I pietosi caroselli di chi mette la firma per uccidere
Firma Saviano perché, dice, senza una legge «l’eutanasia non è un diritto accessibile a tutti», «perché sia libero di scegliere anche chi non può permettersi di raggiungere paesi dove l’eutanasia è legale» e perché firmare «è un atto di rispetto per la vita e per il prossimo».
In pratica Saviano non sa cosa sta firmando, dal momento che il referendum sull’eutanasia non punta a rispettare la vita del prossimo bensì a non finire in carcere se lo ammazzi, liberalizzando «ogni forma di omicidio del consenziente, anche se determinato, ad esempio, da una depressione, da un fallimento finanziario, da una delusione sentimentale, da una momentanea fragilità psichica e anche se commesso con mezzi violenti». Non lo scrive Tempi ma Luciano Violante su Repubblica.
Liberalizzare l’omicidio del consenziente
Al netto della summa del pensiero teologico degli immancabili vip firmatari («avete rotto il ca**o» è la risposta articolata di Fedez alle preoccupazioni del Vaticano), il quesito dei radicali chiede l’abrogazione dell’articolo 579 del codice penale per permettere l’omicidio di una persona consenziente, salvo si tratti di un minore, infermo di mente o di persona tratta in inganno. Non stiamo parlando di persone malate ma anche di sani. Non chiede l’abrogazione del reato previsto dall’articolo 580 “Istigazione o aiuto al suicidio” sui cui è intervenuta la Corte Costituzionale nel 2019 (caso Cappato-Dj Fabo), chiedendo al legislatore di depenalizzarlo in presenza di quattro circostanze concomitanti (ovvero quando la persona è affetta da patologie irreversibili, prova sofferenza intollerabile, è tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale ed è capace di prendere decisioni libere e consapevoli). E non è all’interno di questo perimetro che verrà fornito l’aiuto a morire su richiesta del paziente se vincerà il Sì.
Lo ha ben spiegato ad Avvenire Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte costituzionale, già ministro della giustizia: posto il quesito dei radicali sulla parziale abrogazione dell’articolo 579 «se il referendum abrogativo è ammesso e poi riceve il consenso dei cittadini, noi avremmo una situazione per cui chi uccide una persona maggiorenne e cosciente di sé che glielo chiede, anche in buona salute, non rischia il carcere; mentre tuttora rischierebbe le sanzioni previste dall’articolo 580 sull’aiuto al suicidio un medico o un familiare stretto o un amico che procura il farmaco letale a una persona che non si trova nelle quattro condizioni indicate dalla Consulta». In pratica ci troveremmo a punire l’aiuto al suicidio («meno grave») e non l’omicidio del consenziente («che è “più grave”»). Un consenziente che, ripetiamolo, potrebbe trovarsi anche in buona salute: non stiamo parlando dei casi Dj Fabo e Welby.
Le vittime della dolce nei paesi “civili”
Al di là degli esiti assurdi e contradditori in sede giuridica e costituzionale la legalizzazione dell’eutanasia tout court volutamente confusa con la depenalizzazione del suicidio assistito (che fatte salve le circostanze indicate dalla sentenza della Consulta resta incostituzionale) ha ben altre conseguenze. Le riassume Violante: «Oggi il costo di una giornata di degenza in una struttura dedicata alle cure palliative è di circa 300 euro e quello di una giornata di ricovero in un ospedale pubblico è di circa 470 euro. Quale sarà il destino dei malati vecchi e poveri in una società che invecchia, con una sanità costosa, dove sia possibile sopprimere chiunque lo consenta?».
Tempi lo ha scritto molte volte: mentre i famosi sfilano con la penna in mano ripetendo i soliti refrain della propaganda mortifera (l’eutanasia c’è già, gli italiani sono d’accordo, sono io il padrone della mia vita, eccetera) con l’ossessione di smarcare il paese civile dalle preoccupazioni “vaticane”, nei laicissimi paesi dove la “dolce morte” è legale e accessibile a tutti non è più il dolore o la perdita di autonomia la motivazione più in voga per chiedere e ottenere di morire. «Solitudine», «isolamento», «sentirsi un peso per la famiglia, gli amici e i sanitari», ecco le ragioni per farsi ammazzare: leggete i dispacci da Olanda, Belgio e Canada, leggete le storie di Alan, Emily, Tine Nys, Godelieva de Troyer, o cosa ha fatto Marinou Arends, come si è arrivati a chiedere l’eutanasia per i bambini e a stimare risparmi di decine di milioni di dollari decurtando dai budget sanitari i costi per le cure palliative.
La gara per far fuori il prossimo
Già, le cure palliative: la stessa sentenza della Corte le ha prescritte come passaggio pregiudiziale per ogni procedura “legale” di fine vita, indicandole come «pre-requisito della scelta, in seguito, di qualsiasi percorso alternativo da parte del paziente». Ma invece di renderle operative, attuando una legge approvata all’unanimità dal parlamento nel 2010, il ministro Speranza sollecita le Asl ad aiutare le persone a morire piuttosto che lenire le loro sofferenze. Il Foglio invita a riflettere, “eutanasia o eugenetica?”, mentre il testo-base sul suicidio assistito da poco approvato nelle commissioni Giustizia e Affari sociali della Camera si aggiunge alla gara tra lo spingere le Asl a commettere un reato promossa dal ministro e le 750 mila firme per depenalizzare l’omicidio di un consenziente promosse dai radicali.
Soliti ritornelli, nuovi caroselli. Firma Saviano, firma Guccini, Pif, Vasco Rossi, Maurizio Costanzo, Chiara Ferragni, Fedez, Selvaggia Lucarelli, Giuseppe Cruciani, Giobbe Covatta, Pupo. Firmano per il diritto di fare fuori il prossimo e lo chiamano rispetto della sua vita.
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