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La Corte Suprema si pronuncerà sull’aborto in Mississippi, panico tra i liberal

Una legge che vieta l’interruzione di gravidanza dopo 15 settimane approda alla corte nelle mani dei conservatori. Proprio mentre Biden punta a codificare la Roe v. Wade in legge federale

Caterina Giojelli
19/05/2021 - 1:00
Esteri
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La Corte Suprema si pronuncerà sulla legge del Mississippi del 2018, una delle più restrittive in tema di aborto. E per pro choice e democrats il solo fatto di avere accettato di occuparsi del caso denuncia l’intento dei giudici conservatori di smantellare la Roe v. Wade. Un terrore suscitato dai liberal ogni quattro anni sotto elezione, ad ogni nomina repubblicana di un magistrato. E ogni volta che una toga conservatrice è subentrata alla Corte Suprema, là dove tutto ha avuto inizio, con la sentenza che nel 1973 ha legalizzato l’interruzione di gravidanza. Facendo giurisprudenza in tutta America.

La Corte e le elezioni di MidTerm

Non a caso i giornali parlano già di posta in gioco per le elezioni di MidTerm del 2022. La decisione sulla legge del Mississippi attesa per la prossima primavera sarà la prima sull’aborto emanata da una corte saldamente nelle mani di sei giudici conservatori, di cui tre di nomina trumpiana. Tra questi la cattolica antiabortista Amy Coney Barrett. È stata lei a sostituire l’icona dei progressisti Ruth Bader Ginsburg, una dei cinque giudici che la scorsa estate abrogò la legge sull’aborto della Louisiana complice il voto del presidente John Roberts, repubblicano schierato con i liberal.

Che altro motivo, denunciano i liberal, avrebbero i giudici per esaminare il caso del Mississippi, quello di una legge varata nel 2018 che vieterebbe la maggior parte degli aborti dopo la 15esima settimana di gravidanza, poi bloccata da un giudice federale?

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Il caso del Mississippi

Il caso giudiziario nasce quando viene avallata l’accusa di incostituzionalità mossa alla legge dalla clinica per aborti Jackson Women’s Health Organization: la norma consentirebbe la procedura dopo le 15 settimane solo in caso di emergenza medica o di grave anomalia fetale. Questo, secondo magistrati e prochoice, contraddice i princìpi della Roe v. Wade che impedirebbero agli Stati di vietare gli aborti prima che un feto possa sopravvivere al di fuori del grembo materno, cioè tra le 23 e le 24 settimane di gestazione.

La sentenza dei tribunali inferiori

«Questa corte segue i dettami della Corte Suprema e della Costituzione degli Stati Uniti, piuttosto che le false logiche di calcolo dei legislatori del Mississippi – ha scritto il giudice Carlton W. Reeves del tribunale federale di Jackson bloccando la legge –. Forse con i cambiamenti dei membri della Corte Suprema lo Stato crede che la provvidenza divina sia calata sul Campidoglio».

Sentenza confermata anche dai giudici del quinto Circuito della Corte di Appello di New Orleans, «fin dalla Roe v. Wade i casi di aborto dibattuti alla Corte Suprema hanno stabilito, affermato e riaffermato ininterrottamente il diritto di una donna ad abortire», ha scritto il giudice Patrick E. Higginbotham. Parzialmente contraddetto dal parere del collega James C. Ho che ha ricordato «nulla nel testo o nella comprensione originale della Costituzione stabilisce il diritto all’aborto».

La posta in gioco per Biden

Di tutt’altro avviso il procuratore generale del Mississippi Lynn Fitch che ha chiarito che la legge mira «a promuovere la salute delle donne e preservare la dignità e la santità della vita. Rimango impegnata a difendere le donne e a difendere il diritto legale del Mississippi di proteggere i nascituri».

Dati alla mano, secondo il Guttmacher Institute circa il 90 per cento degli aborti avviene entro le 12 settimane di gravidanza. La posta del dibattito intorno al limite delle 23 settimane, da sempre trattato alla stregua di una fisima repubblicana (col minaccioso Trump che in campagna elettorale assicurava il rovesciamento della Roe v Wade con la discesa in campo dei suoi giudici pro life), è però altissima per Joe Biden.

Obiettivo, fare la legge federale

Per tutta la corsa alla Casa Bianca i democratici erano stati chiari: obiettivo del mandato del successore di Trump sarebbe stato codificare la sentenza Roe v. Wade in legge federale. Abrogare l’emendamento “Hyde” che vietava l’utilizzo di fondi federali per finanziare l’aborto a meno che la vita della madre sia in pericolo o la gravidanza sia frutto di stupro o di incesto. Mantenere i finanziamenti alle organizzazioni sanitarie che promuovono e praticano le interruzioni di gravidanza. E nominare solo giudici pro-choice «che rispettino» il diritto a sopprimere i non nati.

La commissione Biden

Dopo la nomina di Barrett, Biden ha nominato una commissione bipartisan, rimettendo alla valutazione degli esperti la necessità o meno di estendere il numero dei giudici allo scopo di riequilibrare politicamente la Corte Suprema. Una riforma invocata dalla sinistra più progressista e ancora furiosa per il mancato seggio a Merrick Garland, nominato da Obama dopo la morte del giudice Antonin Scalia nel 2016. Allora i repubblicani si rifiutarono di approvarne l’incarico lasciando il posto vacante per 293 giorni, fino all’elezione di Trump.

Tuttavia, pur non mancando l’arrivo di casi che avrebbero permesso di rivedere quella storica sentenza, i giudici della Corte Suprema non l’hanno mai smantellata. Le loro decisioni sono piuttosto andate nel senso di una conferma del diritto ad abortire e di una indipendenza dalle campagne politiche manifestata in molti altri casi. Come quando la progressista Elena Kagan ha votato con i conservatori per esentare i datori di lavoro con obiezioni religiose dal “mandato di contraccezione” voluto da Obama. O quando Neil Gorsuch, di nomina trumpiana, ha guidato la squadra liberal e scritto la sentenza che certifica che gay e transgender non possono essere licenziati a causa dell’orientamento o dell’identità sessuale). Cosa cambia col caso del Mississippi?

Al cuore della Roe v. Wade

Cambia che i giudici, dopo aver respinto la revisione dei divieti del Mississippi (che ha approvato tante leggi statali simili) una dozzina di volte, dopo una lunga riunione a porte chiuse, hanno deciso di accettare il caso. E di rispondere a una domanda: se tutti i divieti di praticare un aborto prima del punto di vitalità fetale (quando cioè il feto può sopravvivere al di fuori dell’utero) sono incostituzionali. In altre parole, prendendola dal punto di vista procedurale e non del diritto costituzionale ad abortire, i giudici si esprimeranno sul cuore stesso di Roe v. Wade. Andando a confermare, rivedere o abolire il quadro di moltissime leggi e con queste la conversione di Joe Biden, il cattolico ex moderato Joe Biden, all’oltranzismo pro choice.

Le promesse del cattolico pro choice

Da quando è stato eletto, Biden ha abrogato la Mexico City Policy, ripristinando nuovamente l’impiego dei fondi federali per finanziare l’aborto negli Stati Uniti e nel mondo. Ha ritirato la firma americana alla Dichiarazione di Ginevra, la quale afferma che l’aborto non è un diritto umano internazionale. Alla vigilia delle elezioni disse che la risposta più adeguata alla nomina di Amy Coney Barrett alla Corte suprema sarebbe stata tradurre la sentenza Roe v. Wade in una legge nazionale. E nell’anniversario di quest’anno ha ribadito la promessa di «codificare in legge» la sentenza. Il suo Equality Act considera qualunque rifiuto di praticare aborti come “discriminazione di gravidanza”.

Ora, minacciando la riforma della Corte, dovrà affrontare politicamente la decisione dei giudici di deliberare sul caso del Mississippi. Ma non era Trump, non erano i cattolici, i repubblicani, i conservatori, quelli fissati con l’aborto?

Foto Ansa

Tags: Abortoamy coney barrettcorte supremaDonald Trumpjoe biden
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