Hong Kong. In carcere anche il magnate dell’editoria Jimmy Lai
Jimmy Lai, magnate di Hong Kong e fondatore del giornale pro democrazia Apple Daily, è stato arrestato con l’accusa di frode e dovrà rimanere in carcere fino al 16 aprile, data della prossima udienza del processo. Lo ha stabilito un giudice, che ha negato al tycoon di 73 anni il rilascio su cauzione. Altri due dirigenti arrestati della sua società, Next Digital, sono invece stati rilasciati su cauzione. Lai è accusato di aver utilizzato la sede di Next Digital per scopi diversi da quelli previsti dal contratto di affitto.
La decisione del giudice, che sembra motivata politicamente, arriva il giorno dopo la condanna a oltre un anno di carcere comminata a tre attivisti democratici. Joshua Wong, Agnes Chow e Ivan Lam sono stati riconosciuti colpevoli di aver partecipato a una protesta «non autorizzata» contro il governo l’anno scorso.
«IMPOSSIBILE NON ESSERE IN CONFLITTO CON IL REGIME»
In estate, 200 poliziotti avevano fatto irruzione nella redazione dell’Apple Daily, rovistando tra le scrivanie dei giornalisti per cercare prove della «collusione con forze straniere» del suo fondatore. Il magnate dell’editoria era stato arrestato e fatto sfilare in manette a favore di telecamere e fotografi e poi rilasciato su cauzione. Sospettato di violazione della legge sulla sicurezza nazionale, con la quale Pechino a luglio ha assunto in via definitiva il controllo sulla ex “città autonoma”, non è ancora stato formalmente accusato.
In un’intervista rilasciata a ottobre a Tempi, Lai ha dichiarato in merito alla persecuzione politica di cui è oggetto:
«Ho fondato il più grande gruppo editoriale di Hong Kong, non penso che qualcuno possa dirsi sorpreso se io e le mie pubblicazioni siamo diventati un obiettivo da colpire. Essendo a favore del mercato libero e della libertà, è normale non andare a genio al Partito comunista cinese (Pcc). Io non credo che il Pcc abbia paura di Jimmy Lai, il punto non sono io o chiunque altro. Ma quando ti mostri in disaccordo con il regime comunista non può che nascere un conflitto».
«PERCHÉ DOVREI SCAPPARE DA CASA MIA?»
Consapevole della possibilità di essere arrestato e condannato a molti anni di prigione, non ha mai pensato di scappare: «Faccio parte del movimento pandemocratico fin dai suoi albori, o almeno a partire dal 1989. Oggi ho 72 anni (li compirà l’8 dicembre, ndr) e non vedo che senso possa avere per me scappare. Hong Kong è la mia casa, mi ha dato tutto ciò che ho: perché dovrei andarmene da casa mia?».
Gigante della lotta per la democrazia, Lai è stato giudicato da Victor So, uno dei magistrati scelti dalla governatrice Carrie Lam per sovrintendere ai processi per violazione della legge sulla sicurezza nazionale. In caso di condanna per frode, il tycoon rischia fino a 14 anni di prigione; nel caso di crimine contro la sicurezza nazionale, potrebbe anche ricevere l’ergastolo da scontare in Cina.
«SONO GRATO A DIO»
L’anno scorso Lai è stato bollato in Cina come uno dei membri della nuova “Banda dei quattro”, cioè un traditore della patria. I suoi screzi con il Partito comunista risalgono al 1989, quando Lai denunciò il massacro degli studenti a Piazza Tienanmen. Allora era già un imprenditore di successo, grazie a un impero costruito dal nulla dopo essere emigrato dalla Cina a Hong Kong da solo a 12 anni. Al contrario di molti altri milionari, rimasti in silenzio per preservare gli affari, Lai scrisse una serie di editoriali infuocati contro il governo cinese. Pechino reagì con rabbia e chiuse tutti i negozi della sua catena di abbigliamento Giordano. Lai fu costretto a vendere il marchio ma fondò Next Digital, un impero editoriale da oltre quattromila dipendenti e decine di pubblicazioni di successo.
Se Jimmy Lai non teme la persecuzione comunista è anche per la sua fervida fede cattolica, della quale ha parlato così a Tempi: «Dio ha un piano per tutti noi e quando metti il tuo destino nelle mani di Dio ti senti così leggero, con meno pressione addosso. Dio mi ha dato tanto e io provo un’enorme gratitudine».
Foto Ansa
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