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Il sottosviluppo dell’Africa nera ha cause precise che l’Occidente materialista non riesce a capire

Noi ignoriamo i fattori culturali, educativi, religiosi dei popoli, ma sono quelli che maggiormente determinano l'identità degli uomini. E anche i loro fallimenti

Piero Gheddo
05/12/2013 - 15:44
Esteri
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Il 29 novembre 2013 si è svolto in Vaticano il Simposio sullo sviluppo solidale e sostenibile dell’Africa, organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze e dalla Fondazione Sorella Natura di Assisi. Nella sede della Pontificia Accademia, la Casina di Pio IV, un centinaio di partecipanti qualificati (su invito) hanno ascoltato (ore 9,30-17) le relazioni che verranno poi stampate dalla Fondazione Sorella Natura. Il professor Roberto Leoni, presidente della Fondazione di Assisi, ha presentato i relatori e il cardinale Giovanni Battista Re ha aperto i lavori, rimarcando «il bisogno sia di pensiero che di azione a favore dello sviluppo del continente africano». L’arcivescovo di Kinshasa, cardinale Laurent Mosengwo Pasinya, primate dell’Africa, ha tenuto la “lectio magistralis” al Simposio, elencando i mali dell’Africa nera e indicando «i bisogni essenziali degli africani: nutrizione, educazione, sanità, abitazione, libertà… dei quali gli africani debbono essere considerati non solo come beneficiari, ma come attori del cambiamento». Ha poi specificato come la Chiesa, nella Caritas in Veritate di Benedetto XVI, orienta le soluzioni per uno sviluppo giusto, solidale e integrale.

Le altre relazioni, del ministro per l’Integrazione del governo italiano, onorevole Cecilia Kyenge, e del professor Romano Prodi, rappresentante dell’Onu per il Sahel, e di alcune altre personalità, verranno stampate dalla Fondazione Sorella Natura. Il titolo del mio intervento era “Lo sviluppo dell’Africa viene dal Vangelo e dall’educazione” , brevissimo per mancanza di tempo, ma il testo era consegnato in stampa ai presenti (vedi nel Sito www.gheddopiero.it). Sono stato invitato a parlare avendo fatto decine di visite e anche lunghe permanenze nel continente, per incontrare e intervistare i missionari specialmente italiani e le giovani Chiese.

È opinione comune dei missionari sul campo che c’è un abisso fra la vita dei popoli africani e le analisi di politici, economisti, studiosi e giornalisti occidentali. Questi vedono l’Africa dall’esterno e parlano delle cause esterne del mancato sviluppo: debito estero, commercio internazionale ingiusto, multinazionali che sfruttano le risorse africane, aumento o diminuzione dei prezzi dei prodotti agricoli africani, vendita di armi, governi locali sottomessi alle imposizioni dei paesi più forti, eccetera. Invece, chi conosce la vita dei popoli africani, vivendo per 20-30 e più anni con la gente comune, parla delle cause interne, storico-culturali, religiose ed educative. Ho chiesto al padre Pietro Bianchi missionario della Consolata di Torino in Tanzania da trent’anni, quali sono le cause fondamentali del sottosviluppo africano. Risponde:

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1) La religione animista, che tiene l’africano, anche istruito e modernizzato nel livello di vita, prigioniero di superstizioni venefiche, malocchio, tabù, timore di vendette, culto degli spiriti con violenze e crudeltà inaudite anche sull’uomo.

2) L’analfabetismo e la mancanza di scuole. In media gli analfabeti sono sul 40 per cento degli africani e con gli “analfabeti di ritorno” si supera il 50. In molti villaggi dell’Africa rurale le scuole in genere valgono poco, spesso con 60-80 alunni per classe, senza libri, quaderni, strumenti didattici. Lo stesso si può dire della sanità.

3) Il tribalismo e la corruzione ad ogni livello della vita pubblica, fino ai minimi livelli. Il potere politico e ogni altro potere pubblico sono in genere intesi come occasione per arricchirsi e aiutare la propria famiglia, il villaggio, l’etnia. Il concetto di bene pubblico si sta formando, ma è normale che sia così, per Stati che sono nati un secolo fa dalle divisioni politiche imposte dalla colonizzazione (l’Italia è nata 150 anni fa e ha lo stesso problema). Solo un esempio: nel 2009 la Banca mondiale denunziava che il debito estero della Nigeria era di 7 miliardi di dollari, ma i depositi bancari in Occidente dei privati nigeriani erano di 10 miliardi di dollari.

4) I militari sono la prima casta di potere, controllano la politica e l’economia, abusano della forza in tanti modi (anche facendo guerre tribali o territoriali), sono implicati in commerci illegali a favore di importatori stranieri, eccetera.

L’Occidente non capisce come mai l’Africa nera, dopo mezzo secolo di indipendenza, non si sviluppa. Ecco perché. Dopo la Seconda Guerra mondiale, dal 1947 al 1953 gli Stati Uniti varano il Piano Marshall, mettendo a disposizione dei paesi dell’Europa occidentale distrutti dalla guerra 20 miliardi di dollari, restituiti con un interesse annuo dell’1 per cento. Quei 20 miliardi hanno rimesso in piedi l’Europa occidentale, che ha avuto il suo boom economico. Il Pew Research Centre di Washington calcola che nei 50 anni dell’indipendenza africana (1960-2010) i doni, gli aiuti, i prestiti e i finanziamenti del “Piani di sviluppo” per l’Africa nera sono stati di 300 miliardi di dollari. Perché questo diverso rendimento? Perché i popoli europei, nonostante nazismo e fascismo, erano preparati da tutta la loro storia, educazione, cultura e religione, a far fruttare il denaro lavorando e fondando nuove industrie; i popoli africani, per la loro storia, cultura e religione tradizionale, semplicemente non erano stati preparati a questo dalla colonizzazione, durata però solo circa 60-70 anni, con due guerre mondiali in mezzo!

La radice del sottosviluppo africano è storico-educativa-culturale-religiosa, ma l’Occidente materialista non capisce l’Africa perché ignora i fattori culturali, educativi, religiosi dei popoli, che danno all’uomo la sua identità, il senso di appartenenza, le motivazioni per vivere e agire.

Data la brevità del mio discorso, ho precisato meglio le due prime cause, che i missionari ritengono fondamentali. Il 21 marzo 2009, in Angola Benedetto XVI ha detto ai vescovi angolani: «Tanti dei vostri concittadini vivono nella paura degli spiriti, dei poteri nefasti da cui si credono minacciati; disorientati, arrivano al punto di condannare bambini di strada e anche i più anziani, perché – dicono – sono stregoni». (…) Qualcuno obietta: “Perché non li lasciamo in pace? Essi hanno la loro verità; e noi, la nostra. Cerchiamo di convivere pacificamente, lasciando ognuno com’è, perché realizzi nel modo migliore la propria autenticità”. Ma, se noi siamo convinti e abbiamo fatto l’esperienza che, senza Cristo, la vita è incompleta, le manca una realtà – anzi la realtà fondamentale –, dobbiamo essere convinti anche del fatto che non facciamo ingiustizia a nessuno se gli presentiamo Cristo e gli diamo la possibilità di trovare, in questo modo, anche la sua vera autenticità, la gioia di avere trovato la vita. Anzi, dobbiamo farlo, è un obbligo nostro offrire a tutti questa possibilità di raggiungere la vita eterna».

I vescovi africani hanno ringraziato il Papa di aver toccato questo tema. Ho citato parecchi esempi. Eccone due:

In Costa d’Avorio, padre Giovanni De Franceschi del Pime si è affermato come studioso della tribù e della lingua dei Baoulé con diverse pubblicazioni su questa tribù maggioritaria nel paese. Ha imparato il baoulé, lingua non scritta, che richiede anni di impegno. In genere i missionari parlano il francese che è studiato e capito, almeno nei termini e concetti comuni, da buona parte degli africani, ma padre Giovanni mi dice: «Parlare e capire bene una lingua africana vuol dire penetrare nel loro mondo storico, tradizionale, religioso, conoscere i proverbi e le parabole, che sono la base della saggezza e della cultura popolare. Secondo la mia esperienza, la cosa più importante per il missionario è di sapere bene la lingua locale, che è l’anima di un popolo. Quante volte mi sono sentito dire: “Tu capisci bene quel che diciamo, la nostra mentalità, i nostri problemi. Ormai sei uno di noi”. Questo è il più bell’elogio che il missionario può attendersi dalla sua gente. Anche i pagani vengono ad ascoltarmi quando predico e parlano volentieri con me, mi invitano a bere il vino di palma, diventiamo amici, parliamo di tutti i loro problemi».

Ebbene, padre Giovanni De Franceschi ha scritto: «Noi cristiani non ci rendiamo conto di come la vita del pagano è una continua paura che gli vien messa dentro fin dall’infanzia: temono di aver fatto torto al feticcio, che il feticcio si vendichi per motivi misteriosi. Ho sentito parecchie volte delle persone adulte, colte, psicologicamente mature, dire: “Mi arriverà una disgrazia perché ho trascurato il feticcio, ho offeso il feticcio”. Hanno la fermissima convinzione che la disgrazia gli capiti da un momento all’altro, ma non sanno cosa sarà. Può essere un incidente d’auto, un avvelenamento, un cadere dalle scale, un mal di pancia improvviso. Vivono male. Il terrore psicologico può distruggere una persona».

«Il dato di fondo – continua De Franceschi – è questo: il paganesimo non conosce Dio e il perdono di Dio. Non sanno che Dio è un Padre amorevole che ci vuole bene e ci perdona. Pensano Dio come lontano, misterioso, vendicativo. Per questo sentono l’influsso degli spiriti e del feticcio che vivono accanto a loro. Il cristianesimo è libertà, gioia, amore, fiducia nel Padre, liberazione da tutte le paure… Il primo passo verso lo sviluppo è liberare l’uomo dalle paure antiche, rivelargli l’amore di Dio che lo rende libero e gioioso. Ecco perché sono convinto, per esperienza personale, che il maggior contributo che noi missionari portiamo allo sviluppo dell’Africa non sono gli aiuti economici o le scuole o gli ospedali (tutte cose indispensabili), ma la rivelazione dell’amore di Dio in Gesù Cristo per tutti gli uomini».

Nel 2008 a Maroua in Camerun intervisto padre Giovanni Malvestìo del Pime, da otto anni rettore del seminario maggiore del Nord Camerun, che mi dice: «Ci vorrà ancora tempo perché la cultura cristiana superi quella pagana anche nei nostri seminaristi, giovani entusiasti della fede e pieni di buona volontà. Ho avuto qui in seminario dei seminaristi cristiani, figli di catechisti e di famiglie cristiane e altri seminaristi nati da famiglie musulmane o pagane e poi diventati cattolici. Il seminarista nato da una famiglia cristiana ha una serenità di spirito, è in pace con se stesso, col latte materno ha ricevuto la fede, l’amore a Dio e a Cristo, la fiducia nella Provvidenza; il seminarista che è stato battezzato a 15 anni ed è figlio di una famiglia pagana, la sua cultura è pagana, non puoi cambiarla in un attimo o in un anno». (Nel prossimo blog spiegherò perché l’analfabetismo è causa del sottosviluppo africano).

Tratto dal blog di padre Piero Gheddo

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