ancora mi piace di questo lavoro è la possibilità, incontrando qualcuno, di imbattermi in ricordi anche molto lontani e riportarli alla luce. Questa mattina a Seriate, nella Bergamasca, ho davanti a me padre Romano Scalfi, fondatore di Russia Cristiana e diffusore del Samizdat, la letteratura clandestina sotto il regime sovietico. Scalfi, che il 17 ottobre a Bassano del Grappa riceverà il Premio Cultura Cattolica, ha 91 anni, la barba bianca e l’aspetto forte e in pace di un patriarca, o di uno starets. Parla della bellezza della divina liturgia ortodossa che lo sedusse, da ragazzo. E, ancora, della bellezza dei testi del Samizdat, che mantennero una luce viva in Urss durante il comunismo.
Bellezza, questa parola ritorna. Finché domando: ma dove l’ha vista per la prima volta la bellezza, padre? Ed ecco il ricordo antico che affiora: «Avevo 4 anni, un uomo del mio paese stava morendo e non voleva i sacramenti. Mia madre mi chiamò: vieni, Romano, dobbiamo pregare. La rivedo che si inginocchia davanti al crocefisso. Aveva un volto così bello e limpido, lì sotto alla croce, che io bambino fissavo affascinato lei, invece del Signore».
La faccia di una madre che prega, la prima icona, il primo segno di una bellezza più grande. E son passati 87 anni. Stringo fra me questo remoto ricordo come una gemma dissepolta dal buio. Me la porto a casa, come un tesoro, fra il traffico incarognito della A4 – stamattina, ottobre 2014, verso Milano.
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