Il sacrificio di tutto un popolo, la pochezza della sua leadership
Cronache dalla quarantena / 22
Ehi, perfino l’inflessibile pm napoletano Henry John Woodcock sta chiedendo indulto e amnistia (ovviamente stroncato dal re del tintinnar di manette Marco Travaglio)! Possibile che nemmeno la prima morte di un detenuto contagiato non allerti il governo che se va avanti così dovrà fare i conti con sanguinose rivolte carcerarie, giacché nessuno vuol fare la fine del topo?
Lo dico nella domenica delle Palme in cui ha preso a circolare per l’aere muto una lettera di don Luigi Giussani – padre fondatore di Gs, poi Comunione e Liberazione – datata “Santa Pasqua 1977” e indirizzata ai medesimi suoi amici di Cl. Una lettera accorata per indicare come resistere con necessario e personale sacrificio in quella ventura. Così simile a quella odierna. Almeno per quanti militavano in Cl, a scuola e in università, tra il ’76 e ’77. Quando si doveva stare attenti a uscire di casa, perché l’estremismo di quelli «cresciuti nel cortile di casa del Pci» (copyright Oreste Scalzone, Potere operaio, poi leader insurrezionalista di Autonomia operaia) spaccava le teste e incendiava le sedi dei ciellini, che una infame campagna stampa (orchestrata da La Stampa, Il Manifesto e L’Espresso, poi condannati nei tribunali per diffamazione, ma intanto il danno l’avevano ben fatto) aveva indicati come prezzolati della Cia americana.
Pensate un po’, la Cia. In effetti, cosa poteva essere se non “fascista” e “servo della Cia” l’unico movimento pacifico che nelle scuole e nelle università italiane difese la democrazia, resistette e non si fece piegare né dalle spranghe né dal sangue sparsi dai figli cresciuti nel cortile famoso e protetti dalle calunnie dei cattivi maestri e della cattiva disinformazione?
Io c’ero. Documentato e protocollato dal biografo di don Giussani, Alberto Savorana. Perciò so anche da chi, quarant’anni dopo, è venuto l’attacco politico, umano e sociale a Cl in Lombardia. Dico Gad Lerner per fare il primo nome che mi viene in mente. Ma non a caso. Perché è precisamente il nome di colui che per primo fece scattare, dalle colonne di Repubblica, la caccia al ciellino. A Roberto Formigoni in primis, governatore lombardo per quasi un ventennio, attualmente detenuto. Ma per tacitare con il “Celeste” tanti uomini educati al cristianesimo da Giussani. Che con Formigoni fecero grande la Lombardia. In ogni comparto e potenzialmente da esempio di buon governo che si sarebbe potuto presto trasferire al governo di Roma. Non senza errori, anche molto gravi e penalmente perseguiti, certo. Ma solo i morti non sbagliano mai. (Infatti pare che i morti governino un paese mandato nel giro di pochi anni al camposanto).
Ora, perché ho citato la lettera di don Giussani, il sacrificio necessario personale da lui evocato e i molti anni dopo che fu fatta fuori una speranza di buon governo per tutti gli italiani? Ecco, l’odierno sacrificio di tutto un popolo, da una parte. E, dall’altra, la pochezza della sua leadership attuale. Questi due aspetti, mi pare vengano a galla in controluce a quella missiva giussaniana.
Lo vediamo in questi giorni. Leader laici neppure capaci di sostenere le autorità politiche e sanitarie che sono in prima linea a reggere il fronte più caldo della pandemia (in Lombardia sono concentrati la metà dei contagiati e la maggioranza dei morti). Son lì, pronti a braccare i vertici della Regione.
E d’altra parte, leader religiosi silenti. A non rappresentare altro – diversamente da quei santi preti “di base” morti a bizzeffe, e son quasi cento in Lombardia – che la fuga nella “religione”. Sottomissione al potere. E d’altra parte, mettiamoci nei panni degli uomini di Chiesa: ci vuole un bel coraggio a mettere fuori la testa dopo che per anni la testa te l’hanno tagliata bonariamente, con persecuzioni buone e lame di ghigliottine incensate con bontà.
Il coraggio, come diceva quel tale, «il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare». Perciò si tengono aggrappati alla zattera di un potere inutile. O alla ripetizione di formule schematiche. Perciò poi il popolo disorientato tira fuori don Giussani, san Giovanni Paolo II, Agostino. Perché c’è una sete pazzesca di vita non impacchettata nelle formule.
C’è un monaco piemontese, ad esempio, che quando i bambini lo vedono fanno “aaaagh!”, ma che piace assai alla narrativa di establishment che non fa altro che cumulare nostalgia per le cipolle d’Egitto e prediche poveracciste. Cioè, presumo denari, visto che il nostro monaco dei poveri scrive per giornali importanti. Giornali importanti che, d’altro canto, ci sono andati coi camion a ingrossare la bolla della Chiesa cattolica come “madre“ sì, ma di pedofilia. E anche lì i leader di Chiesa hanno taciuto. Quando ormai era diventato chiaro (può diventare chiaro bastando mettere in fila gli scandali a partire dagli attacchi forsennati a Benedetto XVI all’epoca in cui il padrone del mondo era Obama) che il potere mondano puntava a togliere agli uomini di Chiesa il coraggio. E alla Chiesa la ragione di esistere, semplicemente portandogli via la “roba”.
Perché massacrare la Chiesa quando è noto ed è ufficiale che la pedofilia in casa cattolica vale l’1 per cento di quella che si trova nelle chiese, professioni, associazioni e club mondani? Perché altrimenti non avresti ottenuto il triplo esito mortale di fare liquefare le gerarchie ecclesiastiche, di minare la fiducia popolare nei sacerdoti. E soprattutto minacciare di requisizione un patrimonio che non appartiene ai preti, ma al popolo cristiano in quanto tale. Ai suoi lasciti, alle sue elemosine, alle sue donazioni, alle sue opere di educazione, carità, solidarietà.
Così, in America i buoni avvocati obamiani hanno portato la Chiesa cattolica sull’orlo del fallimento. Depredandola di miliardi e miliardi di dollari. Certo, gli abusi ci sono stati. Ed altrettanto certo che Benedetto XVI li stava fermamente combattendo. Ma non è questo il punto. Il punto è che si è voluto far tacere il coraggio. E rubare la roba in chiesa. Far tacere il coraggio di resistere all’imperatore e alle sue leggi artificiali (il matrimonio come contratto tra esseri interscambiabili a prescindere dai sessi). E passare all’incasso del patrimonio di cui la Chiesa è dotata per grazia del popolo cristiano laico che nei secoli l’ha materialmente sostenuta.
Non sto parlando della Chiesa che va forte adesso. Quella per esempio di don Ciotti. Che ha investito da sempre – chissà perché – nella idea che Gesù è venuto al mondo per sconfiggere la mafia. E badate bene, la mafia esclusivamente italiana. E la ’ndrangheta, che naturalmente non può che essere esclusivamente calabrese. Però è anche vero che don Ciotti è rimasto fedele al suo pallino. E non si è mai fatto trovare fuori dal partito dell’Imperatore.
Infine, in questa domenica delle Palme in cui si ricorda Gesù Cristo che entra a Gerusalemme a cavallo di un asino tra le acclamazioni di gente che tra una settimana acclamerà la sua crocifissione, teniamoci stretti a una Speranza che non passa. Ve lo dice un isolato. Ma che si guarda bene dal guaio di credere di stare in piedi da solo. Stando con la Speranza di amici – fin dal ’77! – come questo Mauro Grimoldi:
Foto Ansa
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