Il Sunday Times ha riportato alcuni dei messaggi che Tarik Hassane, 20 anni, uno dei cinque musulmani inglesi arrestati da Scotland Yard la scorsa settimana per terrorismo, postava sui social network per spiegare perché i musulmani dovrebbero andarsene dall’Inghilterra. Nonostante abbia vissuto per anni a Londra, anche Hassane, come gli altri jihadisti partiti dal Regno Unito, mostrava di odiare il suo paese.
Dopo essersi diplomato alla Westminster City School, due anni fa, si trasferì in Sudan per studiare medicina. Nel frattempo – secondo gli investigatori – sarebbe andato in Siria. Nonostante sui social network abbia dichiarato di non sapere nulla dell’Isis, e di non approvare l’uccisione di innocenti, Hassane si è più volte proclamato assolutamente convinto che la lotta degli jihadisti britannici contro Assad era «il modo migliore per adempiere all’islam». Hassane ha ripetutamente affermato sui social che il voto on-line e la democrazia sono “kufr”, cose da miscredenti, e che «vivere tra i miscredenti nei loro paesi è un peccato grave e l’“hijra” (emigrazione) da questi paesi è “wajib” (obbligatoria)». «In Inghilterra avete l’incesto, gli omosessuali, i rapporti sessuali in pubblico», ha scritto. «Ci sono ovunque attacchi fisici contro i musulmani, alcol e nudità».
BIRMINGHAM. Se Londra è preoccupata per l’islamismo crescente nei quartieri periferici, Birmingham ha molte più ragioni per esserlo. L’ex città industriale, dove un abitante su quattro è islamico, è tenuta costantemente sotto controllo dalle autorità, dopo lo scandalo “Trojan horse”, il complotto da parte di alcuni islamici radicali di impadronirsi dell’istruzione pubblica del luogo. «Nei ghetti Balsall Heath e Sparkhill, dove in 13 anni ci sono state 40 condanne per terrorismo», riporta oggi La Stampa, dal 2012 sono partiti in cento per combattere in Siria. Gli abitanti islamici di Birmingham rimasti in Inghilterra non li accusano. C’è, anzi, chi come Noor, una ventunenne, li giustifica: «molti vanno a fin di bene per difendere i civili».
SPETTACOLO DAL VIVO. Interrogato sul perché cittadini inglesi vadano a combattere in Siria, qualche islamico di Birmingham alza le spalle. «Perché non dovrebbero? Hanno coraggio – spiega uno di loro alla Stampa – I musulmani sono massacrati ovunque e chi chiedete di scusarci per l’Isis. Israele però non si scusa mai». Per contrastare il fenomeno dello jihad non è bastato monitorare ogni attività sospetta nelle moschee, come ha fatto il governo inglese dagli attentati del 2003. «La radicalizzazione non passa più dalle moschee. E nemmeno dalle famiglie», spiega La Stampa. Difficile, capire chi fra i giovani è un aspirante terrorista. Secondo l’analista Jahan Mahmood, «tra chi parte per la Siria c’è di tutto, da chi cerca la redenzione per i propri peccati ai turisti del jihad, interessati allo spettacolo dal vivo, ma non a combattere». I giovani, spiega Assam Baig, cronista del posto, «cercano nell’islam radicale un’identità alternativa a quella britannica da cui si sentono esclusi». Chi parte, spesso non ha nemmeno un background religioso. Conosce poco le leggi dell’islam. Lo dimostra il caso di Yusuf Sarwar e Mohammed Ahmed, due islamici di Birmingham che, prima di partire per il califfato, «avevano comprato online “Islam for dammies”», un bigino della religione maomettana.