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Jimmy Lai: «Sono pronto a rovinarmi per Hong Kong»

Intervista al miliardario Braveheart: «Non voglio che i miei figli pensino che sono uno stronzo. Questa città mi ha dato tutto, non baratterò la sua libertà per fare affari con la Cina»

Leone Grotti
15/10/2020 - 16:35
Magazine
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Jimmy Lai convocato in tribunale a Hong Kong

Articolo tratto dal numero di ottobre 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

Il 10 agosto Hong Kong è stata investita da un terremoto. Tutte le agenzie del mondo hanno battuto la notizia: arrestato il magnate dell’editoria Jimmy Lai, fondatore del colosso Next Digital, che stampa il più importante e più diffuso giornale della città: Apple Daily. Mentre Lai veniva fatto sfilare in manette a favore di telecamere e fotografi, 200 poliziotti facevano irruzione nella redazione del giornale pro democrazia, rovistando tra le scrivanie dei giornalisti. Il miliardario è stato accusato di collusione con forze straniere, un capo di imputazione che in base alla nuova legge sulla sicurezza nazionale in vigore dall’1 luglio può valergli fino a 10 anni di carcere. Rilasciato su cauzione, il magnate 71enne è subito rientrato in redazione all’Apple Daily, accolto come un eroe. Tra le lacrime, ha dichiarato: «Continueremo a combattere per la libertà di Hong Kong, che mi ha dato tutto».

Nel caso di Jimmy Lai, non è una frase fatta. Nato nel 1948 in Cina in una ricca famiglia di Guangzhou, i suoi genitori hanno perso tutto dopo l’avvento al potere di Mao Zedong l’anno successivo. A soli 12 anni, si è imbarcato clandestinamente su una chiatta di pescatori e ha raggiunto da solo Hong Kong. Privo di mezzi e risorse, in pochi anni è passato da cucire maglioni in una fabbrica che sfruttava gli esuli della Cina continentale a fondare il brand internazionale dell’abbigliamento Giordano. La sua catena di negozi ebbe un successo enorme e si diffuse rapidamente in Cina. Tutto andava a gonfie vele, fino a quando il 4 giugno 1989 il regime comunista non inviò in Piazza Tienanmen i carri armati per soffocare nel sangue la protesta dei giovani. Al contrario di molti altri miliardari, rimasti in silenzio per preservare gli affari, Lai denunciò in una serie di editoriali infuocati il massacro degli studenti. Pechino reagì con rabbia e chiuse tutti i negozi della sua catena. Lai fu costretto a vendere il marchio ma fondò Next Digital, un impero editoriale da oltre quattromila dipendenti e decine di pubblicazioni di successo.

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L’anno scorso il tycoon è stato bollato in Cina come uno dei membri della nuova “Banda dei quattro”, cioè un traditore della patria. Oltre che di collusione con le forze straniere, è accusato di aver partecipato a un raduno non autorizzato (quello per commemorare le vittime di Tienanmen, vietato per la prima volta quest’anno dalle autorità con la scusa della pandemia). Jimmy Lai, sostenuto da una vivida fede cattolica, non è un attivista, è innanzitutto un imprenditore, ma al contrario di molti altri miliardari non ha mai fatto la corte a Pechino per strappare un contratto in più, suscitando l’ira del regime. Nonostante rischi di finire i suoi giorni in carcere, Lai non ha alcuna intenzione di lasciare «casa mia». E pur sapendo che ogni dichiarazione potrà essere usata contro di lui, accetta di parlare con Tempi: «Continueremo a lottare come abbiamo sempre fatto e fino a quando non ci impediranno di farlo».

Jimmy Lai, in pochi mesi lei è stato arrestato insieme ai suoi due figli e ha ricevuto una valanga di accuse. È sorpreso da una simile persecuzione?

Ho fondato il più grande gruppo editoriale di Hong Kong, non penso che qualcuno possa dirsi sorpreso se io e le mie pubblicazioni siamo diventati un obiettivo da colpire. Essendo a favore del mercato libero e della libertà, è normale non andare a genio al Partito comunista cinese (Pcc). Io non credo che il Pcc abbia paura di Jimmy Lai, il punto non sono io o chiunque altro. Ma quando ti mostri in disaccordo con il regime comunista non può che nascere un conflitto.

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La legge sulla sicurezza nazionale ha ucciso il modello “Un paese, due sistemi”, che doveva garantire ampia autonomia a Hong Kong fino al 2047?

Il modello “Un paese, due sistemi” non è morto completamente, ma se dovessi spiegarmi con una percentuale, direi che è scomparso al 75 per cento e non ci sono segnali che il Pcc voglia cambiare linea di condotta. Le limitazioni imposte alla stampa sono già molto gravi, ma per il momento possiamo ancora scrivere ciò che vogliamo e i social media sono relativamente liberi.

Che cosa ne sarà di Hong Kong, una volta persa la sua autonomia?

Lo stato di diritto e la libertà di stampa sono ciò che hanno fatto di questa città un centro internazionale: se continuano a deteriorarsi diventeremo un porto come un altro nel Sud della Cina. Non ci sarà più differenza tra noi e una città come Shenzhen.

Molti attivisti sono già scappati all’estero per sfuggire all’arresto. Anche lei potrebbe farlo: i mezzi e i contatti non le mancano.

Faccio parte del movimento pandemocratico fin dai suoi albori, o almeno a partire dal 1989. Oggi ho 72 anni (li compirà l’8 dicembre, ndr) e non vedo che senso possa avere per me scappare. Hong Kong è la mia casa, mi ha dato tutto ciò che ho: perché dovrei andarmene da casa mia?

Dopo un anno di proteste oceaniche contro la legge sull’estradizione, Hong Kong si ritrova sotto la spada di Damocle di una legge ancora più draconiana. I giovani hanno esagerato a provocare Pechino?

L’Esercito popolare di liberazione (Epl) è di stanza a Hong Kong da 20 anni, l’ombra del regime comunista si allunga sul governo a tutti i livelli. Hanno il controllo totale della città. La cosa più importante da capire è che il governo ha usato la violenza per fermare le manifestazioni di massa che hanno stupito il mondo intero. Il regime aveva già a disposizione le vecchie leggi coloniali per far rispettare l’ordine pubblico. Chi dice che i giovani hanno provocato la Cina, e che le cose sarebbero potute andare in modo diverso, è ingenuo: come si può pensare che Xi Jinping avrebbe fatto marcia indietro proprio su Hong Kong? Si comporta forse in modo diverso nel resto del mondo?

Alcuni studenti però hanno avanzato richieste irrealistiche, come l’indipendenza.

Non esiste alcun movimento serio che invochi l’indipendenza per Hong Kong. Ci sono qui le guarnigioni dell’Epl. Qualcuno può forse aspettarsi che facciano armi e bagagli e se ne vadano? Molti giovani sono frustrati perché la democrazia non ha fatto progressi negli anni. E ora possiamo dire che avevano visto giusto, identificando nel tentativo della governatrice Carrie Lam di approvare la legge sull’estradizione il primo passo verso la situazione in cui ci troviamo oggi. La legge sull’estradizione avrebbe raggiunto lo stesso obiettivo della legge sulla sicurezza nazionale: cioè porre tutti sotto la minaccia di essere arrestati e portati nella Cina continentale.

Che cosa pensa della violenza usata da alcuni manifestanti l’anno scorso negli scontri con la polizia?

All’inizio dissi che la violenza era sbagliata perché fa solo il gioco dei comunisti. Però non dimentichiamo che è il governo attraverso la polizia che ha incitato la maggior parte della violenza, hanno lasciato che proseguisse perché gli faceva comodo. Ci sono davvero pochi leader democratici, giovani inclusi, che volevano la violenza.

Da oltre 20 anni le élite di Hong Kong chiudono un occhio sulle ingerenze della Cina per fare affari. Lei invece ha sempre criticato Pechino. Perché?

Non voglio che i miei figli pensino che sono uno stronzo! Io ho fatto fortuna a Hong Kong, ma chi sono io per sacrificare i miei concittadini solo per racimolare un po’ di soldi in più? Voglio però precisare una cosa.

Prego.

Se lei pensa che tutte le élite di Hong Kong appoggino il Pcc significa che ha capito poco di questa città. Nelle due marce di giugno, tra i milioni di persone scese in piazza c’erano anche migliaia di membri delle famiglie più ricche della città. E Pechino lo sa bene.

Con la nuova legge sulla sicurezza nazionale, l’Apple Daily cambierà linea editoriale?

Neanche per idea, continuerà a lavorare come prima, fino a quando non potrà più farlo. Come dice spesso Chris Patton (ultimo governatore britannico di Hong Kong, ndr), se sai che qualcuno verrà a spaccarti le finestre di casa venerdì, questo non implica che tu debba anticiparlo spaccandotele da solo il giovedì.

Tutti le riconoscono sangue freddo e coraggio. Come la sua fede influisce sul suo modo di agire?

Dio ha un piano per tutti noi e quando metti il tuo destino nelle mani di Dio ti senti così leggero, con meno pressione addosso. Dio mi ha dato tanto e io provo un’enorme gratitudine. Dio plasma sempre il mio modo di agire, anche attraverso le domande che mi sta facendo adesso.

I rapporti tra Cina e Vaticano sono in una fase critica: entro la fine di ottobre l’accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi dovrebbe essere rinnovato. Tanti fedeli, fuori e dentro la Cina, non hanno nascosto il proprio malumore verso la Santa Sede. Da cattolico cinese, che cosa ne pensa?

Se devo essere sincero, io non riesco a capire che cosa spinga due uomini brillanti come papa Francesco e il cardinale Pietro Parolin a trattare con i comunisti. Sono troppo intelligenti per non sapere che a Pechino vengono trattati con grande disprezzo e che non c’è niente di ciò che chiedono che sarà mai concesso prima che il Vaticano si arrenda completamente. A noi fedeli cinesi si spezza il cuore quando il Santo Padre non prende le nostre difese. Noi siamo i suoi figli e molti di noi si sentono abbandonati. Ma la nostra fede rimane forte e sappiamo che i nostri fratelli cattolici, in Italia e in tutto il mondo, cominciano a domandarsi perché il Papa non ascolta il nostro grido di dolore.

Ha ancora speranza per la sua città?

Ovviamente! Poche settimane fa alcune studentesse del liceo sono stare arrestate solo per aver sollevato dei cartelloni bianchi, senza scritte, in un centro commerciale (uno dei metodi più comuni per denunciare la censura di Pechino, ndr). Da un lato, questo dimostra fino a che punto è arrivata la repressione. Dall’altro, però, dimostra che le nostre studentesse non hanno alcuna intenzione di cedere a un regime che si sente minacciato perfino da un foglio di carta. Quando guardo il coraggio di queste studentesse, come potrei non nutrire speranza per Hong Kong?

@LeoneGrotti

Foto Ansa

Tags: apple dailycarrie lamCinacomunismohong kongjimmy lailegge sicurezza nazionale hong kongPapa Francescoregime comunistatempi ottobre 2020tienanmenxi jinping
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